Vince il concorso, ma la qualifica di inquadramento è quella esistente al momento dell’assunzione

In tema di impiego pubblico privatizzato, il diritto del candidato vincitore ad assumere l'inquadramento previsto dal bando di concorso, espletato dalla p.a. per il reclutamento dei propri dipendenti, è subordinato alla permanenza, al momento dell'adozione del provvedimento di nomina, dell'assetto organizzativo degli uffici in forza del quale il bando era stato emesso. In caso di mutamento dell’assetto organizzativo del personale, nelle more dell’espletamento del concorso pubblico, devono considerarsi diverse le posizioni di coloro che possono vantare l'esercizio di un duraturo servizio amministrativo e di quelli che per il medesimo servizio abbiano maturato soltanto un'idoneità a seguito del superamento del concorso apparendo, perciò, razionale che ad una qualifica strategica, quale quella dirigenziale, vengano ammessi ope legis solo coloro che abbiano effettivamente ricoperto le relative mansioni.

Lo afferma la Corte di Cassazione, sez. Lavoro con la sentenza n. 9088, pubblicata il 22 aprile 2014. La vicenda vincitore di concorso pubblico per dirigente tecnico, VIII livello retributivo, inquadrato all’atto dell’assunzione effettiva nella posizione di funzionario categoria D, a seguito di intervenuta riclassificazione del personale. Una dipendente di Pubblica Amministrazione proponeva ricorso al Tribunale del lavoro rivendicando l’inquadramento nella terza fascia dirigenziale prevista dalla Legge Regionale Sicilia 15 maggio 2000, n. 10, anziché nella qualifica di funzionario categoria D riconosciutale all’atto dell’assunzione effettiva. Il Tribunale adito accoglieva la domanda. Proposto appello da parte della P.A., la Corte d’Appello lo rigettava, confermando il diritto della lavoratrice alla rivendicata qualifica dirigenziale. Proponeva così ricorso in Cassazione l’Amministrazione e la Corte di Cassazione lo accoglieva, cassando la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respingendo l’originaria domanda della lavoratrice. Quest’ultima propone ora ricorso per revocazione, ex art. 395, nn. 3 e 4, c.p.c L’onere della prova nella domanda per revocazione. Preliminarmente la Corte di Cassazione affronta l’aspetto probatorio a carico di chi agisce con domanda di revocazione. La domanda di impugnazione per revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 3, c.p.c. presuppone che la parte si sia trovata nell’impossibilità di produrre il documento asseritamente decisivo nel giudizio di merito incombe sulla parte medesima l’onere di provare che l’ignoranza dell’esistenza del documento o del luogo in cui si trovava fino alla decisione della causa non era dipesa da negligenza o colpa, ma da fatto dell’avversario o da forza maggiore. La parte che agisce per revocazione deve quindi indicare, a pena di inammissibilità della domanda, le prove attraverso cui intende dimostrare il momento della conoscenza del nuovo decisivo documento. Osservano i giudici di legittimità che nel caso specifico tale onere probatorio non appare assolto, dovendosi dunque ritenere inammissibile già di per sé il ricorso proposto. Il diritto all’inquadramento previsto dal bando di concorso. Secondo la Suprema Corte, il ricorso è comunque da ritenersi infondato anche nel merito. In tema di pubblico impiego privatizzato il diritto del candidato vincitore ad assumere l’inquadramento previsto dal bando di concorso è subordinato alla permanenza, al momento dell’adozione del provvedimento di nomina del vincitore, dell’assetto organizzativo degli uffici in base al quale il bando venne emesso. E’ pur vero che la costante giurisprudenza della Suprema Corte ha affermato che l’approvazione della graduatoria finale del concorso pubblico fa nascere in favore del candidato vincitore il diritto soggettivo all’assunzione. Ma, ove nelle more tra emanazione del bando ed ultimazione delle operazioni sia mutato l’assetto organizzativo dell’amministrazione, il candidato sarà assunto