Assunto per svolgere mansioni di concetto, finito a far fotocopie e fax: lesa la dignità del dipendente

Assolutamente colpevole la condotta tenuta da un’Azienda sanitaria nei confronti di un dipendente, assunto, a conclusione di un periodo di prova, come impiegato di concetto, ma relegato a fare fotocopie e fax e, talora, a portare il caffè ai colleghi. Evidente il demansionamento del lavoratore, che ha diritto non solo a tornare alla collocazione originaria ma anche ad ottenere un adeguato risarcimento.

Collocazione lavorativa chiara, come da contratto, con corrispondenti mansioni di concetto”. Assolutamente illegittima la scelta dell’azienda – un’Azienda sanitaria, in questo caso – di relegare il dipendente ad operazioni meramente esecutive, come fotocopie e fax. Si può parlare, senza alcun dubbio, di dequalificazione professionale, e, allo stesso tempo, si può riconoscere al lavoratore il diritto ad un adeguato risarcimento dei danni. Cassazione, sent. n. 23170/2013, Sezione Lavoro, depositata oggi Deminutio. Nessun dubbio viene espresso già nei primi due gradi di giudizio sullo scorretto comportamento tenuto dall’Azienda sanitaria nei confronti di un proprio dipendente, assunto, a chiusura di un periodo di prova , con mansioni di concetto e finito a fare fotocopie e fax . Conseguenziale è la condanna per demansionamento , con obbligo dell’azienda ad adibire il dipendente in mansioni confacenti al livello di inquadramento . E a corredo, in secondo grado, viene anche stabilito che l’azienda dovrà risarcire il danno provocato al dipendente. Dignità. E l’ottica adottata prima in Tribunale e poi in Corte d’Appello viene condivisa anche dai giudici della Cassazione, i quali considerano evidente la lesione della dignità del dipendente dell’Azienda sanitaria. Acclarato che le mansioni di inquadramento erano di concetto , è evidente la dequalificazione subita dal dipendente, che si è visto assegnare mansioni meramente esecutive, ossia fare fotocopie e fax . A rendere il quadro ancora più chiaro il richiamo alla normativa che prevede che il datore di lavoro non può richiedere al disabile una prestazione non compatibile con le sue minorazioni ciò significa che, in questo caso, l’azienda , chiariscono i giudici, non poteva eccepire che il lavoratore non era, in concreto, in grado di svolgere mansioni di concetto . Legittimo, quindi, parlare di demansionamento , da valutare, peraltro, di evidente gravità , essendosi protratto per quattro anni ed essendosi concretizzato in mansioni non già solo collocabili al limite della qualifica posseduta, bensì molto inferiori ad essa , come effettuare fotocopie e fax – e talora portare il caffè ad altri dipendenti – , che certo non implicavano conoscenze teoriche specialistiche, elevate capacità tecniche, autonomia e responsabilità né richiedevano il titolo di studio – laurea – posseduto dall’uomo. Come detto, per i giudici, è indiscutibile la lesione del diritto alla dignità sul luogo di lavoro, con rispetto del patrimonio professionale insito nell’inquadramento spettante al lavoratore, secondo l’atto di assunzione . E altrettanto indiscutibile è il diritto al risarcimento a favore dell’uomo.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 aprile – 11 ottobre 2013, n. 23170 Presidente Vidiri – Relatore Amoroso Svolgimento del processo 1. Con ricorso ex art. 414 cpc del 30.4.2004 G.M. conveniva in giudizio l’azienda USL n. 12 di Viareggio, assumendo di essere stato illegittimamente dequalificato, in violazione dell'art. 2103 cod. civ. nonché delle norme contrattuali di cui al ccnl del comparto del personale del SSN 1998-2001. Domandava accertarsi tale violazione e condannare l'azienda convenuta all'assegnazione alle mansioni corrispondenti alla qualifica. Contestava altresì come tale dequalificazione professionale e svuotamento di mansioni avesse determinato una lesione - danno ingiusto, del quale chiedeva il risarcimento. In particolare lamentava il prolungato demansionantento e chiedeva la reintegra nelle mansioni corrispondenti all'inquadramento 'C' per il quale era stato assunto, oltre al risarcimento dei danni. In giudizio si costituiva l'Azienda USL, contestando le domande avanzate dal lavoratore e, in particolare, fondando la propria difesa sulla circostanza della non idoneità del ricorrente a svolgere mansioni di assistente amministrativo. Con sentenza n. 324 del 17/6/2007 il Tribunale di Lucca, giudice del lavoro, accoglieva parzialmente il ricorso di M.G., accertando il suo demansionamento e condannando il datore di lavoro Azienda-USL-12 di Viareggio ad adibirlo in mansioni confacenti al livello di inquadramento. Rigettava, perché non provata, la domanda risarcitoria ed altresì quella relativa al premio di produttività. 