Quale disciplina è applicabile alla società a partecipazione pubblica?

Anche se un ente a struttura societaria può assumere natura pubblicistica, non è prevista alcuna apprezzabile deviazione rispetto alla comune disciplina privatistica delle società di capitali.

Il caso. La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3037/2014 depositata l’11 febbraio scorso, si è espressa sulla sussistenza o meno dell’obbligo di versamento dei contributi relativi alla Cassa Integrazione Guadagni ordinaria e straordinaria da parte di una società a partecipazione pubblica. Il rapporto tra la società e l’ente locale è di assoluta autonomia. La S.C. ha rilevato che, seppure anche un ente a struttura societaria possa assumere natura pubblicistica, qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge ovvero ricorrano determinate condizioni – comportanti una consistente alterazione del modello societario tipico, come, ad esempio, per Poste Italiane spa – normalmente la società per azioni con partecipazione pubblica muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché lo Stato o gli enti pubblici ne posseggano le azioni, in tutto o in parte, non assumendo rilievo alcuno, per le vicende della medesima, la persona dell’azionista, dato che tale società, quale persona giuridica privata, opera nell’esercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento con l’ente pubblico, tanto che il rapporto tra la società e l’ente locale è di assoluta autonomia, sicché non è consentito al Comune incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società per azioni mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali . È rilevante la sola disciplina privatistica delle società di capitali. Infatti, non è prevista alcuna apprezzabile deviazione rispetto alla comune disciplina privatistica delle società di capitali. Insomma, l’ente pubblico, anche nei casi in cui è socio di maggioranza, potrà influire sul funzionamento della società, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario e non avvalendosi dei poteri pubblicistici che non gli spettano.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 dicembre 2013 – 11 febbraio 2014, n. 3037 Presidente Vidiri – Relatore Bandini Svolgimento del processo La Compagnia Valdostana delle Acque - Compagnie Valdotaine des Eaux spa qui di seguito, per brevità, indicata anche come CVA , con ricorso depositato il 25.10.2007, convenne in giudizio l'Inps, chiedendo venisse accertata l'insussistenza del suo obbligo di versamento dei contributi relativi alla Cassa Integrazione Guadagni ordinaria e straordinaria, con conseguente condanna dell'Istituto alla restituzione dei contributi già versati, invocando l'esonero previsto al riguardo dall'art. 3 dl.vo cps n. 869/47 e la propria natura di impresa pubblica , anche ai sensi del dl.vo n. 163/06 e del dl.vo n. 333/03, atteso che il suo capitale era interamente posseduto dalla Finaosta spa, a sua volta partecipata al 75% dalla Regione Autonoma Valle d'Aosta. Sulla resistenza dell'Inps, in proprio e quale mandatario della SCCI spa, il Giudice adito respinse il ricorso. La Corte d'Appello di Torino, con sentenza del 12.11.2009-11.1.2010, rigettò il gravame proposto dalla CVA, rilevando l'inapplicabilità delle discipline normative dettate in ambiti assolutamente settoriali e destinate ad avere valore solo in tali ambiti, la circostanza che comunque la Regione Autonoma Valle d'Aosta non era proprietaria della CVA e neppure vi aveva una partecipazione finanziaria, la non ricorrenza nella fattispecie delle ipotesi contemplate dal dl.vo n. 267/00. Avverso tale sentenza della Corte territoriale, la Compagnia Valdostana delle Acque - Compagnie Valdotaine des Eaux spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi e illustrato con memoria. L'Inps, in proprio e quale mandatario della SCCI spa, ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo, denunciando violazione di plurime norme di legge, nonché vizio di motivazione, la ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia considerato che, con delibera del 2.4.2001, la Giunta Regionale aveva deciso di conferire alla Finaosta spa, ai sensi dell'art. 5 legge regionale n. 16/82, mandato senza rappresentanza, ai sensi