Danno da demansionamento? Mai presentarsi dal giudice a mani vuote

Si deve rigettare la domanda di un lavoratore, che ha subito un demansionamento, al risarcimento di un danno patrimoniale, se non fornisce prove o allegazioni del male subito.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 6965, depositata il 25 marzo 2014. Il caso. La Corte d’appello di Potenza rigettava la domanda del lavoratore di una banca nei confronti del proprio datore di lavoro, diretta ad ottenere un risarcimento del danno causato da mobbing in seguito alle sanzioni disciplinari inflittegli e dal demansionamento subito. I giudici di merito avevano escluso la sussistenza del mobbing , in ragione della legittimità delle sanzioni disciplinari e del licenziamento subiti. Il demansionamento c’è stato, ma era legittimo. In quanto al demansionamento, la Corte territoriale ne riconosceva la sussistenza, ma non comportava né la configurabilità di una condotta discriminatoria, in considerazione dell’oggettiva rilevanza della riorganizzazione aziendale, né danno patrimoniale, non avendo il lavoratore nulla allegato al riguardo, né danno non patrimoniale, risultando che tale demansionamento non aveva comportato alcuna conseguenza sull’equilibrio fisico e che la patologia insorta due anni dopo costituiva il precipitato di eventi lavorativi avversativi e successivi, vissuti dolorosamente e per nulla accettati. Il lavoratore ricorreva in Cassazione, sostenendo l’incongruità della motivazione, in quanto pur riconoscendo, rispetto all’assegnazione alle mansioni di cassiere, un demansionamento, veniva negata la sussistenza sia del danno patrimoniale che di quello non patrimoniale. Nessuna prova di danni. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione approvava il percorso logico seguito dai giudici di merito. Ai fini del riconoscimento di un danno patrimoniale, è, infatti, necessario fornire prove o allegazioni del male subito. Inoltre, sulla base della ctu espletata e della documentazione degli atti, era emerso che nessuna patologia psico-fisica era conseguita dal demansionamento effettuato e che neanche quella, insorta due anni dopo, aveva avuto origine, o comunque era collegabile, a tale situazione fattuale. Questa decisione era basata, anche, sulla mancanza di emergenze istruttorie, tali da poter indurre ad una diversa conclusione. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 febbraio - 25 marzo 2014, numero 6965 Presidente Miani Canevari – Relatore Napoletano Svolgimento del processo La Corte di Appello di Potenza, con la sentenza di cui si chiede la cassazione, confermando la sentenza del Tribunale di Matera, rigettava la domanda di V.M. , proposta nei confronti della Banca Popolare del Mezzogiorno già Banca Popolare del Materano , di cui era stato dipendente - con inquadramento da ultimo nella III area professionale, II livello retributivo - diretta ad ottenere la declaratoria del suo diritto al superiore inquadramento nella superiore area professionale, o quantomeno nel superiore livello retributivo, con condanna della Banca al pagamento delle relative differenze retributive il risarcimento del danno da mobbing e da demansionamento l'accertamento della natura ritorsiva del licenziamento intimatogli dalla Banca la declaratoria d'illegittimità delle sanzioni conservative comminate dal datore del lavoro e la illegittimità del predetto licenziamento con tutte le conseguenze economiche e giuridiche. A fondamento del decisum la Corte del merito, relativamente all'invocato superiore inquadramento,accertava che, con riferimento alle mansioni svolte, non spettava nemmeno il superiore livello retributivo dell'Area professionale di appartenenza in quanto l'attività svolta non era diretta al raggiungimento dei risultati aziendali - come invece richiesto dalla declaratoria contrattuale del superiore livello retributivo - ma di completamento, senza alcuna autonomia se non meramente esecutiva, interno delle procedure all'esito del perfezionamento del prodotto commerciale, del servizio, dell'operazione bancaria in genere senza alcuna combinazione di risorse e necessità di modulare la propria azione con quella degli altri. Rilevava, poi, la Corte del merito, quanto al mobbing che correttamente il giudice di primo grado aveva escluso la ricorrenza in ragione della legittimità delle sanzioni disciplinari, del licenziamento