in base alla nuova qualifica corrispondente. La L.R. n. 10 /2000. Nel caso in esame il concorso venne bandito con provvedimento del 29 marzo 2000 per 39 posti di dirigente tecnico con inquadramento retributivo nell’allora VIII livello. L’intervenuta Legge Regionale del 10 maggio 2000 modificò l’assetto organizzativo dell’Amministrazione, nelle more della procedura concorsuale e prima della sua ultimazione e adozione della relativa graduatoria. Tale norma ha previsto due fasce di inquadramento del personale dirigenziale più una terza riservata al personale con qualifica di dirigente tecnico o amministrativo o ad essa equiparata, in servizio alla data di entrata in vigore delle legge stessa. Deve ritenersi che sia stata fatta corretta applicazione del principio giuridico sopra enunciato, circa il diritto all’inquadramento previsto dal bando solo se esistente all’atto dell’assunzione. Da ciò discende che il documento nuovo su cui si fonda il proposto ricorso per revocazione non sia affatto decisivo, idoneo a provocare una diversa decisione da parte del giudice della revocanda sentenza. Va precisato che il predetto nuovo documento consiste in provvedimenti di assunzione da parte di altra amministrazione regionale, di vincitori di concorso per VIII livello, poi inquadrati nella terza fascia dirigenziale. Con scansione temporale identica al caso qui in esame. Ma la Corte di legittimità richiama a tal proposito delle pronunce delle Sezioni Unite che già avevano affrontato fattispecie analoghe a quella in esame, negando il diritto all’inquadramento previsto dal bando di concorso, ma non più esistente al momento dell’effettiva presa di servizio. E di tale principio di diritto era stata fatta corretta applicazione nella censurata sentenza. In conclusione, il ricorso per revocazione è stato dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 gennaio – 22 aprile 2014, n. 9088 Presidente Stile – Relatore Blasutto Svolgimento del processo Con decreto 29 marzo 2000 l'Assessorato dei Beni culturali della Regione Sicilia bandiva un concorso per la copertura di 39 posti di dirigente tecnico storico dell'arte del ruolo tecnico dei beni culturali, stabilendo che ai vincitori del concorso ammessi all'impiego sarebbe stato corrisposto, dalla data dell'effettiva assunzione in servizio, il trattamento economico corrispondente all’VIII livello retribuivo. Nelle more dell'espletamento della procedura concorsuale, la legge regionale n. 10/2000 operava una riorganizzazione e riclassificazione del personale prevedendo l'inquadramento del personale dirigenziale in due fasce e, in via transitoria, una terza fascia riservata al personale con la qualifica di dirigente amministrativo e tecnico o equiparato in servizio alla data di entrata in vigore della stessa legge. F.G. , premesso di essere vincitrice del anzidetto concorso, chiedeva di essere inquadrata nella terza fascia dirigenziale prevista dalla L.R. 15 maggio 2000, n. 10 invece che nella qualifica di funzionario cat. D riconosciutale dall'Amministrazione. La domanda veniva accolta dal Giudice del lavoro di Messina, con sentenza confermata in appello, la quale formava oggetto di ricorso per cassazione dell'Assessorato regionale dei Beni culturali. Con sentenza n. 20568 del 2010 la Corte di cassazione accoglieva l'impugnazione cassava la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respingeva l'originaria domanda, in base alle seguenti considerazioni - il concorso era stato bandito prima dell'entrata in vigore della L. n. 10/2000, di riforma dello stato giuridico del personale dell'Amministrazione regionale, e si era concluso in momento successivo - tale legge aveva comportato il cambiamento della classificazione del personale e, pur essendo la selezione concorsuale stata effettuata con riferimento ai soppressi ruoli tecnici dei beni culturali, l'inquadramento dei vincitori era avvenuto nelle categorie professionali di nuova istituzione - la ricorrente non poteva vantare alcun diritto all'inquadramento nel