Negato l’incentivo economico al proprio dipendente? Serve una motivazione adeguata

L’autonomia dell’imprenditore è sì espressione della libertà di iniziativa economica del privato, ma deve essere esercitata con buona fede. Per questo, un incentivo economico al dipendete può essere negato, ma ci vuole una motivazione adeguata.

Lo ha affermato la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza n. 28311, depositata il 18 dicembre 2013. Il caso. La motivazione del datore di lavoro – una banca – sulle note di qualifica del dipendente non era idonea a giustificare il diniego dell’incentivo economico ad un dipendente, trattandosi di una motivazione di stile estensibile ad una serie indifferenziata di situazioni analoghe. È per questo che la Corte di appello aveva rigettato il gravame dell’istituto di credito e riconosciuto al dipendente l’attribuzione effettiva dell’incentivo, a titolo di risarcimento del danno, con i conseguenti riflessi economici sul t.f.r. e sui ratei di pensione. A proporre ricorso per cassazione è la banca, la quale ha affermato che tale incentivo veniva erogato non sulla base delle sole note di qualifica, ma anche alla ulteriore condizione di un giudizio positivo sul ‘potenziale’ . Libertà di iniziativa economica privata, ma con buona fede. La S.C., dal canto suo, osserva che, da un lato, al giudice non è dato sindacare nel merito le valutazioni dell’imprenditore sulla capacità, e in genere sul valore professionale, dei dipendenti, poiché esse costituiscono espressione della libertà d’iniziativa economica privata, tutelata dall’art. 41 Cost. , ma, dall’altro, tale libertà trova un limite nel criterio della buona fede art. 1375 c.c. . Risarcimento totale. I giudici di legittimità, infine, hanno precisato che l’incentivo economico è oggetto di un diritto soggettivo perfetto, la cui lesione comporta un risarcimento del danno pari all’intera perdita illegittimamente sopportata art. 1223 c.c. e non come nel caso di contestazioni per l’avanzamento di carriera - integrante un interesse legittimo di incerta quantificazione – che viene coperta con ‘il solo’ risarcimento della perdita di chance .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 22 ottobre – 18 dicembre 2013, n. 28311 Presidente Roselli – Relatore Venuti Svolgimento del processo La Corte d'Appello di Napoli, con sentenza del 18 marzo - 11 maggio 2009, ha rigettato l'impugnazione proposta da Intesa San Paolo S.p.A. già Sanpaolo IMI S.p.A. e prima Banco di Napoli S.p.A. avverso la decisione di primo grado, che aveva riconosciuto a D.B.M.G. l'incentivo economico relativo all'anno 1996, e, in accoglimento dell'appello incidentale proposto dal dipendente, ha condannato la Banca al pagamento della somma di Euro 18.107,10 per differenze retributive e per differenze sul trattamento di fine rapporto e sui ratei di pensione, con gli accessori di legge. Ha osservato la Corte di merito, per quanto ancora rileva in questa sede, che la motivazione del datore di lavoro sulle note di qualifica del dipendente non era idonea a giustificare il diniego dell'incentivo economico, trattandosi di una motivazione di stile estensibile ad una serie indifferenziata di situazioni analoghe. Inoltre vi era stata una valutazione, da parte della Commissione centrale, difforme da quella del responsabile dell'unità operativa, non accompagnata da elementi idonei a dar conto delle ragioni di tale difformità. Ancora, era stato emesso un giudizio positivo per l'anno 1995, solo pochi mesi prima di quello negativo che aveva indotto il datore di lavoro ad escludere l'incentivo economico. Era poi fondato l'appello incidentale del lavoratore, dovendo la tutela del medesimo essere assicurata con l'attribuzione effettiva dell'incentivo, a titolo di risarcimento del danno, con i conseguenti riflessi economici sul t.f.r. e sui ratei di pensione. Per la riforma della sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Intesa San Paolo S.p.A. sulla base di cinque motivi, illustrati da successiva memoria. Il dipendente è rimasto intimato. Motivi della decisione 1. Il ricorso è articolato in cinque motivi, cui fanno seguito, per quelli che denunziano violazione di legge, i relativi quesiti di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ., allora in vigore. 2. Con il primo motivo la ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ. nonché insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, deduce che erroneamente la Corte di merito ha ritenuto che, in caso di contestazione della legittimità dei provvedimenti assunti dal datore di lavoro nell'esercizio dei suoi poteri in tema di valutazione dei dipendenti, l'onere della prova dell'esistenza di cause ostative alla concessione del beneficio dell'incentivo economico fosse a carico del datore di lavoro. Al contrario era il dipendente che doveva fornire la prova che tale valutazione fosse viziata, prova nella specie mai richiesta. 