“Ciò che chiamiamo rosa, anche con un altro nome, conserva il suo profumo”: non basta definire un accordo come transattivo per sfuggire all’INPS

L’indagine del giudice di merito sulla natura contributiva o meno delle somme erogate al lavoratore dal datore di lavoro non trova alcun limite nel titolo formale di tali erogazioni. Per escludere la compatibilità di un istituto non è sufficiente la mancanza di uno stretto nesso di corrispettività, ma occorre che risulti un titolo autonomo, diverso e distinto dal rapporto di lavoro, che ne giustifichi la corresponsione.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 9180, depositata il 23 aprile 2014. Il caso. La Corte d’appello di Catanzaro accoglieva l’opposizione di un datore di lavoro contro il decreto del giudice del lavoro per il pagamento di contributi, sanzioni e somme aggiuntive sugli importi corrisposti a due lavoratori, in esecuzione di transazioni intervenute tra le parti. Secondo i giudici d’appello, se le somme dovute in dipendenza di un contratto di transazione, e non di lavoro, l’INPS può azionare il credito contributivo provando quali siano le somme assoggettabili a contribuzione. In questo caso, tale prova non veniva fornita e, in più, questi accordi contenevano un riferimento espresso all’incentivo all’esodo, che non è assoggettabile a contribuzione, oltre alla volontà delle parti di correlare le erogazioni all’esigenza di evitare il giudizio. L’INPS ricorreva in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 12 l. n. 153/1969, che stabilisce il concetto di retribuzione, a fini contributivi, e determina quali somme siano escluse dal calcolo. A suo giudizio, non basta, per escludere la riconducibilità delle erogazioni al rapporto di lavoro, che manchi uno stretto nesso di corrispettività, in quanto la norma richiamata afferma che tutto ciò che il lavoratore riceve, in natura o in denaro, dal datore di lavoro, in dipendenza e a causa del rapporto di lavoro, rientra nell’ampio concetto di retribuzione imponibile a fini contributivi e che i profili contributivi ricollegati dall’ordinamento al rapporto di lavoro non sono disponibili dalle parti. Di conseguenza, le somme erogate erano riconducibili al pregresso rapporto di lavoro, mentre erano irrilevanti il disconoscimento delle pretese dei lavoratori, in quanto clausola di stile, ed il riferimento all’incentivazione all’esodo, semplice formula di copertura e contrastante con la cessazione, già avvenuta, del rapporto di lavoro. Retribuzione per fini contributivi. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione rilevava che la retribuzione, considerata dal legislatore ai fini contributivi nella l. n. 153/1969, non coincide con quella generalmente data, ai fini della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, dall’art. 2099 c.c Infatti, la formula tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in dipendenza del rapporto di lavoro implica un principio di causalità, per cui il concetto di retribuzione imponibile supera il principio di corrispettività, in quanto comprende non soltanto gli emolumenti corrisposti in funzione dell’esercizio di attività lavorativa, ma anche gli importi che, pur non trovando riscontro in una precisa ed eseguita prestazione lavorativa, costituiscono adempimenti di obbligazioni pecuniarie imposte al datore di lavoro da leggi o convenzioni nel corso del rapporto di lavoro ed aventi titolo ed origine dal contratto di lavoro. Rimangono escluse, al contrario, le erogazioni derivanti da causa autonoma. Eccezioni. Allo stesso tempo, l’art. 12 l. n. 153/1969 elenca tassativamente gli emolumenti esclusi ai fini del computo dei contributi previdenziali e da ciò deriva un sistema di chiusura che, da una parte, consente al giudice di verificare se gli emolumenti rientrano nel concetto di retribuzione previdenziale e, dall’altra, impedisce alle parti di attribuire direttamente ad un emolumento natura difforme da quella conferita ex lege , mediante previsioni o denominazioni, comunque simulate. Titolo diverso. Perciò, al fine di valutare se siano assoggettabili a contribuzione obbligatoria le erogazioni economiche corrisposte dal datore di lavoro in favore del lavoratore in adempimento di una transazione, è relativo che le somme siano pervenute al lavoratore in adempimento di un accordo transattivo, mentre bisogna valutare più approfonditamente non solo se manchi uno stretto nesso di corrispettività, ma