e dell'inquadramento. Quanto al demansionamento la Corte territoriale ne riconosceva la sussistenza rispetto a quelle di Cassiere svolte dal 2001 non rientranti nell'inquadramento rivestito ma che non comportava, e la configurabilità di una condotta discriminatoria in considerazione dell'oggettiva rilevanza della riorganizzazione aziendale, e danno sia patrimoniale -non avendo il lavoratore nulla allegato al riguardo - sia non patrimoniale - risultando che detto demansionamento non comportò alcuna conseguenza sull'equilibrio psico-fisico e che la patologia insorta nel 2003 costituiva il precipitato di eventi lavorativi avversativi e successivi vissuti dolorosamente e per nulla accettati. Relativamente alla tempestività delle sanzioni conservative rilevava la Corte del merito che il lasso di tempo, rispettivamente di diciassette giorni e di sedici giorni relativamente alla prima ed alla seconda sanzione, non costituivano un tempo eccessivo e potenzialmente lesivo dei diritti di difesa del lavoratore tenuto conto, anche per la seconda sanzione, dei tempi di accertamento. Circa il merito delle sanzioni conservative e del licenziamento la Corte di Appello ne riteneva la legittimità rilevando la materiale sussistenza delle mancanze contestate e la illiceità in senso oggettivo e generale dei comportamenti addebitati contrastanti con i doveri fondamentali della deontologia del dipendente bancario sì da ledere gravemente il rapporto di fiducia della Banca poiché negavano la garanzia dei futuri comportamenti. Avverso questa sentenza V.M. ricorre in cassazione sulla base di otto censure. Resiste con controricorso la Banca intimata che propone impugnazione incidentale assistita da un unico motivo cui resiste con controricorso V.M. . La Banca deposita memoria illustrativa. Motivi della decisione Preliminarmente i ricorsi vanno riuniti riguardando l'impugnazione della stessa sentenza. Con i primi due motivi del ricorso principale, formulati congiuntamente, deducendosi vizio di motivazione - rispettivamente per erronea valutazione delle risultanze processuali in ordine alle mansioni corrispondenti, e alla III area professionale, e alla IV area professionale - nonché violazione dell'art. 342 c.p.c., si sostiene che dall'istruttoria è emerso, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte del merito, il ruolo che il V. svolgeva di referente in materia di Rete Nazionale Interbancaria per tutti gli uffici con autonomia di funzione. Si contesta, poi, la asserita mancata specificità dei motivi di appello in ordine al rigetto della domanda d'inquadramento nel superiore profilo professionale. Le censure di vizio di motivazione sono infondate. Innanzitutto è opportuno, preliminarmente, ribadire che al fine di adempiere all'obbligo della motivazione, il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali ed a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata Cass. 25 maggio 1995 numero 5748 . Parallelamente va riaffermato che al giudice del merito spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti salvo i casi tassativamente previsti dalla legge , mentre al giudice di legittimità non è conferito il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito Cass. 12 febbraio 2008 numero 3267 e 27 luglio 2008 numero 2049 . E nella stessa ottica i giudici di legittimità hanno, altresì, precisato che nel caso in cui nel ricorso per cassazione venga prospettato come vizio di motivazione della sentenza una insufficiente spiegazione logica relativa all'apprezzamento, operato dal giudice di merito, di un fatto principale della controversia, il ricorrente non può limitarsi a prospettare una possibilità o anche una probabilità di una spiegazione logica alternativa, essendo invece necessario che tale spiegazione logica alternativa del fatto appaia come l'unica possibile cfr. in tali sensi Cass. 12 febbraio 2008 numero 3267 e 27 luglio 2008 numero 20499 . Alla luce di tali principi cardini del nostro ordinamento processuale risultano, conseguentemente, del tutto infondate le censure in parola. Infatti con detto censure si mira sostanzialmente ad ottenere, in sede di legittimità, una diversa valutazione, rispetto a quella operata dal giudice del merito, delle emergenze istruttorie chiedendosi a questa Corte di legittimità di accertare un diverso contenuto dell'attività svolta dal V. . Né, e vale la