L’autonomia lavorativa non fa il dirigente

In tema di contratto di lavoro collettivo nazionale, si distinguono, in base alle funzioni svolte, due categorie di prestatori di lavoro il dirigente e l’impiegato. Il primo ricopre un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale il secondo invece è privo di potere decisionale ed è sottoposto alla direzione del dirigente stesso.

In taluni casi all’impiegato possono essere attribuite mansioni e funzioni direttive. Tuttavia, se questi non partecipa alla attività di promozione, coordinamento e gestione degli obiettivi imprenditoriali, esso non può essere qualificato come dirigente e non può quindi pretendere la remunerazione economica spettante ai dirigenti. Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 12356, depositata il 3 giugno 2014. Il caso. La Corte d’appello di Messina ha rigettato la domanda proposta dall’impiegato di prima categoria nei confronti della società per cui lavorava, volta ad ottenere la qualifica di dirigente e la condanna del datore al pagamento delle differenze retributive a partire dal gennaio 1976. La Corte ha così confermato la decisione di primo grado, non riconoscendo funzioni dirigenziali in capo al ricorrente, il quale, benché godesse di piena ed ampia autonomia, era sottoposto a direttive di altri dirigenti. Il lavoratore ha poi adito la Corte di Cassazione, denunciando la violazione del contratto collettivo di lavoro, in quanto il giudice di merito aveva fondato il rigetto sulla distinzione tra la figura dirigenziale e quella dell’impiegato con funzioni dirigenziali, non tenendo conto la definizione di dirigente presente nel CCNL. Inoltre, lo stesso ha denunciato l’errore del giudice di merito in riferimento alla valutazione della prova testimoniale, da cui era emerso che il lavoratore non era sottoposto gerarchicamente ad altro dirigente, avendo svolto funzioni dirigenziali in coordinazione con altri manager . Caratteristiche del lavoro dirigenziale . La Suprema Corte ha rigettato il ricorso ritenendolo infondato. La discrezionalità e l’autonomia, con cui operava il lavoratore, non sono state valutate sufficienti a qualificare lo stesso come dirigente, poiché le funzioni svolte comunque non erano tali da incidere sull’attività di promozione, coordinamento e gestione degli obiettivi di impresa. In riferimento all’erronea valutazione delle risultanze processuali la Cassazione ha ribadito che il giudice di legittimità non è chiamato a riesaminare il merito della causa, bensì ad occuparsi del controllo, formale e logico, della valutazione fatta dal giudice di merito. Il ricorso per Cassazione difatti non introduce un terzo giudizio di merito atto a far valere l’ingiustizia della sentenza impugnata, concretizzandosi invece come rimedio a cognizione determinata dai vizi denunciati.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 marzo – 3 giugno 2014, n. 12356 Presidente Stile – Relatore Venuti Svolgimento del processo La Corte d'appello di Messina, con sentenza depositata il 6 giugno 2011, ha confermato la decisione di primo grado, con la quale era stata rigettata la domanda proposta da S.F. , impiegato di prima categoria, nei confronti di Unicalcestruzzi S.p.A., volta ad ottenere la qualifica di dirigente e la condanna del datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive a partire dal gennaio 1976. La Corte di merito ha ritenuto, in sintesi, che le mansioni svolte dal lavoratore non fossero riconducibili a quelle dirigenziali, posto che il medesimo non si trovava in una posizione di piena ed ampia autonomia, essendo sottoposto alle direttive di altri dirigenti, né era investito di attribuzioni che, per la loro ampiezza, poteri di iniziativa e discrezionalità, gli consentivano di imprimere un indirizzo sugli obiettivi complessivi dell'impresa, assumendo le corrispondenti responsabilità. Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione lo S. sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria. La società resiste con controricorso. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo del ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 1 del contratto collettivo nazionale per i dirigenti di azienda , il ricorrente deduce che la Corte di merito, nel confermare la decisione di rigetto di primo grado, non ha preso in esame tale contratto che definisce la figura del dirigente, fondando l'impianto motivazionale sulla distinzione tra la figura del dirigente e quella dell'impiegato con funzioni direttive e richiamando i principi elaborati, in via generale, dalla giurisprudenza ai fini dell'appartenenza alla categoria dei dirigenti. Così facendo, aggiunge il ricorrente, la sentenza impugnata non ha considerato che le disposizioni della contrattazione collettiva assumono, in materia, carattere vincolante e decisivo, in quanto esprimono la volontà delle associazioni stipulanti in ragione della specificità delle diverse imprese e della loro variegata articolazione in settori produttivi differenziati. 2. Con il secondo motivo, denunziando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, il ricorrente rileva che la Corte di merito ha valutato erroneamente le risultanze processuali ed in particolare la prova testimoniale, da cui era emerso che egli non era sottoposto gerarchicamente ad altro dirigente, avendo viceversa svolto funzioni dirigenziali in coordinazione con altri dirigenti. Essendo la Unicalcestruzzi S.p.A. una azienda di dimensioni nazionali, vi erano dirigenti di vari livelli, con graduazione di compiti e con rispettiva autonomia nel settore di appartenenza. 