anche se risulti un titolo autonomo, diverso e distinto dal rapporto di lavoro, che ne giustifichi la corresponsione. Questa valutazione deve essere fatta, tenendo presente che tutto ciò che il lavoratore riceve, in natura o in denaro, dal datore di lavoro in dipendenza e a causa del rapporto di lavoro, rientra nell’ampio concetto di retribuzione imponibile ai fini contributivi e che c’è un’assoluta indisponibilità, da parte dell’autonomia privata, dei profili contributivi collegati dall’ordinamento al rapporto di lavoro. Compiti del giudice. Di conseguenza, l’indagine del giudice di merito sulla natura contributiva o meno delle somme erogate al lavoratore dal datore di lavoro non trova alcun limite nel titolo formale di tali erogazioni. Per escludere la compatibilità di un istituto non è sufficiente la mancanza di uno stretto nesso di corrispettività, ma occorre che risulti un titolo autonomo, diverso e distinto dal rapporto di lavoro, che ne giustifichi la corresponsione. Del resto, l’INPS è estraneo ad ogni transazione tra datore di lavoro e lavoratore e la sua posizione non può, quindi, esserne pregiudicata, poiché il suo credito deriva direttamente dalla legge. Perciò, tenendo presente il principio secondo cui la qualificazione data dalle parti ad una determinata somma non impedisce la pretesa dell’ente al pagamento dei contributi, in quanto l’accertamento spetta al giudice, la Cassazione riteneva che, nel caso di specie, la dichiarazione di volontà di attribuire la somma come incentivo all’esodo che l’art. 12 l. n. 153/1969 esclude dalla computabilità non era plausibile, dato che il rapporto di lavoro era già cessato al momento della transazione. Non esistendo, quindi, una causa autonoma e ribadendo l’indisponibilità dei profili contributivi da parte dell’autonomia privata , la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 20 novembre 2013 – 23 aprile 2014, n. 9180 Presidente Stile – Relatore Blasutto Svolgimento del processo Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Catanzaro, riformando la sentenza di primo grado, accoglieva l'opposizione proposta da Banca Intesa avverso il decreto n. 172/98 emesso dal Giudice del lavoro di Catanzaro per il pagamento di contributi, sanzioni e somme aggiuntive sugli importi che l'opponente aveva corrisposto ai lavoratori R.M. e B.L. in esecuzione di transazioni intervenute tra le parti. La Corte di appello, premesso che le somme corrisposte dal datore di lavoro al dipendente in esecuzione di un contratto di transazione non sono dovute in dipendenza del contratto di lavoro, ma appunto del contratto di transazione, affermava che l'INPS può azionare il credito contributivo provando, con qualsiasi mezzo ed anche in via presuntiva dallo stesso contratto di transazione e dal contesto dei fatti in cui è inserito, quali siano le somme assoggettabili a contribuzione. Nel caso di specie, tale onere non era stato assolto, in quanto nulla era emerso dall'istruttoria espletata in primo grado, mentre dagli accordi transattivi, che pur avevano preso origine da rivendicazioni dei lavoratori collegate al rapporto di lavoro, era emersa la volontà delle parti di correlare le erogazioni all'esigenza di evitare l'alea del giudizio. Gli accordi contenevano, inoltre, un riferimento espresso all'incentivo all'esodo, titolo non assoggettabile a contribuzione. Per la cassazione di tale sentenza l'INPS ha proposto ricorso affidato a due motivi. La soc. Banca Intesa resiste con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo l'INPS denuncia la violazione dell'art. 1362 c.c. e dell'art. 116 c.p.c., nonché vizio di motivazione art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. , e con il secondo motivo lamenta la violazione dell'art. 12 della legge n. 153/1969 art. 360 n. 3 c.p.c. per avere la Corte di appello confuso il dato della configurabilità di un titolo autonomo portato dalla transazione con la ratio e la funzione tipica di tale contratto, il quale normalmente non reca alcun riconoscimento dell'altrui pretesa, essendo proprio questo il presupposto per addivenire ad un accordo che evita il giudizio. Non è dunque sufficiente, per escludere la riconducibilità delle erogazioni al rapporto di lavoro, che manchi uno stretto nesso di corrispettività, dovendo considerarsi che a norma dell'art. 12 legge n. 153 del 1969 tutto ciò che il lavoratore riceve, in natura o in denaro, dal datore di lavoro in dipendenza e a