ruolo unico della dirigenza istituito dalla L. n. 10, neppure nella terza fascia, prevista a titolo provvisorio in sede di prima applicazione, in quanto non poteva trovare applicazione né l'art. 6, per il quale nella terza fascia era inquadrato solo il personale già in servizio alla data di entrata in vigore della legge, né l'art. 5, comma 3, che faceva salvi i concorsi già banditi ma al solo fine di derogare al divieto di assunzione dalla stessa norma fissato fino al 31.12.03 e non anche al fine ulteriore, che la norma non contemplava di equiparare il personale già in servizio e di quello che all'esito del concorso avrebbe maturato il diritto all'assunzione - in particolare, nessun riferimento alle selezioni concorsuali in corso di svolgimento era contenuto nella previsione riguardante l'accesso alla terza fascia dirigenziale - in tale contesto normativo, i vincitori del concorso non potevano più vantare il diritto alla qualifica professionale indicata nel bando, abolita dal contratto collettivo integrativo stipulato successivamente alla pubblicazione del bando medesimo. Tale sentenza è ora impugnata da F.G. con ricorso per revocazione affidato a due motivi, il primo formulato ai sensi dell'art. 395 n. 3, anche in relazione al n. 1, cod. proc. civ. e il secondo ai sensi dell'art. 395 n. 4 cod. proc. civ L'Amministrazione regionale resiste con controricorso. Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ Motivi della decisione Con il primo motivo del ricorso per revocazione, proposto ex art. 395 nn. 3 e 1 cod. proc. civ., si sostiene che la Corte di cassazione aveva giudicato sul presupposto che, a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 10/2000, i posti di dirigente tecnico VIII livello non fossero più disponibili nel nuovo assetto organizzativo, situazione tale da giustificare - nel contesto della soluzione interpretativa seguita dalla sentenza impugnata - l'inquadramento nella categoria D, quale ripiego necessitato dal fatto della inesistenza nel regime del personale della regione Sicilia dei posti messi a concorso. Tale presupposto si era rivelato inesistente a seguito di fatti scoperti successivamente alla sentenza e maliziosamente celati da controparte , poiché successivamente al deposito della sentenza della S.C. avvenuto l’1.10.2010 , la ricorrente si era del tutto casualmente imbattuta in una notizia di stampa, secondo la quale presso taluni Assessorati della Regione Siciliana sarebbero stati assunti - nel corso degli anni successivi all'entrata in vigore della l.r. n. 10/2000 - alcuni dipendenti nella qualifica di dirigente tecnico VIII livello, oggi terza fascia dirigenziale, con determinazioni di nomina successive, si ripete, all'entrata in vigore della citata legge regionale . Trattandosi di notizia di stampa generica e priva di ogni requisito di ufficialità , era stata avanzata all'Amministrazione istanza di accesso ai documenti ex artt. 22 e segg. della legge n. 241/90 con atto del 2.12.2010. A tale istanza era stato dato riscontro con nota prot. n. 31935 del 21.2.2011 e con nota prot. 49158 del 22.3.2011 con la prima erano stati forniti documenti riguardanti alcuni vincitori di un concorso per dirigente tecnico di VIII livello del ruolo tecnico bilancio e con la seconda documenti riguardanti alcuni vincitori di analogo concorso per dirigente tecnico del settore finanze e credito in entrambi i casi si era trattato di concorsi banditi prima della legge n. 10/2000, in cui i relativi vincitori erano stati nominati nella qualifica di dirigente tecnico VIII livello con decreti di nomina successivi alla legge medesima. Si trattava dunque di decreti emessi da altri Assessorati della Regione Lazio in fattispecie identiche a quella in cui versava la ricorrente. Era così smentito il presupposto da cui muoveva la sentenza impugnata, a fronte dei nuovi documenti, di carattere decisivo, scoperti successivamente al passaggio in giudicato della pronuncia definitiva del giudizio, vertenti su un fatto maliziosamente