La facoltà di optare per il risarcimento scatta solo dopo la sentenza di illegittimità

Il lavoratore può esercitare la facoltà di chiedere al datore di lavoro l’indennità prevista dall’art. 18, comma 5, L. n. 300/1970 solo dopo la pronuncia della sentenza che dichiara illegittimo il licenziamento e ordina la reintegrazione nel posto di lavoro. A nulla rilevando che nelle more del giudizio il lavoratore, aderendo all’invito del datore di lavoro, abbia ripreso il servizio, salvo che da ciò non possa desumersi in modo inequivoco l’intervenuto accordo tra le parti di ricostituzione del rapporto di lavoro.

Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 21452, pubblicata il 19 settembre 2013. La vicenda opposizione a decreto ingiuntivo per il pagamento dell’indennità risarcitoria. Un lavoratore, adducendo che il licenziamento irrogatogli era stato dichiarato illegittimo con sentenza passata in giudicato e che aveva optato per il pagamento dell’indennità risarcitoria sostitutiva della reintegrazione, chiedeva ed otteneva decreto ingiuntivo nei confronti del datore di lavoro. Questi proponeva opposizione all’ingiunzione, che veniva respinta dal Tribunale. Proposto appello, la Corte d’Appello accoglieva il gravame proposto dall’azienda e revocava il decreto ingiuntivo, rilevando che in pendenza del giudizio in merito alla validità del recesso, il rapporto era stato ripristinato, proseguendo anche dopo la pronuncia della sentenza dichiarativa di illegittimità con ciò facendo presumere una volontà del lavoratore incompatibile con la rinuncia alla prosecuzione del rapporto. Ricorreva in Cassazione il lavoratore per la riforma della pronuncia d’appello. Gli effetti della ripresa del servizio. Nel caso in esame il lavoratore aveva ripreso il servizio, aderendo all’invito del datore di lavoro, nelle more del giudizio di impugnativa. Tale circostanza di fatto può influire in modo significativo sulle conseguenze derivanti dalla declaratoria di illegittimità del licenziamento soltanto ove la ripresa del lavoro sia conseguenza di un accordo delle parti volto alla revoca del licenziamento ed alla ricostituzione del rapporto di lavoro. E nel caso in esame tale inequivoca volontà non è ravvisabile anzi il lavoratore ha coltivato l’azione di impugnazione pur avendo di fatto ripreso il servizio, fino a giungere alla pronuncia di sentenza declaratoria di illegittimità del licenziamento. La mera ripresa del servizio nelle more del giudizio di impugnazione del recesso non potrà avere valenza anticipatoria o sostitutiva della sentenza, ma sarà valutabile a fini diversi, quale ad esempio ai fini della quantificazione del risarcimento eventualmente spettante. Il momento in cui l’obbligazione risarcitoria nasce Alla luce del principio sopra enunciato, la Corte di legittimità individua quale momento in cui nasce reintegrazione nel posto di lavoro quello della pronuncia della sentenza dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento. Correttamente la Corte di merito aveva delineato la natura giuridica dell’istituto dell’opzione di cui all’art. 18 L. n. 300/1970 in termini di obbligazione alternativa, che vede il lavoratore quale creditore tuttavia aveva errato nella determinazione del momento in cui tale obbligazione alternativa nasce. la sentenza di reintegrazione nel posto di lavoro. Dunque l’obbligazione alternativa è conseguenza dell’accertamento con sentenza dell’illegittimità del licenziamento e prima della pronuncia della sentenza stessa non sussiste per il lavoratore alcuna facoltà di scelta e quindi alcuna possibilità di esercizio del diritto di opzione. Afferma quindi la Suprema Corte che Il lavoratore potrà esercitare la facoltà di chiedere al datore di lavoro l’indennità prevista dall’art. 18, comma 5, L. n. 300/1970 solo dopo la pronuncia della sentenza che dichiara illegittimo il licenziamento e ordina la reintegrazione nel posto di lavoro, a nulla rilevando la ripresa del servizio nelle more del giudizio di impugnazione del licenziamento, salvo che dalla circostanza possa desumersi in modo chiaro ed univoco la volontà delle parti di revocare il licenziamento e ricostituire il rapporto di lavoro. Il ricorso proposto dal lavoratore è stato così accolto dalla Suprema Corte, con rinvio ad altra Corte di merito.