3. Il ricorso, i cui motivi vanno trattati congiuntamente in ragione della loro connessione, non è fondato. La Corte di merito, nella parte espositiva, ha esplicitamente affermato che la domanda del ricorrente era volta al riconoscimento delle funzioni dirigenziali e al pagamento delle relative differenze retributive secondo il contratto collettivo per i dirigenti delle imprese industriali . Nella motivazione, poi, pur non richiamando la definizione di dirigente fornita dall'art. 1 CCNL 23 maggio 1990, prodotto dal ricorrente Sono dirigenti i prestatori di lavoro per i quali sussistano le condizioni di subordinazione di cui all'art. 2094 c.c. e che ricoprono nell'azienda un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale ed esplicano le loro funzioni al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell'impresa , fa costante riferimento a tali caratteri per escludere la sussistenza delle funzioni dirigenziali. Rileva, infatti, la Corte territoriale che l'autonomia e la discrezionalità delle scelte decisionali ” dello S. non era tale da potere influire sugli obiettivi complessivi dell'impresa e sulle scelte imprenditoriali ” che, come correttamente affermato dal primo giudice, le funzioni svolte dal medesimo non erano caratterizzate da una attività di promozione, coordinamento e gestione degli obiettivi dell'impresa , essendo piuttosto da ricondurre a quelle dell'impiegato con funzioni direttive. Appare dunque irrilevante il mancato, esplicito richiamo alla declaratoria contrattuale dei dirigenti, essendo stata questa ben tenuta presente dal giudice d'appello ai fini della decisione della controversia. Quanto, poi, alla dedotta erronea valutazione delle p risultanze processuali, è principio consolidato di questa Corte che non è consentito al giudice di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico - formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e all'uopo, valutarne le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Orbene, la ricorrente sostanzialmente ripropone in questa sede le medesime censure cui il giudice d'appello ha dato risposta, chiedendo sostanzialmente un riesame della vicenda, senza considerare che il ricorso per cassazione non introduce un terzo giudizio di merito tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall'ambito della denuncia dei vizi previsti dall'art. 360 cod. proc. civ In tale ambito, non sono ravvisabili vizi di motivazione nella sentenza impugnata sotto il profilo - logico giuridico, avendo la Corte di merito dato compiutamente conto delle ragioni della decisione, rilevando che lo S. , preposto allo stabilimento di Messina, con funzioni di capo area Sicilia per la vendita del prodotto, non svolgeva attività riconducibili alla qualifica dirigenziale, posto che responsabile delle vendite per la Sicilia era un altro dipendente, avente la qualifica di dirigente, al quale, in definitiva, lo S. era sottoposto nell'attività di vendita, nel senso che ne doveva osservare le direttive . Né, secondo la Corte di merito, erano decisivi ai fini dell'attribuzione della qualifica dirigenziale gli incarichi di amministratore di società satelliti, non essendo stato dimostrato che a tali incarichi, di natura amministrativa, corrispondesse una attività così autonoma e vasta da influire sulle scelte imprenditoriali . Pur risultando, infine, che le mansioni venissero svolte dallo S. , quale responsabile dell'impianto di , con ampio margine di autonomia e potere decisionale, esse non erano tali da giustificare l'inquadramento del medesimo nella categoria dirigenziale, mancando l'attività di promozione, coordinamento e gestione degli obiettivi dell'impresa, e dovendo piuttosto ricondursi dette mansioni a quelle di impiegato con funzioni direttive. A tale ultimo riguardo, va rimarcato che, con sentenza del Tribunale di Messina n. 3951/04, passata in giudicato - richiamata dalla controricorrente nei precedenti gradi del giudizio cfr. controricorso, foglio 6, non numerato e prodotta nel fascicolo di primo grado - lo S. è stato reintegrato nel posto di lavoro, con le conseguenti indennità risarcitorie, per violazione, da parte della Unicalcestruzzi S.p.A., della procedura prevista in tema di licenziamenti collettivi dalla legge n. 223 del 1991. Tale normativa non è applicabile al licenziamento dei dirigenti, come è desumibile dalla disposizione di cui all'art. 4, comma 9, della legge anzidetta, che, in tema di messa in mobilità, fa unicamente riferimento alle categorie degli impiegati, degli operai e dei quadri. Orbene, la sentenza dianzi indicata, resa tra le stesse parti in data antecedente alla instaurazione del presente giudizio - della quale il controricorrente ha lamentato il mancato esame da parte dei giudici di merito, riproponendo la questione in questa sede -, non fa stato, quale giudicato esterno, nel presente giudizio, posto che il giudicato non si forma sugli aspetti del rapporto che non abbiano costituito oggetto di accertamento effettivo, specifico e concreto cfr. Cass. 10 ottobre 2007 n. 21266 e considerato, altresì, che l'autorità del giudicato sostanziale opera solo entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell'azione, e presuppone che tra la causa precedente e quella in atto vi sia identità di soggetti, oltre che di petitum e causa petendi cfr. Cass. 19 luglio 2005 n. 15222 . Tuttavia, quel giudicato costituisce un ulteriore elemento per ritenere che lo S. fosse non già un dirigente, bensì un dipendente della Calcestruzzi S.p.A., come dal medesimo sostenuto in quel giudizio ai fini della declaratoria di inefficacia del licenziamento disposto nei suoi confronti. Il ricorso, in conclusione, va rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida, a favore della società resistente, in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.