nascosto dall'Amministrazione . Con il secondo articolato motivo, si denuncia errore di fatto ex art. 395 n. 4 cod. proc. civ. per avere la Corte di cassazione omesso di esaminare i pareri nn. 644/06, 5/09 e 206/09 del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, aventi carattere vincolante, ma disattesi dall'Amministrazione regionale la particolare natura del parere del C.G.A. imponeva al Governo regionale di conformare la propria azione alle direttive assunte dal Consiglio di Giustizia Amministrativa, mentre ciò non era avvenuto avendo l'Assessorato regionale per i beni culturali proposto ricorso per cassazione onde ottenere un risultato in contrasto con tali indicazioni inoltre, la determinazione di proporre, nei confronti dell'attuale ricorrente, il ricorso per cassazione aveva comportato una disparità di trattamento, poiché nei confronti di altri vincitori del medesimo concorso l'Amministrazione aveva lasciato passare in giudicato le sentenze di appello favorevoli ai lavoratori. Tali circostanze, introdotte in sede difensiva da parte controricorrente, erano state del tutto pretermesse, per mera svista, dal Collegio giudicante, che inoltre aveva trascurato di considerare che l'Assessore regionale in sede parlamentare aveva riconosciuto le ragioni dei vincitori e così delegittimato l'ulteriore iniziativa processuale. Pertanto, il ricorso per cassazione era stato proposto in carenza di legittimazione e/o di interesse. Altra questione pretermessa nella sentenza impugnata verteva sui profili di inammissibilità del quesito di diritto formulato dall'Amministrazione ricorrente ex art. 366 bis cod. proc. civ., non essendo stato considerato che la risposta positiva al quesito presupponeva una positiva rivalutazione delle circostanze di fatto positivamente accertate dai giudici di merito, e precisamente la non corrispondeva tra la qualifica di ex dirigente tecnico di VIII livello e la posizione D1 attribuita dall'Amministrazione, essendo quest'ultima deteriore sia economicamente che giuridicamente. Ulteriore errore revocatorio ex art. 395 n. 4 cod. proc. civ. era ravvisabile nella mancata pronuncia sulla ammissibilità e rilevanza della questione di illegittimità costituzionale sollevata in via gradata dalla difesa, in quanto il legislatore regionale, con il proprio intervento, aveva sacrificato i vincitori dei concorsi in corso di espletamento per dirigente tecnico storico dell'arte, trattando questi, pur a parità di condizioni, in maniera ingiustificatamente difforme e deteriore dai loro colleghi già in servizio, escludendoli dalla nuova qualifica dirigenziale e relegandoli nella posizione di funzionario semplice nell'ambito della categoria D. Tale comportamento integrava una palese violazione dei principi di trasparenza e imparzialità dell'azione amministrativa e di parità di trattamento, in contrasto con gli artt. 3, 36 e 97, Cost Il ricorso, nelle sue diverse articolazioni, è inammissibile. Preliminarmente, in relazione all'ipotesi di cui all'art. 395 n. 3 cod. proc. civ., scarsi elementi conoscitivi sono stati forniti a questa Corte da parte ricorrente per revocazione circa l'impossibilità incolpevole del rinvenimento dei documenti in epoca anteriore al passaggio in giudicato della sentenza impugnata, posto che il dies a quo del termine per la proposizione dell'impugnazione si identifica non nella materiale apprensione del documento cfr. Cass. n. 5604/85 e nemmeno nella lettera di trasmissione del documento, ove manchi la prova dell'oggettiva scoperta solo in tale momento del documento ritenuto determinante ai fini del giudizio cfr. Cass. n. 5873 del 1985 . Ed infatti, ai fini dell'ammissibilità dell'impugnazione per revocazione, ai sensi dell'art. 395, n. 3, cod. proc. civ., è necessario che la parte si sia trovata nell'impossibilità di produrre il documento asseritamente decisivo nel giudizio di merito, incombendo sulla stessa parte, in quanto attrice nel relativo giudizio, l'onere di dimostrare che l'ignoranza dell'esistenza del