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 giugno - 19 settembre 2013, n. 21452 Presidente Lamorgese – Relatore Mammone Svolgimento del processo 1.- Con ricorso al Giudice del lavoro di Roma, V.G. esponeva che era stata dichiarato inefficace il licenziamento irrogatogli da Ferrovie dello Stato s.p.a. e che egli aveva esercitato l'opzione per l'indennità sostitutiva in luogo della reintegrazione in ragione di tale titolo chiedeva pertanto decreto ingiuntivo nei confronti di Ferrovie dello Stato s.p.a. per il pagamento della somma di Euro 27.459,31. 2.- Concesso il decreto e rigettata l'opposizione del datore di lavoro, proposto appello da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. RFI, subentrata a Ferrovie dello Stato s.p.a. , la Corte d'appello di Roma con sentenza 16.11.06 accoglieva l'impugnazione e rigettava la domanda. La Corte d'appello rilevava che nel caso di specie il rapporto era stato ripristinato in corso di causa, proseguendo anche dopo la sentenza che aveva dichiarato l'illegittimità del recesso, per cui non poteva essere riconosciuto il diritto del lavoratore all'indennità di cui all'art. 18, comma 5, della l. 20.05.70 n. 300, in quanto l'opzione ivi prevista presuppone necessariamente il difetto di prestazione è non è possibile quando il lavoratore abbia già ripreso il servizio, manifestando una volontà incompatibile con la rinunzia alla prosecuzione del rapporto. 3.- Avverso questa sentenza V. propone ricorso per cassazione, cui risponde RFI s.p.a. con controricorso, ricorso incidentale e memoria. Motivi della decisione 5.- Preliminarmente vanno riuniti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., il ricorso principale e quello incidentale. 6.- Con il ricorso principale sono dedotti due motivi. 6.1.- Con il primo motivo si lamenta violazione dell'art. 18, comma 5, della l. 20.05.70 n. 300, rilevandosi che nel caso di specie il datore non aveva reintegrato il lavoratore, ma aveva solo consentito che la prestazione riprendesse di fatto ed in termini di precarietà e temporaneità, il che contrasta con il dettato dell'art. 18, comma 5, il quale pone l'alternativa tra la reintegra come disposta in un provvedimento giudiziale di accertamento dell'illegittimità del licenziamento e l'indennità e non anche tra questa e la ripresa di fatto della prestazione. 6.2.- Con il secondo motivo si lamenta carenza di motivazione, sotto il duplice profilo a della omessa motivazione, non avendo la Corte d'appello pronunziato su un formale motivo di impugnazione concernente la carente formulazione dei motivi di appello di RFI s.p.a. per mancanza dell'esposizione sommaria dei fatti ed i motivi specifici di doglianza b del difetto di motivazione, ravvisandosi la mancata illustrazione della ragione per cui, in caso di ripresa di fatto della prestazione, la reintegrazione intesa come ricostruzione ex tunc del rapporto sia impossibile, con conseguente cessazione dell'alternativa tra reintegrazione e pagamento dell'indennità. 7.- Con il ricorso incidentale RFI s.p.a. deduce carenza di motivazione a proposito del mancato accoglimento della domanda riconvenzionale concernente l'indebita percezione delle retribuzioni dei mesi di gennaio e febbraio 2002 da parte del V. , che pacificamente aveva lasciato il lavoro per dimissioni in data 31.12.01. Il giudice ne avrebbe ritenuto non provata la percezione senza avvedersi della presenza in atti delle buste paga relative ai due mesi in questione. 8.- L'art. 18, comma 5. della l. 20.05.70 n. 300, nel testo applicabile ratione temporis , prevede che, qualora il giudice abbia dichiarato l'illegittimità del licenziamento ed abbia ordinato la reintegra nel posto di lavoro, il lavoratore, fermo restando il diritto al risarcimento del danno, può chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto primo periodo e che qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell'indennità , il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti secondo periodo . 9.