pena di sottolinearlo, il ricorrente principale, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, riporta nel ricorso le dichiarazioni di tutti i testi escussi limitandosi a trascrivere le dichiarazioni rese solo da alcuni di essi V. Cass. 20 febbraio 2007 numero 3920 nonché Cass. 28 febbraio 2006 numero 4405 . Relativamente alla dedotta violazione di legge, ed in particolare dell'art. 342 c.p.c., è sufficiente rilevare che l'asserita mancata specificazione dei motivi di appello in ordine alla domanda di superiore inquadramento costituisce, nell'economia della sentenza impugnata, una autonoma e distinta ed alternativa rationes decidendi , rispetto a quella del mancato svolgimento di fatto di mansioni superiori, del rigetto del capo della domanda di cui trattasi, sicché resistendo la decisione di appello a quest'ultime rationes è del tutto ultroneo l'esame del motivo che investe l'alternativo ordine di ragioni. Invero è ius reception , nella giurisprudenza di questa Corte, il principio per il quale l'impugnazione di una decisione basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, convergenti o alternativi, autonomi l'uno dallo altro, e ciascuno, di per sé solo, idoneo a supportare il relativo dictum, per poter essere ravvisata meritevole di ingresso, deve risultare articolata in uno spettro di censure tale da investire, e da investire utilmente, tutti gli ordini di ragioni cennati, posto che la mancata critica di uno di questi o la relativa attitudine a resistere agli appunti mossigli comporterebbero che la decisione dovrebbe essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato e priverebbero l'impugnazione dell'idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata cfr., in merito, ex multis, Cass. 26 marzo 2001 numero 4349, Cass. 27 marzo 2001 n 4424 e da ultimo Cass. 20 novembre 2009 numero 24540 . Con il terzo motivo del ricorso principale, denunciandosi violazione degli artt. 113 e 132 c.p.c. si critica la sentenza impugnata in punto di ritenuta insussistenza del mobbing sul rilievo che vi è al riguardo una motivazione per relationem che non consente alcun controllo sulla stessa. Il motivo è infondato. Secondo giurisprudenza di questa Corte, qui ribadita, infatti è legittima la motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame, purché il giudice d’appello,facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto. Deve viceversa essere cassata la sentenza d'appello allorquando la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che all'affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l'esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame per tutte Cass. 11 giugno 2008 numero 15483 e Cass. 11 maggio 2012 numero 7347 . Nella specie la Corte di appello, nel sottolineare che il primo giudice ha escluso correttamente la configurabilità del mobbing in virtù della ritenuta legittimità delle sanzioni disciplinari e del recesso intimato nonché della non sussistenza del reclamato diritto alle superiori mansioni, da conto delle ragioni poste a fondamento della condivisione dell'iter argomentativo posto a base della sentenza del Tribunale. D'altro canto la Corte di Appello corrobora detta condivisione, altresì, con l’ulteriore argomentazione riportata, nella presente sentenza, in relazione all'esame della sesta critica del ricorso principale. Con la quarta e quinta censura del ricorso principale, formulate congiuntamente, denunciandosi vizio di motivazione e violazione dei principi di diritto, si sostiene l'incongruità della motivazione in quanto pur riconoscendo rispetto all'assegnazione alle mansioni di cassiere un demansionamento ha negato la sussistenza sia del danno patrimoniale che di quello non patrimoniale violando il principio di cui all'art. 41 cp. Le censure sono infondate. La Corte del merito, invero, dopo aver riconosciuto relativamente allo svolgimento delle mansioni di cassiere, il demansionamento rispetto all'inquadramento rivestito rigetta la domanda di risarcimento del danno difettando per quanto riguarda il danno c.d. patrimoniale, qualsiasi allegazione e prova, e, per quanto riguarda il danno non patrimoniale - ossia il danno biologico - non risultando alcuna conseguenza sull'equilibrio psico-fisico in quanto la patologia insorta nel 2003, costituiva il precipitato di eventi lavorativi avversativi e successivi vissuti dolorosamente