E’ inidoneo per il medico competente ... anzi no per il CTU. Licenziamento illegittimo

La dichiarazione di inidoneità fisica resa all’esito delle procedure previste dall’allora vigente art. 17, D.Lgs. n. 626/1994 non ha carattere di definitività, potendo il giudice, investito della causa in caso di divergenza tra giudizi medici, pervenire a diverse conclusioni, sulla base della c.t.u. disposta nel giudizio di merito.

Il legislatore, nell’affidare le operazioni di controllo della malattia del lavoratore ad organi pubblici per garantirne l’imparzialità, non ha inteso attribuire agli atti di accertamento compiuti insindacabile efficacia probatoria, tale da escludere il generale potere di controllo del giudice. Questo è il principio affermato dalla Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 23068, pubblicata il 10 ottobre 2013. Impugnazione di licenziamento adottato a seguito di accertamento di inidoneità sopravvenuta del lavoratore. Un lavoratore veniva licenziato in conseguenza della sopravvenuta inidoneità alla prestazione lavorativa cui era addetto, accertata all’esito del parere espresso dal medico competente aziendale. Il giudice di primo grado dichiarava l’illegittimità del licenziamento, ordinando la reintegrazione del lavoratore. Proponeva appello l’azienda, ma analogamente la Corte d’appello confermava l’illegittimità del licenziamento, respingendo il gravame. Proponeva ricorso per cassazione l’azienda. La procedura di accertamento della idoneità lavorativa. Il ricorrente in cassazione censura la decisione adottata dai giudici di merito, ritenendo violata la procedura di accertamento dell’idoneità lavorativa resa ai sensi del D.Lgs. n. 626/1994 allora in vigore ed oggi art. 41, D.Lgs. n. 81/2008. Sostiene l’azienda ricorrente in particolare che il lavoratore non avrebbe impugnato avanti la competente azienda sanitaria locale il parere di inidoneità lavorativa formulato dal medico competente aziendale. Di conseguenza, spirato il termine previsto per l’impugnazione, il giudizio sanitario espresso doveva ormai considerarsi definitivo, incontestabile e preclusivo dell’azione giudiziaria volta appunto a sindacare il giudizio di inidoneità. La Suprema Corte ritiene infondato il motivo proposto. Le norme che prevedono la possibilità di controllo della malattia del lavoratore, nell’affidare la relativa indagine ad organi pubblici onde garantirne l’imparzialità, non hanno inteso attribuire agli atti di accertamento compiuti da tali organi una particolare ed insindacabile efficacia probatoria al punto da escludere il controllo giudiziale. Il controllo del giudice è sempre ammesso Secondo i giudici di legittimità, nel caso di contrasto tra giudizi sanitari espressi, il giudice investito della causa deve procedere alla loro valutazione comparativa al fine di stabilire quale delle contrastanti motivazioni sia maggiormente attendibile, disponendo apposita consulenza tecnica. E sulla base delle conclusioni della espletata CTU. ben potrà il giudice giungere a conclusioni diverse rispetto al giudizio di inidoneità espresso dal medico competente o della struttura pubblica. e il giudizio del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità. La decisione cui perviene il giudice di merito, sulla base delle conclusioni della c.t.u. è giudizio di merito, insindacabile in sede di legittimità ove correttamente e logicamente motivato. Nel caso in esame la Corte d’appello ha adeguatamente motivato il proprio convincimento in merito all’idoneità del lavoratore allo svolgimento delle mansioni lavorative affidate, facendo riferimento al giudizio espresso dal consulente tecnico e condividendone le conclusioni. Questi aveva infatti accertato che il lavoratore era stato dapprima dichiarato idoneo successivamente dichiarato inidoneo nuovamente, all’esito di altra visita e di ispezione sul luogo di lavoro dichiarato idoneo con direttiva di utilizzo di ausilio meccanico per il trasporto di oggetti pesanti o l’aiuto di altro lavoratore per carichi eccedenti i 15 chilogrammi. Il