dell'art. 1703 e ss cc, per l'acquisizione delle quote di partecipazione, anche totalitaria, nelle società Geval spa ora CVA e Deval spa, con la conseguenza che, stante il disposto dell'art. 1706, comma 1, cc, doveva ritenersi che la Regione mandante avesse acquistato direttamente i beni mobili nella specie le azioni societarie acquistati dalla mandataria in nome proprio. Con il secondo motivo, denunciando violazione di plurime norme di diritto, la ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia ritenuto che l'esonero dall'obbligo di versamento dei contributi de quibus sia stato mutuato dai dl.vo nn. 163/06, 333/03 e 36/06, tutti attuativi di direttive comunitarie, rinvenendosi in tali testi legislativi una definizione di impresa pubblica espressa in forma stereotipa, come tale confermativa della sua portata generale, anche in via di applicazione analogica. Con il terzo motivo, denunciando violazione di plurime norme di diritto, la ricorrente premesso che avrebbe dovuto ritenersi acclarata la portata generale della definizione di impresa pubblica contenuta nelle norme di settore richiamate e, pertanto, la validità di tale nozione anche ai fini dell'interpretazione dell'art. 3 dl.vo cps n. 869/47, deduce che la Corte territoriale avrebbe dovuto riconoscere, nel caso di specie, la natura pubblica di essa opponente, invocando altresì il giudicato interno asseritamente formatosi sulla ricorrenza delle condizioni per ritenere la qualificazione di impresa pubblica ai sensi dell'art. 3 dl.vo n. 163/06. Con il quarto motivo, denunciando violazione di norma di legge, nonché vizio di motivazione, la ricorrente si duole, subordinatamente, che la Corte territoriale abbia reso un'interpretazione formalista, piuttosto che sostanzialista, dell'art. 3 dl.vo cps n. 869/47, deducendo che dovrebbe ritenersi impresa pubblica non solo l'impresa gestita direttamente dallo Stato o da un ente pubblico, ma anche quella gestita da una società il cui capitale sia in mano pubblica. 2. In ordine al primo motivo deve rilevarsi che la Corte territoriale ha affermato in punto di fatto che la CVA è una società per azioni il cui capitale è interamente detenuto da altra società per azioni, la Finaosta spa, la quale, a sua volta, è partecipata al 75% dalla Regione Autonoma Valle d'Aosta. Tali circostanze fattuali, che la Corte territoriale definisce pacifiche, si riferiscono ovviamente al contesto esistente al momento della proposizione della domanda. Da ciò la Corte territoriale ha tratto il rilievo che la Regione Autonoma Valle d'Aosta non è proprietaria della CVA e non vi ha neppure una partecipazione finanziaria, appartenendo il 100% delle sue azioni alla Finaosta spa. 2.1 L'assunto della ricorrente, che fa leva sul disposto dell'art. 1706, comma 1, cc al fine di inferirne la proprietà delle proprie azioni in capo alla Regione Autonoma Valle d'Aosta, involge una questione fattuale che, per quanto emerge dalla sentenza impugnata, non risulta conforme alle allegazioni svolte. 2.2 In ogni caso gli effetti che si vogliono trarre dalla norma codicistica anzidetta non possono trovare applicazione ai fini del decidere nel caso che ne occupa, dovendo venire coordinati con le disposizioni che concernono le società per azioni con unico socio, in base alle quali Quando le azioni risultano appartenere ad una sola persona o muta la persona dell'unico socio, gli amministratori devono depositare per l'iscrizione del registro delle imprese una dichiarazione contenente l'indicazione del cognome e nome o della denominazione, della data e del luogo di nascita o lo Stato di costituzione, del domicilio o della sede e cittadinanza dell'unico socio art. 2362, comma 1,cc , con conseguente applicabilità del disposto dell'art. 2448, comma 1, cc, secondo cui Gli atti per i quali il codice prescrive l'iscrizione o il deposito nel registro delle imprese sono opponibili ai terzi soltanto dopo tale pubblicazione, a meno che la società provi che i terzi ne erano a conoscenza dal che discende che l'asserita proprietà della totalità delle azioni in capo alla Regione Autonoma della Valle d'Aosta, ove pure sussistente, non sarebbe opponibile al terzo Inps, non essendo stato neppure allegato - né tanto meno provato - che l'Inps ne fosse a conoscenza il che, ovviamente, involge un accertamento di fatto neppure prospettabile in questa sede di legittimità . 