documento o del luogo ove esso si trovava fino al momento dell'assegnazione della causa a sentenza non era dipeso da colpa o negligenza, ma dal fatto dell'avversario o da causa di forza maggiore. In particolare, per giurisprudenza di questa Corte cfr. - tra tutte - le sentenze 23.2.1993, n. 2211 19.12.1997, n. 12867 la parte che propone impugnazione per revocazione a norma dell'art. 395, n. 3, cod. proc. civ. è tenuta ad indicare, a pena di inammissibilità, le prove attraverso le quali intende dimostrare la data in cui ha avuto notizia dell'esistenza del documento ritenuto decisivo prove che debbono essere particolarmente rigorose quando si tratta di documento esistente presso la p.a. cfr. Cass. 7 aprile 1995, n. 4062 Cass. 25 ottobre 1999 n. 11947 . Si assume, poi, che i documenti vertevano su un fatto accesso alla terza fascia dirigenziale mediante decreti di nomina successivi alla data di entrata in vigore della legge n. 10/2000 anche a causa del doloso silenzio dell'Amministrazione . L'impossibilità incolpevole di conoscenza anteriore è attribuita a fatto dell'avversario art. 395 n. 3 cod. proc. civ. , ma al riguardo è sufficiente osservare che, per l'integrazione di tale fattispecie, è necessario fornire la prova della specifica iniziativa probatoria della parte nel giudizio di merito e di un comportamento ostativo della controparte, non essendo sufficiente allegare la mancata collaborazione Cass. n. 6821/2009, cfr pure Cass. n. 8615 del 2011 . In ogni caso, i documenti di cui si discute sono privi del carattere di decisività. Occorre svolgere alcune premesse di ordine generale circa la vicenda giudiziaria in esame. La L.R. Sicilia n. 10 del 2000 aveva previsto un ruolo unico della dirigenza articolato in due fasce, in relazione al livello di professionalità e di responsabilità , istituendo, ma soltanto in sede di prima applicazione della nuova disciplina, altresì una terza fascia in cui è inquadrato il personale con la qualifica di dirigente amministrativo e tecnico o equiparato ai sensi della normativa previgente in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge . In particolare, l'art. 5, comma 3, dell'anzidetta legge regionale aveva stabilito che fino al 31 dicembre 2003 è fatto divieto all'amministrazione regionale di indire concorsi per l'assunzione di nuovo personale, fermi restando i concorsi già banditi, . L'art. 6 ordinamento della dirigenza , comma 1, della stessa legge aveva, a sua volta, previsto che nell'amministrazione regionale e negli enti di cui all'articolo 1, la dirigenza è ordinata in un unico ruolo articolato in due fasce, in relazione al livello di professionalità e di responsabilità. La distinzione in fasce ha rilievo agli effetti del trattamento economico ed ai fini del conferimento degli incarichi dirigenziali. Nella prima applicazione della presente legge è altresì istituita una terza fascia in cui è inquadrato il personale con la qualifica di dirigente amministrativo e tecnico o equiparato ai sensi della normativa previgente in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge”. Fra i concorsi già banditi al momento dell'entrata in vigore della legge regionale n. 10/2000 vi era quello per n. 39 posti di dirigente tecnico storico dell'arte, oggetto della controversia in esame, senza che nessuna disposizione risultasse emanata per regolamentare l'inquadramento dei vincitori. Questi ultimi, tra i quali l'attuale ricorrente, venivano inquadrati nella categoria D, posizione D1. All'esito del giudizio avviato dall'odierna ricorrente - che aveva sostenuto che ai fini dell'inquadramento nella terza fascia dirigenziale, in relazione alla previsione di cui all'art. 6, dovevano intendersi dirigenti in servizio presso l'amministrazione regionale anche coloro i quali fossero risultati vincitori di concorsi già banditi alla data di emanazione della legge anzidetta, poiché tali concorsi erano stati fatti salvi dall'art. 5 della legge - questa Corte, con la sentenza n. 20544/2010 ora impugnata, cassando la sentenza