consulente tecnico d’ufficio aveva pertanto osservato che non sussistevano né patologie ostative al lavoro cui era addetto il lavoratore licenziato, né le difficoltà eccepite dall’azienda nel reperire altri posti di lavoro cui adibire il lavoratore stesso. La Corte di merito aveva condiviso i giudizi e le conclusioni cui era pervenuto il CTU ed aveva adeguatamente motivato il proprio convincimento nel recepire le conclusioni del CTU. Giudizio di merito dunque insindacabile in sede di legittimità, con conseguente rigetto del ricorso proposto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 22 maggio - 10 ottobre 2013, n. 23068 Presidente Roselli – Relatore Fernandes Svolgimento del processo Con sentenza del 17/12/2010 - 16/3/2011 la Corte d'appello di Milano ha rigettato l'impugnazione proposta dalla società Pregis s.p.a. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Lodi, con la quale era stata dichiarata l'illegittimità del licenziamento intimato ad A G. e disposta la sua reintegra, confermando la decisione gravata e condannando la ricorrente alle spese del grado. La Corte ha, in pratica, condiviso il convincimento del primo giudice sulla mancanza del carattere di decisività del parere espresso dal medico competente di cui alla procedura prevista dal decreto legislativo n. 626 del 1994, parere rispetto al quale era sempre possibile verificare l'attendibilità per il tramite del sindacato giudiziario, per cui, una volta accertato, tramite consulenza medico-legale d'ufficio, che era da escludere l'inidoneità fisica del dipendente a svolgere le mansioni assegnategli, essendo possibile l'adozione di talune cautele da parte della datrice di lavoro atte ad evitare rischi per la salute del G., non restava che confermare l'illegittimità del provvedimento di licenziamento. Per la cassazione della sentenza propone ricorso la società Pregis s.p.a. che affida l'impugnazione a due motivi di censura. Resiste con controricorso il G Motivi della decisione Col primo motivo la ricorrente si duole della falsa applicazione della norma di cui all'art. 17, comma quarto, del decreto legislativo n. 626 del 19/9/1994 assumendo che il lavoratore non aveva impugnato, innanzi alla azienda sanitaria locale territorialmente competente, il parere di inidoneità al lavoro, formulato nei suoi confronti dal medico di fabbrica, entro il termine di trenta giorni previsto da tale disposizione di legge, per cui lo stesso parere era divenuto incontestabile e ciò precludeva al dipendente di proporre domanda giudiziaria intesa a contestare le risultanze dell'accertamento sanitario il cui esito era vincolante per la parte datoriale. Il motivo è infondato. Invero, con sentenza n. 420 del 14/12/1998, la Corte costituzionale ha avuto modo di chiarire che, essendo pacifico in giurisprudenza che la dichiarazione di inidoneità fisica in esito alle procedure di cui all'art. 5 dello Statuto dei lavoratori non ha carattere di definitività, potendo il giudice della controversia pervenire a diverse conclusioni sulla base della consulenza tecnica d'ufficio disposta nel giudizio di merito, il datore di lavoro, nel momento in cui opta per l'immediato licenziamento del dipendente, anziché chiedere, secondo le normali regole contrattuali, la risoluzione giudiziaria del rapporto di lavoro per sopravvenuta impossibilità della prestazione, agisce a suo rischio, che rientra nel principio del rischio d'impresa , secondo una scelta del legislatore chiaramente rivolta a tutela del soggetto più debole. Inoltre, questa Corte ha ribadito Cass. Sez. lav. n. 2953 del 4/4/1997 che nel caso di contrasto tra il contenuto del certificato del medico curante e gli accertamenti compiuti dal medico di controllo, il giudice del merito deve procedere alla loro valutazione comparativa al fine di stabilire con giudizio che è insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato quale delle contrastanti motivazioni sia maggiormente attendibile, atteso che le norme che prevedono la possibilità di controllo della malattia, nell'affidare