2.3 Per completezza di motivazione deve comunque rilevarsi oltre a quanto sarà esposto in prosieguo che la censura all'esame, quand'anche fosse astrattamente accoglibile, non sarebbe conducente ai fini della questione agitata in causa, giusta l'orientamento espresso ancorché ad altri fini dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte cfr, Cass., SU, n. 7799/2005, nonché le altre pronunce ivi richiamate è stato infatti rilevato che, seppure anche un ente a struttura societaria possa assumere natura pubblicistica, qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge come, ad esempio, nel caso di cui all'art. 18 legge 22.12.1984 n. 887 per l'AGE Contrai spa ovvero ricorrano determinate condizioni comportanti una consistente alterazione del modello societario tipico, come, ad esempio, per la Poste Italiane spa , normalmente la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché lo Stato o gli enti pubblici ne posseggano le azioni, in tutto o in parte, non assumendo rilievo alcuno, per le vicende della medesima, la persona dell'azionista, dato che tale società, quale persona giuridica privata, opera nell'esercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento con l'ente pubblico, tanto che il rapporto tra la società e l'ente locale è di assoluta autonomia, sicché non è consentito al Comune incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull'attività della società per azioni mediante l'esercizio di poteri autoritativi o discrezionali infatti, come è stato ulteriormente precisato, la legge non prevede alcuna apprezzabile deviazione, rispetto alla comune disciplina privatistica delle società di capitali, per le società miste incaricate della gestione di servizi pubblici istituiti dall'ente locale e la posizione dell'ente pubblico all'interno della società è unicamente quella di socio di maggioranza, derivante dalla prevalenza del capitale da esso conferito, e soltanto in tale veste l'ente pubblico potrà influire sul funzionamento della società, avvalendosi non già dei poteri pubblicistici che non gli spettano, ma dei soli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina pubblica presenti negli organi societari. 2.4 Il motivo all'esame va pertanto disatteso. 3. I restanti motivi, fra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente. 3.1 La questione all'esame, inerente la debenza dei contributi per la cassa integrazione guadagni da parte delle società per azioni a prevalente capitale pubblico, è già stata affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte cfr, ex plurimis, Cass., nn. 14847/2009 5816/2010 11417/2013 19087/2013 e le conclusioni che ne sono state tratte - e da cui il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi - valgono a fortiori nel caso che ne occupa, ove per le ragioni già spiegate, neppure può parlarsi di una partecipazione azionaria da parte dell'Ente pubblico territoriale, stante la titolarità delle azioni in capo ad un soggetto, la Finaosta spa, a sua volta costituita in forma societaria privatistica. 3.2 La giurisprudenza di questa Corte ha in particolare osservato che la previsione secondo cui il perseguimento di interessi della collettività possa avvenire anche mediante la partecipazione pubblica a società di capitali, trova precisi riscontri nella disciplina comunitaria, e che, anzi, in relazione alle finalità diversamente perseguite, ben può verificarsi che una società per azioni, con pacchetto azionario pubblico, possa definirsi impresa pubblica , mentre la nozione di organismo di diritto pubblico può non essere riconosciuta, a determinati fini, ad un ente pubblico economico esercente attività industriale o commerciale, come avviene per la materia degli appalti pubblici di servizi in relazione alla direttiva 92/50/CEE restando così confermato che le conseguenze giuridiche derivanti da tale relazione dipendono, di volta in volta, dalle specifiche discipline normative cfr, Cass., n. 5816/2010, cit. . Appare dunque condivisibile il rilievo della sentenza impugnata secondo cui la nozione di impresa pubblica non può essere fatta derivare, quale