causa del rapporto di lavoro rientra nell'ampio concetto di retribuzione imponibile a fini contributivi e che i profili contributivi che l'ordinamento ricollega al rapporto di lavoro non sono disponibili dalle parti. Dal tenore dei verbali di conciliazione risulta che le somme erogate erano riconducibili al pregresso rapporto di lavoro, mentre il disconoscimento delle pretese dei lavoratori è clausola di stile, funzionale a rendere possibile la regolazione transattiva del rapporto, ma priva di un preciso significato interpretativo. Parimenti, privo di rilievo è il riferimento all'incentivazione all'esodo, che costituisce una formula di copertura, peraltro contrastante con la cessazione già avvenuta del rapporto di lavoro. Comunque, non era stato debitamente considerato, quanto alla posizione del lavoratore R. , che vi erano somme imputabili a TFR e a differenze retributive, indicative della riferibilità della transazione al rapporto di lavoro, e, quanto alla posizione del B. , che dal libero interrogatorio del lavoratore era emerso che erano state rivendicate differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori e che questa era la vera causale della erogazione, mentre privo di un concreto fondamento era il riferimento all'incentivo all'esodo. Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto. Preliminarmente, deve rilevarsi che nel ricorso per cassazione risultano riportati integralmente i testi delle due transazioni, oltre alla copia del verbale del libero interrogatorio del B. , ossia gli atti sui quali i ricorso si fonda, restando così assolto il requisito dell'autosufficienza, in relazione a quanto prescritto dall'art. 366 n. 6 c.p.c. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di interpretazione del contratto - riservata al giudice del merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione - al fine di far valere i suddetti vizi, il ricorrente per cassazione, per il principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, deve riportare il testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto nella sua originaria formulazione, o della parte in contestazione, precisare quali norme ermeneutiche siano state in concreto violate e specificare in qual modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sia discostato Cass. n. 8296 del 2005, conf. Cass. 3075 del 2006, n. 11661 del 2006,1825 del 2007 . Ciò premesso, va osservato che l'art. 12 legge n. 153 del 1969 nella sua originaria formulazione, applicabile alla fattispecie ratione temporis , stabiliva che, per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale, si considera retribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in danaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro . Restavano escluse dalla retribuzione imponibile le somme corrisposte al lavoratore per i titoli tassativamente elencati nella stessa norma. A sua volta, l'art. 4, comma 2 bis, decreto legge 30 maggio 1988, n. 173, conv. in legge 26 luglio 1988, n. 291, ha previsto che la disposizione recata nel secondo comma, numero 3 , del testo sostitutivo di cui all’articolo 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153, va interpretata nel senso che dalla retribuzione imponibile sono escluse anche le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori . La retribuzione, considerata dal legislatore ai fini contributivi, non coincide con quella generalmente data ai fini della disciplina del rapporto di lavoro subordinato art. 2099 c.c. , tant'è che il legislatore il quale, non a caso, nel capoverso dell'art. 12 usa l'espressione si considera retribuzione - con la locuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in dipendenza del rapporto di lavoro - ha adottato il principio di causalità, ampliando sostanzialmente il normale concetto di retribuzione, poiché il concetto di retribuzione imponibile, di cui al citato art. 12, supera il principio di corrispettività, dal momento che comprende non soltanto gli emolumenti corrisposti in funzione dell'esercizio di attività lavorativa, ma anche gli importi, che, pur senza trovare riscontro in una precisa ed eseguita prestazione lavorativa, costituiscono adempimenti di obbligazioni pecuniarie imposte al datore di lavoro da leggi o da convenzioni nel corso del rapporto di lavoro ed aventi titolo ed origine dal contratto di lavoro, restando escluse le erogazioni derivanti causa autonoma Cass. Sez. Un. n. 3292 del 1985 . Nel