di appello e decidendo nel merito ex art. 384, comma 2, cod. proc. civ., ha rigettato l'originaria domanda, osservando che la terza fascia riguardava un numero chiuso di soggetti, identificati in quelli in servizio al momento dell'entrata in vigore della legge n. 10/2000, mentre la deroga al divieto di nuove assunzioni contenuta nell'art. 5 comma 3 non spiegava alcun effetto sulla regola stabilita per l'accesso alla terza fascia. La medesima questione - che aveva formato oggetto di ulteriori ricorsi promossi da altri lavoratori che versavano nella medesima situazione giuridica dell'attuale ricorrente - è stata, nelle more, rimessa alle Sezioni unite di questa Corte con ordinanze della sezione lavoro del 27.1.2012. Le Sezioni unite si sono pronunciate con le sentenze nn. 16728 e 16730 del 2012 e, nel confermare la soluzione interpretativa di cui alla sentenza n. 20544 del 1 ottobre 2010 e delle analoghe sentenze nn. 20568 e 20569 del 4 ottobre 2010 , hanno affermato che il comma terzo dell'art. 5, recante il divieto all'amministrazione regionale di indire concorsi per l'assunzione di nuovo personale fino al 31 dicembre 2003 fermi restando i concorsi già banditi , intendeva derogare, limitatamente ai posti compresi in questi ultimi, al divieto di nuovi reclutamenti, senza tuttavia equiparare la posizione del personale già in servizio a quella di coloro che avrebbero maturato il diritto all'assunzione all'esito dei concorsi stessi. Le Sezioni unite hanno osservato che la legge era intervenuta successivamente all'emanazione del bando e prima della conclusione delle operazioni concorsuali, cambiando medio tempore il quadro normativo nel cui ambito il bando stesso era intervenuto, e che in tale fattispecie poteva legittimamente operare lo ius superveniens che aveva determinato la soppressione della vecchia qualifica funzionale. Hanno pure ritenuto tale soluzione conforme al principio desumibile dall'art. 97 Cost., per il quale la Pubblica Amministrazione, nell'organizzare i suoi uffici, è tenuta a conformare la propria azione ai principi di imparzialità, efficienza e legalità. In tema di impiego pubblico privatizzato, il diritto del candidato vincitore ad assumere l'inquadramento previsto dal bando di concorso, espletato dalla P.A. per il reclutamento dei propri dipendenti, è subordinato alla permanenza, al momento dell'adozione del provvedimento di nomina, dell'assetto organizzativo degli uffici in forza del quale il bando era stato emesso. Le S.U., pur ritenendo in via generale che anche nel pubblico impiego privatizzato l'espletamento della procedura concorsuale, con la compilazione della graduatoria finale e la sua approvazione, fa nascere nel candidato utilmente collocato il diritto soggettivo all'assunzione secondo le modalità fissate dal bando di concorso, hanno precisato che nella presente controversia, tuttavia, si pone un problema specifico, e cioè quali siano le conseguenze sulla posizione del candidato vincitore, ove successivamente all'emanazione del bando e prima della conclusione delle operazioni concorsuali, sia cambiato il quadro normativo nel cui ambito il bando stesso era intervenuto . Hanno quindi rilevato come la fattispecie riguardante il concorso di cui al decreto assessoriale del 29 marzo 2000, con cui venne bandito il concorso per n. 39 posti di dirigente tecnico storico dell'arte del ruolo dei beni culturali, fosse connotato dalla particolarità dell'essere la legge regionale n. 10/2000 intervenuta nella more della procedura concorsuale e prima della sua definizione in tale contesto il mutamento del quadro organizzativo risultava intervenuto prima che il candidato risultasse, con l'approvazione della graduatoria, vincitore del concorso. Sulla scorta di tali preliminari considerazioni, deve ritenersi che, ove pure si ammettesse l'esistenza di profili di affinità tra la vicenda che ha interessato i vincitori del concorso per i ruoli bilancio e finanza e quella che ha invece riguardato i vincitori del concorso per il