Contratti con termine illegittimo: dipendente inerte, fragile l’ipotesi della risoluzione per mutuo consenso …

Ribaltata completamente la prospettiva tracciata dai giudici nei primi due gradi di giudizio. Irrilevanti i richiami alla ‘apatia’ mostrata dal lavoratore, dopo la chiusura del rapporto, e alla sua scelta di percepire, senza batter ciglio, il ‘trattamento di fine rapporto’.

Rapporto di lavoro a tempo determinato, con doppio contratto a termine – con relativo prolungamento –, bruscamente interrotto dall’azienda. Pronta la reazione del dipendente, che denuncia la illegittimità del termine apposto ai due contratti . A suo sfavore, però, le condotte tenute nei confronti dell’azienda in particolare, la prolungata ‘apatia’ manifestata dopo la cessazione dell’ultimo contratto, e la percezione delle spettanze finali a lui versate dalla sua ex datrice di lavoro. Ciò nonostante, però, non si può considerare il rapporto di lavoro risolto per mutuo consenso”. Cass., sent. n. 28117/2013, Sezione Lavoro, depositata oggi Comportamento. Eppure, sia in Tribunale che in Corte d’Appello, decisivo si rivela il ‘peso specifico’ attribuito alle azioni del lavoratore nei confronti dell’azienda. Conseguenziale è la decisione di considerare il rapporto risolto per mutuo consenso , alla luce del complessivo comportamento tenuto dal lavoratore – esemplare, a questo proposito, la percezione, da parte del dipendente, delle spettanze finali – e, soprattutto, del lunghissimo arco di tempo trascorso tra la cessazione dell’ultimo contratto e l’inizio della controversia relativa alla denunciata illegittimità del termine apposto ai due contratti . Ma la visione adottata nei primi due gradi di giudizio viene duramente contestata dall’oramai ex dipendente dubbi, più precisamente, vengono sollevati sul valore attribuito dai giudici alle azioni compiute – e non compiute – dall’uomo. Errore. Ebbene, dai giudici del ‘Palazzaccio’ arriva una risposta positiva rispetto alle rimostranze manifestate dall’ex dipendente dell’azienda, e una censura, evidente, rispetto alle valutazioni compiute in Tribunale prima e in Corte d’Appello poi. Più precisamente, viene evidenziato l’errore compiuto dai giudici di primo e di secondo grado, i quali hanno completamente trascurato un principio fondamentale affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata, sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative, una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo . Quadro teorico chiarissimo, mentre oscuro è parso il ragionamento dei giudici di merito. Ciò perché, spiegano i giudici del ‘Palazzaccio’, la mera inerzia del lavoratore, dopo la scadenza del contratto a termine, è insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso . E tale visione va applicata anche alla constatazione della mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto e all’evidenziazione della percezione del ‘Trattamento di fine rapporto’ . Tutto ciò conduce ad escludere l’ipotesi della tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti del lavoratore derivanti dalla illegittima apposizione del termine . Di conseguenza, l’elemento utilizzato, in questa vicenda giudiziaria, dai giudici di merito, ossia la complessiva inerzia del lavoratore – concretizzatasi anche nella accettazione incondizionata del ‘Tfr’ e nella restituzione del ‘libretto di lavoro’ –, non può assolutamente essere ritenuto bastevole per considerare acclarata la risoluzione del rapporto per mutuo consenso .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 3 ottobre – 17 dicembre 2013, n. 28117 Presidente Stile – Relatore Marotta Svolgimento del processo Con sentenza n. 447/2009 del 6 novembre 2009, la Corte di appello di Cagliari, decidendo sugli appelli principale ed incidentale proposti rispettivamente da G.M. e dal Banco di Sardegna S.p.A., confermava la decisione del Tribunale di Cagliari Milano che, a fronte della denunciata illegittimità del termine apposto a due contratti intercorsi dal 3/1/1994 al 30/9/1994, poi prorogato fino al 31/1/1995, e dal 5/6/1995 al 29 settembre 1995, poi prorogato fino al 29 dicembre 1995 , aveva ritento che il rapporto dovesse comunque intendersi risolto per mutuo consenso in ragione del complessivo comportamento tenuto dal lavoratore e del lunghissimo arco di tempo trascorso tra la cessazione dell’ultimo contratto e l’inizio della controversia. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso G.M. affidato a due motivi. Resiste con controricorso la Banco di Sardegna S.p.A Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia Violazione e falsa applicazione dell’art. 1372, 1° comma, cod. civ. art. 360, 1° comma, n. 3 cod. proc. civ. - Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivi per il giudizio art. 360, 1° comma, n. 5 cod. proc. civ. . Si duole della ritenuta pronuncia di risoluzione del rapporto per mutuo consenso ed in particolare per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto sufficiente a realizzare l’assenso del lavoratore a tale risoluzione il semplice trascorrere del tempo fatto di per sé neutro in rapporto alla durata del contratto di lavoro, la percezione da parte della dipendente delle spettanze finali del suddetto rapporto circostanza, questa, non dedotta né allegata dal Banco ed in ogni caso priva di univoco significato ed il ritiro del libretto di lavoro circostanza, questa, del pari non dedotta né allegata dal Banco ed in ogni caso corrispondente ad un obbligo di legge dal quale non si potrebbe dedurre alcunché . 