la relativa indagine ad organi pubblici per garantirne l'imparzialità, non hanno inteso attribuire agli atti di accertamento compiuti da tali organi una particolare ed insindacabile efficacia probatoria che escluda il generale potere di controllo del giudice . in senso conf. v. Cass. Sez. lav. n. 6564 dell'11/5/2001 . Nella fattispecie la Corte d'appello ha adeguatamente motivato il proprio convincimento in merito alla idoneità dell'appellato allo svolgimento delle mansioni lavorative facendo leva proprio sul parere tecnico del consulente d'ufficio e condividendone le conclusioni. Quest'ultimo aveva, infatti, osservato che dopo un primo giudizio positivo del medico competente dell'azienda circa l'idoneità del G., ne era stata affermata poi l'inidoneità, dopodiché, a seguito dell'esame fisico del dipendente e dell'ispezione sui luoghi di lavoro, era stato formulato un nuovo giudizio di idoneità dello stesso lavoratore allo svolgimento delle mansioni cui era stato addetto, sulla base della considerazione che non vi erano patologie che ne imponessero la sospensione in via precauzionale, mentre si era ritenuto necessario un ausilio meccanico per il trasporto dei pesi o quello di un altro lavoratore per carichi superiori ai quindici chilogrammi, onde evitare il sovraccarico della colonna vertebrale. Orbene, proprio sulla base di tali rilievi il consulente d'ufficio aveva osservato che non sussistevano, in realtà, le contraddizioni segnalate dalla società appellante circa la difficoltà al reperimento di altri posti di lavoro e tale giudizio è stato condiviso dalla Corte d'appello. A tal riguardo, la stessa Corte ha evidenziato che in materia di movimentazione di carichi esistono già disposizioni a tutela dei lavoratori sottoposti ad attività che comportino rischi di patologie da sovraccarico biomeccanico, in particolare dorso-lombari, che impongono l'uso di mezzi appropriati e di attrezzature meccaniche, come ad esempio gli artt. 167 e segg. del D.lgs 9/4/2008, n. 81 in attuazione della legge 3/8/2007, n. 123 in materia di tutela della salute e di sicurezza sui luoghi di lavoro, aggiungendo che nella fattispecie il sussidio umano era stato indicato dal medico aziendale solo come soluzione alternativa agli strumenti meccanici. Col secondo motivo la ricorrente denunzia l'insufficienza della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d'appello fa proprie le conclusioni del consulente d'ufficio facendo rilevare che l'idoneità condizionata esplicitata da quest'ultimo con riferimento alla capacità lavorativa del G. va letta come mancanza di idoneità del medesimo allo svolgimento di lavori che comportino, come nella fattispecie, continui sollevamenti di pesi e ancor più frequenti spostamenti sul piano di lavoro di carichi superiori ai dieci chili di peso, a nulla potendo valere l'affermazione secondo cui l'adozione di mezzi specificatamente mirati ad evitare complicanze dorsali rientri tra gli obblighi datoriali di cui all'art. 2087 cod. civ. in virtù dell'entrata in vigore dell'art. 167 del D.Lgs. n. 81 del 9/4/2008. Il motivo è infondato in quanto attraverso lo stesso la ricorrente si limita a confutare solo una parte della più ampia disamina del caso svolta dal perito d'ufficio le cui conclusioni sono state condivise dalla Corte di merito con un giudizio complessivo sull'idoneità del G. che ha tenuto conto non solo dello stato di salute del dipendente licenziato per asserita inidoneità lavorativa, ma anche dell'ispezione del luogo lavorativo e delle modalità in cui l'attività lavorativa praticata dal medesimo poteva essere fatta svolgere nel rispetto delle prescrizioni di legge poste a tutela della salute dei lavoratori. Tale giudizio, in quanto adeguatamente motivato ed immune da rilievi di carattere logico-giuridico, sfugge alle censure di legittimità come sopra compendiate che non ne scalfiscono la validità. Pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 4000,00 per compensi professionali e di Euro 50,00 per esborsi, oltre accessori di legge.