e per nulla accettati. Sotto il profilo motivazionale la sentenza impugnata è congrua e formalmente logica in quanto, per un verso correttamente non riconosce il danno patrimoniale sul rilievo che manca qualsiasi prova ed allegazione e tanto è conforme a giurisprudenza di questa Corte per tutte V. Cass. 19 dicembre 2008 numero 29832 e Cass. 21 marzo 2012 numero 4479 , e dall'altro accerta, sulla base della espletata CTU e della documentazione agli atti, che alcuna patologia psico-fisica conseguì dal demansionamento del settembre 2001 escludendo, altresì, che la patologia insorta successivamente - ossia nel marzo 2003 - potesse avere avuto origine o comunque fosse collegabile alla situazione fattuale determinatasi nel settembre del 2001 e ciò sul fondante rilievo della mancanza di emergenze istruttorie tali da poter indurre ad una diversa conclusione. Né del resto, e vale la pena di rimarcarlo, il ricorrente principale trascrive il contenuto dei certificati medici di cui lamenta la non esaustiva valutazione. Tanto comporta che non vi può essere questione concernente l'applicazione del principio dell'equivalenza delle cause di cui all'art. 41 cp. Con la sesta critica del ricorso principale, allegandosi vizio di motivazione, si deduce omessa motivazione in ordine alla natura ritorsiva dell'esercizio del potere disciplinare asserendosi che la consecuzione temporale degli accadimenti è la prima prova delle ragioni ritorsive e discriminatorie che hanno determinato il licenziamento. La censura è infondata. È sufficiente al riguardo rilevare che la Corte del merito esclude la natura ritorsiva dell'irrogazione delle sanzioni disciplinari conservative e del successivo licenziamento sul coerente rilievo della legittimità, sia delle sanzioni disciplinari, sia del licenziamento,sì da implicitamente escludere ogni qualsiasi collegamento teleologico tra esercizio del potere disciplinare ed azioni giudiziarie intraprese dal V. nei confronti della Banca. Con il settimo ed ottavo motivo, anche questi formulati congiuntamente, prospettandosi violazione dei principio di diritto in materia disciplinare e vizio di motivazione, si assume che la Corte di appello, ha errato nel valutare le varie contestazioni disciplinari e nel considerare legittimo il licenziamento. I motivi per come formulati sono inammissibili in quanto in ordine alle stesse fattispecie vi è commistione di argomentazioni riferibili alla erronea ricognizione delle risultanze di causa ed all'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge sì che non è possibile distinguere quali siano gli errori riferibili al vizio di motivazione e quali alla violazione di leggi. Né può essere demandato a questa Corte d'individuare quali argomentazioni siano da rapportare alla violazione di leggi e quali al vizio di motivazione Cfr. per tutte Cass. 18 maggio 2005 numero 10420 secondo cui il ricorrente - incidentale, come quello principale -ha l'onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del processo di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione condizionante il devolutum della sentenza impugnata, nonché Cass. 23 marzo 2005 numero 6225 e Cass. 20 settembre 2013 numero 21611 . Il ricorso principale,in conclusione, va rigettato. Il ricorso incidentale proposto dalla Banca, conseguentemente, va dichiarato assorbito essendo venuta meno l'attualità del suo interesse essendo la stessa parte totalmente vittoriosa in appello. È, infatti, giurisprudenza di questa Corte che anche alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, secondo cui fine primario di questo è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d'ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita ove quest'ultima sia possibile da parte del giudice di merito. Qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell'attualità dell'interesse, sussistente unicamente nell'ipotesi della fondatezza del ricorso principale Cass. SU 6 marzo 2009 numero .5456 e Cass. SU 25 marzo 2013 numero 7381 . Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente principale parte sostanzialmente soccombente. P.Q.M. La Corte riuniti i ricorsi rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale. Condanna il ricorrente principale e al pagamento in favore del resistente delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 4500,00 per compensi oltre accessori di legge.