3. Con il secondo motivo la ricorrente, denunziando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, deduce che la Corte di merito non ha correttamente considerato le risultanze della prova testimoniale e di quella documentale, dalle quali era emerso che la valutazione complessiva del D.B. fu determinata da diversi elementi negativi. 4. Con il terzo motivo la ricorrente, nel denunziare vizio di motivazione nonché violazione e falsa applicazione dei canoni di ermeneutica previsti dagli artt. 1362 e segg. cod. civ., deduce che la Corte di merito ha erroneamente ritenuto che il giudizio negativo per il conseguimento dell'incentivo economico non fosse adeguatamente motivato. Rileva che tale incentivo veniva erogato non sulla base delle sole note di qualifica, ma anche alla ulteriore condizione di un giudizio positivo sul potenziale . Nella specie il giudizio finale era stato formulato a seguito di una complessa procedura stabilita dagli accordi sindacali e dalle successive delibere di attuazione. Di fronte ad una valutazione non positiva fatta dalla Commissione centrale - alla quale spettava il riesame delle rilevazioni del potenziale e l'attribuzione del giudizio finale di idoneità agli incentivi - nessun'altra motivazione, ancorché sintetica, poteva aggiungersi a quella che aveva ritenuto inadeguati i valori di potenziale . Anche le note di qualifica non erano state espresse ai massimi livelli, essendo stato attribuito al dipendente un punteggio insufficiente a superare la soglia prevista per l'accesso all'incentivo economico. Errata era poi l'affermazione della Corte di merito, secondo cui, in presenza di valutazioni del responsabile dell'unità operativa difformi da quelle della Commissione centrale, dovessero prevalere quelle effettuate dal primo. La Commissione infatti disponeva di tutte le notizie e dell'intero percorso professionale degli interessati. Inspiegabile sul piano logico era, ancora, il fatto che la sentenza impugnata aveva attribuito rilevanza al minimo scarto tra il punteggio attribuito al D.B. 2,4 e quello che gli avrebbe consentito di accedere agli incentivi 2,5 , essendo pacifico che nell'attribuzione dei punteggi esiste un gradino immediatamente sottostante a quello positivo convenzionalmente fissato. Deduce, infine, la ricorrente che l’unico obbligo a carico del datore di lavoro era quello di attenersi alle procedure previste dagli accordi sindacali e dai successivi atti applicativi, fermo restando che la valutazione sulla capacità dei singoli lavoratori è rimessa all'apprezzamento discrezionale del datore di lavoro e che, nel caso di giudizio negativo, l'onere di idonea motivazione deve intendersi adempiuto con la comunicazione al dipendente dell'esito di tale valutazione. 5. Con il quarto motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223 e 1226 cod. civ. nonché vizio di motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Rileva che, ove si pervenga, in applicazione dei principi di buona fede e correttezza, ad una dichiarazione di illegittimità della valutazione datoriale, la conseguenza non può che essere il risarcimento del danno conseguente all'inadempimento. La Corte territoriale ha invece riconosciuto integralmente al dipendente l'incentivo per l'anno 1996, senza peraltro motivare sulle ragioni di tale statuizione. 6. Con il quinto motivo la ricorrente, denunziando vizio di motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, contesta gli importi riconosciuti dalla Corte di merito al dipendente. Deduce che, per effetto dell'accordo 4 agosto 1995, l'importo dell'incentivo economico è stato cristallizzato alla data del 21 giugno 1995, senza ulteriori adeguamenti, per essere poi abolito a seguito dell'accordo del 22 luglio 1996 e fatto confluire in un assegno ad personam posto in assorbimento con gli aumenti contrattuali che i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1990 sono stati iscritti all'Assicurazione generale obbligatoria AGO e trasferiti ad una gestione speciale dell’INPS, al quale fa carico l'erogazione di una pensione all'atto del loro collocamento a riposo che l'art. 4 del d. lgs. n. 357/90 pone a carico dei fondi esclusi, esonerati, etc. la differenza tra il trattamento pensionistico previsto dai fondi di provenienza e quelli erogati dall'INPS ”, onde per quantificare il differenziale di pensione a carico degli ex dipendenti del Banco di Napoli era necessario conoscere l'importo della pensione liquidato dall'INPS e sottrarlo da quanto sarebbe spettato in forza della normativa aziendale all'epoca vigente che la Corte di merito ha omesso ogni accertamento al riguardo, ritenendo corretti i conteggi prodotti da D.B. con il ricorso introduttivo. 