ruolo beni culturali e, in via di mera ipotesi, si ritenesse che nei confronti dei primi, con trattamento ingiustificatamente più favorevole, l'Amministrazione non abbia fatto applicazione della regola secondo cui il diritto del candidato vincitore ad assumere l'inquadramento previsto dal bando di concorso è subordinato alla permanenza, al momento dell'adozione del provvedimento di nomina, dell'assetto organizzativo degli uffici in forza del quale il bando venne emesso, non potrebbe comunque tale comportamento tenuto dalla P.A. giovare all'odierna ricorrente, nei cui confronti la regola enunciata è stata correttamente applicata e che non potrebbe far derivare il proprio insussistente diritto da una ipotetica violazione commessa dall'Amministrazione a vantaggio di altri. È dunque da escludere il carattere decisivo dei documenti su cui si fonda il primo motivo del ricorso per revocazione, essendo costante nella giurisprudenza di questa Corte l'affermazione che la decisività del documento, ai fini della proponibilità della domanda di revocazione a norma dell'art. 395, n. 3, cod. proc. civ., postula che esso sia idoneo, mediante la prova diretta dei fatti di causa, a provocare una statuizione diversa, evidenziando che il giudice della sentenza revocanda avrebbe adottato una pronuncia di segno opposto ove ne avesse avuto conoscenza Cass. n. 13650 del 2004, n. 11056 del 2006 . Anche il secondo motivo, in relazione a ciascuno dei rilievi mossi alla sentenza impugnata, è inammissibile. Occorre premettere che l'istanza di revocazione di una sentenza della Corte di cassazione, proponibile ai sensi dell'art. 391 cod. proc. civ., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all'art. 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l'esistenza o l'inesistenza di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso o accertato in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato. L'errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l'altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio Cass. n. 22171 del 2010 . Segnatamente, quanto al primo rilievo mosso alla sentenza impugnata, deve rilevarsi che la dedotta omessa valutazione dei pareri espressi dal Consiglio di giustizia amministrativa non è configurabile come errore revocatorio, in quanto investe direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico ed è pertanto inammissibile. Per il resto, la censura denuncia l'omesso esame di argomentazioni giuridiche non debitamente considerate, che del pari non può integrare un errore di fatto riconducibile all'art. 395, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. cfr. Cass. n. 714 del 2012 . In ordine al secondo argomento, che involge la formulazione del quesito di diritto da parte dell'allora ricorrente Assessorato, deve rilevarsi che la questione dell'ammissibilità del ricorso ex art. 366 bis cos. proc. civ. risulta espressamente affrontata dalla sentenza impugnata, che ha ritenuto il quesito perfettamente conforme alle prescrizioni di legge e dunque idoneo a devolvere la questione di diritto alla cognizione della Corte, per cui non può ritenersi che la questione sia stata omessa per mera svista, mentre la valutazione compiuta dal giudice di legittimità non è suscettibile di riesame per mezzo del ricorso per revocazione. Quanto alla deduzione di omesso esame della questione di illegittimità costituzionale, non risulta che la stessa fosse stata proposta in sede di controricorso, in ogni caso, come già osservato in altre sentenze del giudice di legittimità, è escluso ogni rimedio giurisdizionale e, quindi, anche l'istanza per revocazione contro l'omesso esame, da parte della Corte di Cassazione, delle eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate dalla parte cfr. Cass., Sezioni Unite, n. 2367 del 1973 . In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile. La complessità della vicenda giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso per revocazione e compensa le spese del presente giudizio.