contempo il legislatore ha indicato le ipotesi eccettuative, per modo che al di fuori di esse non ne sono ammesse altre. Infatti, l'elencazione da parte dell'art. 12 della legge n. 153 del 1969 degli emolumenti esclusi, in tutto o in parte, ai fini del computo dei contributi previdenziali ha carattere esplicitamente tassativo e non sono quindi ammissibili analogie ed equiparazioni, se non nei limiti puntualmente individuati da successive disposizioni. Ne risulta, perciò, un sistema di chiusura, che, mentre consente al giudice di merito di verificare se gli emolumenti previsti dalla contrattazione collettiva o individuale, o concessi unilateralmente dal datore rientrano nel concetto di retribuzione previdenziale, come voluto dal legislatore, impedisce alle parti collettive o individuali di attribuire direttamente ad un emolumento natura difforme da quella conferita ex lege mediante previsioni o denominazioni, comunque simulate, essendo riservata al giudice la facoltà di accertare la concreta funzione svolta dall'emolumento. Se è vero che in alcune, risalenti pronunce di questa Corte è stato ritenuto che le erogazioni del datore di lavoro derivanti da titolo transattivo, finalizzato non ad eliminare la res dubia oggetto della lite ma ad evitare il rischio della lite stessa, che non contenga un riconoscimento neppure parziale del diritto del lavoratore, sono da considerarsi non in dipendenza ma in nesso di mera occasionalità con il rapporto di lavoro e, pertanto, non assoggettabili a contribuzione assicurativa ai sensi dell'art. 12 legge 30 aprile 1969 n. 153 Cass. n. 49/1997, n. 6923/96 , la giurisprudenza più recente - e qui condivisa - ha affermato che, al fine di valutare se siano assoggettabili a contribuzione obbligatoria le erogazioni economiche corrisposte dal datore di lavoro in favore del lavoratore in adempimento di una transazione, spiega limitato rilievo la circostanza che tali somme siano pervenute al lavoratore in adempimento di un accordo transattivo, dovendosi valutare più approfonditamente non solo se manchi uno stretto nesso di corrispettività, ma se risulti un titolo autonomo, diverso e distinto dal rapporto di lavoro, che ne giustifichi la corresponsione, in quanto occorre tener conto sia del principio secondo il quale tutto ciò che il lavoratore riceve,in natura o in denaro, dal datore di lavoro in dipendenza e a causa del rapporto di lavoro rientra nell'ampio concetto di retribuzione imponibile ai fini contributivi ex art. 12 della legge n. 153 del 1969 sia della assoluta indisponibilità, da parte dell'autonomia privata, dei profili contributivi che l'ordinamento collega al rapporto di lavoro Cass. n. 11289 del 2003 . Ne consegue che, ai fini di cui all'art. 12 della legge n. 153 del 1969, l'indagine del giudice di merito sulla natura retributiva o meno delle somme erogate al lavoratore del datore di lavoro non trova alcun limite nel titolo formale di tali erogazioni inoltre, per escludere la computabilità di un istituto non è sufficiente la mancanza di uno stretto nesso di corrispettività, ma occorre che risulti un titolo autonomo, diverso e distinto dal rapporto di lavoro, che ne giustifichi la corresponsione cfr. Cass. n. 6663/2002 . Difatti, sul fatto costitutivo dell'obbligazione contributiva, che ha natura di obbligazione pubblica nascente ex lege , non può incidere in alcun modo una volontà negoziale che regoli in maniera diversa l'obbligazione retributiva, ovvero risolva con un contratto di transazione la controversia insorta in ordine al rapporto di lavoro, precludendo alle parti del rapporto stesso il relativo accertamento giudiziale vedi Cass. n. 3122/2003 . Il rapporto assicurativo e l'obbligo contributivo ad esso connesso sorgono con l'instaurarsi del rapporto di lavoro, ma sono del tutto autonomi e distinti, nel senso che l'obbligo contributivo del datore di lavoro verso l'istituto previdenziale sussiste indipendentemente dal fatto che gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore d'opera siano stati in tutto o in parte soddisfatti, ovvero che il lavoratore abbia rinunciato ai suoi diritti cfr. tra le numerose decisioni, Cass. 15 maggio 1993, n. 5547 13 aprile 1999, n. 3630 . Così come il giudicato negativo, per esempio, circa la natura subordinata di un rapporto, non può spiegare influenza per i soggetti, rimasti estranei al giudizio, che siano titolari di rapporti del tutto autonomi rispetto a quello su cui