7. I primi tre motivi, che in ragione della loro connessione vanno trattati congiuntamente, non sono fondati. Al giudice non è dato di sindacare nel merito le valutazioni dell'imprenditore sulla capacità, e in genere sul valore professionale, dei dipendenti, poiché esse costituiscono espressione della libertà d'iniziativa economica privata, tutelata dall'art. 41 Cost Il giudice può nondimeno controllare il rispetto dell'art. 1375 cod. civ., ossia del criterio di buona fede nell'esercizio dei poteri spettanti alla parte nel contratto di lavoro criterio non rispettato quando le valutazioni siano prive di motivazione, oppure motivate in modo contraddittorio o, ancora, oltrepassino il contenuto del contratto. Nella specie la Corte territoriale, nel premettere che l'accordo aziendale del 28-29 dicembre 1988, con il quale era stato regolamentato l'incentivo economico, prevedeva che il giudizio, se negativo, dovesse essere idoneamente motivato - prescrizione questa ribadita nella successiva normativa aziendale di dettaglio - ha escluso che tale giudizio fosse stato adeguatamente motivato, avendo il datore di lavoro fatto uso di una formula di stile, limitata alla mera comunicazione del mancato raggiungimento della soglia di accesso al beneficio, con una formula analoga a quella utilizzata per altri dipendenti in identiche fattispecie. Ha poi il giudice d'appello dato adeguatamente conto delle ragioni per le quali il giudizio negativo non era coerente con gli elementi acquisiti, richiamando al riguardo le prove documentali ed escludendo che le prove testimoniali potessero fornire elementi a sostegno della ricostruzione operata dal datore di lavoro. In siffatta situazione, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, non solo non risultano violati i principi di ermeneutica contrattuale previsti dagli artt. 1362 e segg. cod. civ., ma nemmeno è ravvisatale il vizio di omessa o insufficiente motivazione, apparendo questa adeguata, logica e non contraddittoria. Al riguardo va ricordato che il vizio di motivazione di cui all'art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte perché la citata norma non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico - formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento e all'uopo, valutarne le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Non si pone, infine, nella specie un problema di onere della prova, avendo la Corte di merito fondato la propria decisione sulla scorta degli elementi probatori acquisiti agli atti note di qualifica, schede di valutazione, relazioni del responsabile dell'unità operativa , elementi tutti pacifici ed incontroversi. 8. Anche il quarto motivo è infondato. La Corte di merito, in accoglimento della domanda subordinata proposta dal lavoratore, ha condannato l'odierna ricorrente al pagamento della somma al medesimo spettante a titolo di incentivo economico per l'anno 1996 nonché di ulteriori importi per differenze sul t.f.r. e sui ratei di pensione, conseguenti all'accoglimento di detta domanda. Così facendo, ha applicato il principio affermato da questa Corte in analoga fattispecie cfr. Cass. 9 maggio 1997 n. 11106, in motivazione , qui condiviso, secondo cui, una volta accertata la infondatezza della valutazione negativa operata dalla Banca e riconosciuto il diritto all'incentivo economico, non v'e ragione di limitare la tutela all'annullamento dell'atto, senza assegnare al lavoratore il beneficio richiesto. La giurisprudenza richiamata dalla ricorrente attiene al diverso aspetto delle procedure selettive degli avanzamenti di carriera in queste il lavoratore è titolare di un mero interesse legittimo, la cui violazione può dare luogo ad un risarcimento del danno, che non può essere pari all'utilità finale da lui pretesa, ma di incerta spettanza, bensì può coprire solo la perdita delle possibilità favorevoli cosiddetta perdita di chance . Nella specie l'incentivo economico è per contro oggetto di un diritto soggettivo perfetto, la cui lesione comporta un risarcimento del danno pari all'intera perdita illegittimamente sopportata, ai sensi dell'art. 1223 cod. civ 9. Inammissibile è infine il quinto motivo. La questione relativa all'importo dell'incentivo economico che, secondo la ricorrente, sarebbe stato prima cristallizzato e poi abolito e fatto confluire in un assegno ad personam posto in assorbimento con gli aumenti contrattuali, è stata affrontata dalla sentenza impugnata e decisa in senso sfavorevole alla ricorrente, per non avere questa precisato, a fronte del prospetto contabile depositato dal lavoratore, quali fossero i minori importi spettanti al medesimo per effetto del riassorbimento. Sul punto la ricorrente non formula censure specifiche, limitandosi a ribadire che gli importi indicati nel prospetto contabile anzidetto sono erronei, in quanto non tengono conto dell'assorbimento per effetto degli intervenuti aumenti contrattuali . Le altre questioni, relative al trattamento pensionistico e alla incidenza sullo stesso del beneficio dell'incentivo economico riconosciuto al lavoratore, non risultano esaminate dalla sentenza impugnata né la ricorrente deduce di averle proposte in sede di appello ed in quali termini. Trattandosi di questioni nuove, esse non possono trovare ingresso in questa sede. 10. Il ricorso deve in conclusione essere rigettato. Non v'è luogo a provvedere sulle spese di questo giudizio, non avendo il lavoratore svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.