2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia Violazione e falsa applicazione dell’art. 416, 3° comma, cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. art. 360, 1° comma, n. 3 cod. proc. civ. . Si duole del ritenuto adempimento da parte dei Banco di Sardegna dell’onere di provare le circostanze da cui ricavare la volontà chiara e certa delle parti di voler porre fine al rapporto evidenziando che, nella specie, nessun elemento utile era stato fornito. 3. I motivi, da trattarsi congiuntamente in ragione della intrinseca connessione, sono fondati. Come questa Corte ha più volte affermato nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un umico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo v. Cass. 10 novembre 2008, n. 26935, id. 28 settembre 2007, n. 20390, 17 dicembre 2004, n. 23554, nonché più di recente Cass. 18 novembre 2010, n. 23319, 11 marzo 2011, n. 5887, 4 agosto 2011, n. 16932 . La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso mentre grava sul datore di lavoro, che eccepisca tale risoluzione, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro v. anche Cass. 2 dicembre 2002, n. 17070 e, fra le altre, da ultimo Cass. 1 febbraio 2010, n. 2279 . Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli artt. 1372 e 1321 cod. civ., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo prevalente ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il semplice trascorrere del tempo neppure la mera mancanza, seppure prolungata, di operatività del rapporto contra sulla rilevanza al mero dato oggettivo della cessazione della funzionalità di fatto del rapporto , valutato in modo socialmente tipico cfr. Cass. 23 luglio 2004, n. 13891 e Cass. 6 luglio 2007, n. 15264 . Si aggiunga che, come precisato nella più recente Cass. 12 aprile 2012, n 5782, quanto al decorso del tempo, si tratta di dato di per sé neutro, come sopra chiarito per un’ipotesi analoga a quella oggi in esame, vale a dire di decorso di circa sei anni fra cessazione dei rapporto a termine ed esercizio dell’azione da parte del lavoratore v., da ultimo, Cass. n. 16287/2011 . In ordine, poi, alla percezione del t.f.r., questa S.C. ha più volte avuto modo di rilevare che non sono indicative di un intento risolutorio né l’accettazione del t.f.r. né la mancata offerta della prestazione, trattandosi di comportamenti entrambi non interpretabili, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinunzia ai diritti derivanti dalla illegittima apposizione del termine cfr., Cass., n. 15628/2001, in motivazione . Lo stesso dicasi della condotta di chi sia stato costretto ad occuparsi o comunque cercare occupazione dopo aver perso il lavoro per cause diverse dalle dimissioni cfr. Cass. n. 839/2010, in motivazione, nonché, in senso analogo, Cass., n. 15900/2005, in motivazione . Orbene nella fattispecie la Corte di appello, dopo aver richiamato tale ultimo indirizzo oggettivo ed in specie Cass. n. 13891/2004 cit. , ha affermato che il giudice è tenuto ad attribuire valore di dichiarazione negoziale a comportamenti sociali valutati in modo tipico, per ciò che essi socialmente esprimono , in tal modo disattendendo l’indirizzo prevalente ormai consolidato e qui ulteriormente ribadito. In particolare la Corte territoriale in sostanza ha fondato la propria decisione soltanto sulla, pur prolungata, inerzia del lavoratore, sulla mancanza di contestazione al momento della cessazione del contratto, nonché sull’avvenuta restituzione del libretto di lavoro e sull’accettazione senza riserva del t.f.r. circostanze, a ben guardare, tutte incentrate sulla complessiva inerzia del lavoratore, sostanzialmente estranea al comportamento successivo delle parti nei termini sopra specificati . In tal modo la Corte di merito ha disatteso l’indirizzo consolidato qui ribadito, valutando le circostanze richiamate sul piano meramente oggettivo, anziché sotto il profilo della chiara e certa manifestazione tacita della volontà risolutiva di ogni rapporto. Peraltro, gli ulteriori elementi, infatti, richiamati in sentenza asserita accettazione incondizionata del t.f.r., avvenuta restituzione del libretto di lavoro da un lato non risultano affatto univoci e decisivi, dall’altro, a ben vedere, neppure hanno trovato fondamento in specifici accertamenti di fatto non essendo peraltro in alcun modo spiegato dalla Corte di merito sulla base di quali risultanze concrete i detti ulteriori elementi sarebbero emersi nel processo . Deve, dunque, essere ribadito che l’eventuale risoluzione del rapporto per mutuo consenso va accertata con particolare rigore e, ove non contenuta in un atto formale, deve risultare da un comportamento inequivoco che evidenzi il completo disinteresse di entrambe le parti alla prosecuzione del rapporto stesso, essendo a tal fine prive di univoco valore sintomatico in tal senso, oltre all’illegittima apposizione del termine, anche la mancanza, pure se per un lungo periodo, di attività lavorativa, nonché la restituzione del libretto di lavoro al lavoratore e le stesse circostanze del versamento e dell’accettazione senza riserva, da parte del medesimo, di competenze economiche. Il ricorso va pertanto accolto e l’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte di appello di Cagliari diversa composizione, la quale si atterrà al principio sopra richiamato, statuendo anche sulle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Cagliari, in diversa composizione.