è intervenuto il giudicato cfr. Cass. n. 2795/1999 n. 4821/1999 , così la transazione tra datore di lavoro e lavoratore non può esplicare effetti riflessi sulla posizione dell'Inps, che fa valere in giudizio il credito contributivo derivante dalla legge e non dalla transazione. Può dunque essere ribadito il principio che, in tema di obbligo contributivo previdenziale, la transazione intervenuta tra lavoratore e datore di lavoro è estranea al rapporto tra quest'ultimo e l'INPS, avente ad oggetto il credito contributivo derivante dalla legge in relazione all'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato Cass. n. 17670/2007 . Nel caso di specie, la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione di tali principi ed ha seguito un percorso logico-giuridico incoerente, in quanto, pur ravvisando un nesso, almeno parziale, tra l'attribuzione patrimoniale e le rivendicazioni per inquadramento superiore, TFR o indennità di preavviso, ha poi disatteso tale relazione ponendo a carico dell'INPS l'onere di dimostrare in quale misura il titolo dell'erogazione trovasse tale giustificazione, concludendo che, in difetto di tale prova, l'intera somma doveva essere considerata estranea al rapporto di lavoro. Oltre al vizio logico intrinseco a tale opzione interpretativa, che svaluta lo stesso dato letterale assunto a fondamento del ragionamento, la soluzione si pone in contrasto con i principi sopra riportati, poiché non occorre un nesso di corrispettività per ritenere la dipendenza della erogazione dal rapporto di lavoro. Inoltre, quello che la Corte di appello qualifica come un titolo autonomo, ossia la volontà delle parti di evitare l'alea del giudizio, tale non è, esprimendo solo la funzione tipica della transazione, che è preordinata, mediante reciproche concessioni, ad evitare l'insorgere di una lite o di porre fine ad una controversia già in corso art. 1965 c.c. . Costituisce un elemento di fatto positivamente accertato dalla stessa Corte di appello che dal dato testuale degli accordi transattivi risulta che gli stessi avevano preso le mosse da pretese dei lavoratori collegate al rapporto di lavoro pag. 3 sent. imp. . Vi è, dunque, un espresso riconoscimento della derivazione causale degli accordi dalle pretese e rivendicazioni dei lavoratori a fronte di ciò, resta ininfluente, per le ragioni già esposte, la dichiarata volontà delle parti contraenti di escludere tale nesso, non potendo siffatta intenzione valere ad elidere gli effetti che la legge correla ad erogazioni comunque connesse al rapporto di lavoro. Ulteriore vizio logico della sentenza risiede nell'avere ritenuto esistente un titolo autonomo e diverso nella dichiarata volontà delle parti di attribuire la somma anche quale incentivo all'esodo. Non è stato debitamente chiarito come potesse giustificarsi tale incentivo, ossia una elargizione finalizzata ad agevolare la fuoriuscita del dipendente dall'azienda, per un rapporto di lavoro già cessato al momento della pattuizione è stata dunque ritenuta plausibile una giustificazione priva di fondamento nei dati fattuali. In conclusione, la sentenza impugnata, pur evidenziando l'esistenza di dati testuali univocamente indicativi della dipendenza delle erogazioni dal rapporto lavorativo, ha poi negato che dallo stesso contratto di transazione potesse ritenersi acquisita la prova presuntiva dei fatti posti a fondamento della pretesa contributiva dell'Istituto, così incorrendo in un vizio logico oltre che giuridico. Gli stessi dati obiettivi evidenziati dalla Corte di appello, una volta espunto il vizio che ne inficia la qualificazione, costituiscono altrettanti elementi interpretativi che consentono di ritenere fondata la pretesa dell'INPS, poiché, esclusa l'esistenza di una causa autonoma e stante l'assoluta indisponibilità, da parte dell'autonomia privata, dei profili contributivi che l'ordinamento collega al rapporto di lavoro, gli emolumenti rientravano nell'ampio concetto di retribuzione imponibile ai fini contributivi di cui all'art. 12 della legge n. 153 del 1969. La sentenza va dunque cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, deve procedersi alla decisione nel merito ai sensi dell'art. 384, secondo comma, c.p.c., con il rigetto dell'opposizione. L'esistenza di alcune pronunce di legittimità di segno parzialmente contrario giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'opposizione compensa le spese dell'intero giudizio.