nozione di carattere generale, dalle specifiche disposizioni settoriali che di volta in volta la definiscono, non essendo conducente il rilievo che tali definizioni, nei casi per cui sono state legislativamente previste, si atteggino in termini sostanzialmente analoghi. Né ha fondamento l'assunto secondo cui una tale ricomprensione delle norme settoriali nell'ambito di una definizione di carattere generale dovrebbe essere attuata attraverso il ricorso all'analogia, essendo ravvisabile nell'ordinamento un complesso di disposizioni normative che, con riferimento alla questione che qui ne occupa, consentono di escludere la natura di impresa pubblica salvo, si ripete, le diverse eventuali disposizioni di settore in riferimento alle società a partecipazione pubblica. 3.3 Ed invero la giurisprudenza di questa Corte cfr, Cass., n. 14847/2009, cit., richiamata dalla decisione impugnata ha avuto modo di puntualizzare che - l'art. 3, comma 1, dl.vo n. 869/47, come sostituito dall'art. 4, comma 1, legge n. 270/88, prevede, per quanto qui specificamente rileva, che Sono escluse dall'applicazione delle norme sulla integrazione dei guadagni degli operai dell'industria le imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate, e dello Stato - non trova alcun riferimento testuale nella norma testé esaminata l'assunto secondo cui la locuzione imprese industriali degli enti pubblici ” farebbe riferimento a un potere di controllo totale ed effettivo dell'impresa , laddove, piuttosto, l'equiparazione soltanto delle imprese municipalizzate che enti pubblici non sono a quelle degli enti pubblici ” sta ad indicare che il legislatore ha invece fatto riferimento alla natura pubblica dell'impresa industriale siccome svolta dall'ente pubblico - dalle disposizioni di cui all'art. 23 legge n. 142/90 poi riprodotte dall'art. 114 dl.vo n. 267/00 , che riconosce all'azienda speciale di cui all'art. 22, comma 3, lett. e natura di ente strumentale dell'ente locale e alla istituzione di cui all'art. 22, comma 3, lett. d natura di organismo strumentale dell'ente locale , nulla al contrario prevedendo con riferimento alla società per azioni a prevalente capitale pubblico locale di cui all'art. 22, comma 3, lett. e , discende che la gestione dei servizi pubblici da parte degli enti pubblici territoriali non è di per sé determinativa della natura pubblica dell'organismo attraverso il quale tale gestione viene attuata. Sulla scorta di tali assorbenti considerazioni deve dunque escludersi la fondatezza dei motivi all'esame, nei distinti profili in cui si articolano. 3.4 Per completezza di motivazione deve essere altresì rilevata l'infondatezza dell'assunto secondo cui, nel caso di specie, sarebbe ravvisabile un giudicato interno in ordine alla ricorrenza delle condizioni per ritenere la qualificazione di impresa pubblica ai sensi dell'art. 3 dl.vo n. 163/06. Infatti, anche a prescindere dal considerare che tale rilievo sarebbe comunque privo di decisività, una volta esclusa, per le ragioni già espresse, la ravvisabilità di una nozione generale di impresa pubblica desumibile da particolari disposizioni settoriali quali appunto quelle di cui all'art. 3 dl.vo n. 163/06 , deve negarsi che, al riguardo, si sia formato il dedotto giudicato interno, posto che l'affermazione della sentenza di prime cure, asseritamente coperta dal giudicato, non ha costituito antecedente logico giuridico del decisum , atteggiatosi infatti con il rigetto della domanda della odierna ricorrente ciò in applicazione del noto principio secondo il quale il giudicato, formatosi con la sentenza intervenuta tra le parti, copre non solo il dedotto ma anche il deducibile in relazione al medesimo oggetto, e cioè non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto fatte valere in giudizio, cioè il giudicato esplicito, ma anche tutte quelle che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici essenziali e necessari della pronuncia, cosiddetto giudicato implicito cfr, ex plurimis , Cass., n. 9544/2008 . 4. In definitiva il ricorso deve essere rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 25.100,00 venticinquemilacento , di cui Euro 25.000,00 venticinquemila per compenso, oltre accessori come per legge.