2. Il M. appellava la decisione e ne chiedeva la riforma con integrale accoglimento del ricorso introduttivo. L'Azienda-USL-12 di Viareggio resisteva al gravame, ma proponeva altresì appello incidentale al fine di sentir rigettare integralmente il ricorso introduttivo. La Corte d'appello di Firenze con sentenza 19/2/2010 rigettava l'appello incidentale proposto da Azienda-USL-12 Viareggio avverso la sentenza n. 324 del 17/6/2007 del Tribunale di Lucca e, in parziale accoglimento dell'appello principale proposto dal M., condannava la Azienda appellata a risarcire al M. il danno specificato in parte motiva pagandogli la somma di €. 500,00 utensili per lutto il tempo decorrente dallo scadere del periodo di prova e fino al 30/4/2004, oltre ad interessi sulle somme rivalutate dalla data della sentenza e fino al definitivo soddisfo. Compensava fra le parti 1/4 delle spese del doppio grado, liquidando l'intero in complessi €. 8.000,00. 3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione l’azienda USL 12 di Viareggio con due motivi. Resiste con controricorso la parte intimata che ha anche depositato memoria. Motivi della decisione 1. Il ricorso è articolato in due motivi. Con il primo motivo l'USL di Viareggio contesta la decisione della Corte d'appello la quale ha stabilito che la USL aveva legittimamente provato il lavoratore su diverse posizioni lavorative che all'esito del periodo di prova, pur potendo, come l'ordinamento glielo consentiva, recedere per mancato superamento dello stesso, aveva optato per il mantenimento in servizio che, questo punto, al lavoratore andava applicato il trattamento previsto dal contratto e, dunque, in particolare, lo stesso andava assegnato a mansioni in linea con il livello di inquadramento ciò che non era avvenuto. Con il secondo motivo la ricorrente contesta il riconoscimento del danno risarcibile. 2. Il ricorso - i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente - è infondato. 2.1. Il primo motivo di ricorso, che riguarda l'esistenza del demansionamento ritenuto sia dal giudice di primo grado che dalla corte d'appello, muovono essenzialmente censure in fatto, esprimendo un mero dissenso nella valutazione delle risultanze di causa, quale quella operata dalla sentenza impugnata, confermativa in questa parte della pronuncia di primo grado, con tipico apprezzamento di merito. Il tribunale e la Corte d'appello hanno valutato concordemente le mansioni dell'originario ricorrente come riferibili alla categoria C di inquadramento, sicché erano certamente di concetto, ed hanno rilevato come invece il lavoratore fosse stato in concreto assegnato a mansioni meramente esecutive, ossia a fare fotocopie e fax. In diritto poi correttamente la corte d'appello ha richiamato il secondo comma dell'art. 10 della legge n. 68 del 1999 che prevede che il datore di lavoro non può richiedere al disabile una prestazione non compatibile con le sue minorazioni. Pertanto l'azienda ricorrente non poteva fondatamente eccepire che il lavoratore non era in concreto in grado di svolgere mansioni di concetto. Giustamente la corte d'appello rileva che l'azienda avrebbe potuto semmai concordare con il lavoratore un patto di demansionamento cosa che invece non ha fatto. 2.2. Parimenti non può essere accolto il secondo motivo perché infondato. La corte d'appello sta ritenuto assolto l'onere probatorio di dimostrare il danno risarcibile a mezzo di presunzioni ed ha specificamente indicato gli elementi da cui desumere il danno. Infatti la corte territoriale ha tenuto conto della consistente durata del demansionamento, essendosi esso protratto per oltre quattro anni. Tale demansionamento poi presentava in se connotati di gravità, posto che non erano state affidate al M. mansioni non già solo collocabili al limite della qualifica posseduta, bensì molto inferiori ad essa, posto che effettuare fotocopie e fax non poteva certo essere comparabile con le mansioni previste per la Cat. 'C' che implicavano conoscenze teoriche specialistiche, elevate capacità tecniche, autonomia e responsabilità, né con il titolo di studio - laurea - posseduto. La Corte poi menziona poi anche il fatto che era uso che agli impiegati inquadrati a bassi livelli si potesse richiedere che portassero il caffè ad altri. Nel complesso, quindi, la Corte d'appello ha motivatamente ritenuto che i fatti accertati consentissero di ritenere acquisita, sia pur presuntivamente, la dimostrazione di una lesione del diritto alla dignità della persona sul luogo di lavoro con rispetto del patrimonio professionale insito nell'inquadramento spettante al lavoratore, secondo l'atto di assunzione o successivamente acquisito . 3. Il ricorso va quindi nel suo complesso rigettato. Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in euro 50,00 cinquanta per esborsi, oltre euro 3.000,00 tremila per compensi d'avvocato ed oltre accessori di legge.