- Il giudice di appello ha accertato che il lavoratore, licenziato il 19.08.98, invitato dal datore, aveva ripreso il servizio in data 18.10.99 ed aveva lavorato ininterrottamente fino al 31.12.01, quando era già intervenuta la sentenza del Tribunale del lavoro del 9.02.01, che aveva dichiarato inefficace il licenziamento ai sensi dell'art. 2 della l. 15.07.66 n. 604 ed aveva disposto la reintegra. Di fronte a questa situazione di fatto, lo stesso giudice ha sostenuto che il lavoratore, pur dopo la declaratoria di illegittimità del licenziamento ed all'emissione dell'ordine di reintegrazione, non poteva chiedere l'indennità di cui al comma 5 dell'art. 18 in luogo della reintegrazione, atteso che dopo il recesso egli aveva aderito all'invito del datore di riprendere l'esecuzione della prestazione. Il giudice di appello, rilevato che la norma in questione configura un'obbligazione con facoltà alternativa a parte creditoris il lavoratore avente ad oggetto la reintegrazione o la corresponsione dell'indennità, sostiene che nella fattispecie sarebbe stata ontologicamente impossibile la reintegrazione intesa come ricostituzione ex nunc del rapporto , essendo stato il rapporto stesso già ricostituito prima della sentenza recante l'ordine di reintegra, con conseguente soppressione del rapporto di alternatività postulato dalla norma. 10.- Passando all'esame dei due motivi del ricorso principale, da trattare in unico contesto, deve premettersi che il giudice, esaminando la questione della compatibilità dell'indennità con la ripresa dell'attività lavorativa prima della pronunzia della sentenza che ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento, ha implicitamente dato per ammesso che la richiesta dell'indennità stessa sia stata tempestivamente avanzata, nel rispetto dei termini previsti dall'art. 18, comma 5. Il datore di lavoro, che aveva contestato la tempestività dell'esercizio dell'opzione, pur proponendo ricorso incidentale, sul punto non ha proposto alcuna impugnazione pertanto, la tempestività non è sub indice e deve darsi per acclarato che la richiesta sia stata avanzata nei termini di legge. 11.- La Corte d'appello ha correttamente delineato la natura giuridica dell'istituto dell'opzione in termini di obbligazione alternativa che vede il lavoratore nella posizione di creditore tuttavia, non ha correttamente determinato il momento in cui l'obbligazione nasce. L'obbligazione in questione è conseguenza dell'accertamento con sentenza dell'illegittimità del licenziamento, di modo che prima della sentenza stessa non sussiste per il lavoratore alcuna facoltà di scelta e, conseguentemente, alcuna possibilità di esercizio dell'opzione. L'emanazione dell'ordine di reintegra, contenuto nella sentenza che dichiara l'illegittimità del licenziamento, costituisce quindi condizione essenziale per la nascita del diritto di opzione. Sul piano giuridico, la circostanza che il lavoratore abbia ripreso il servizio dopo il recesso a seguito di invito del datore di lavoro può influire su questo schema solo nel caso che la ripresa sia conseguenza di un accordo raggiunto tra le parti per la revoca del licenziamento, e quindi solo nel caso che l'invito del datore costituisca proposta negoziale seguita dall'accettazione del lavoratore. Nel caso di specie questa situazione non si è verificata, dato che l'invito a riprendere il servizio, intervenuto dopo l'impugnazione del licenziamento, non ha trovato il consenso del lavoratore al ripristino del rapporto di lavoro, atteso questi ha coltivato la causa ed ha ottenuto la sentenza di primo grado con cui è stata dichiarata l'inefficacia del licenziamento ed è stato emanato l'ordine di reintegra, sentenza poi passata in giudicato per mancanza di impugnazione. L'invito del datore, dunque, non può avere effetto anticipatorio ed il comportamento del lavoratore, sarà dunque valutabile sotto altri aspetti, pur rilevanti nell'ambito del contenzioso instaurato ad esempio ai fini della quantificazione del risarcimento del danno , ma non ai fini dell'esercizio dell'opzione, che il lavoratore stesso potrà effettuare solo in un momento successivo a quello della nascita dell'obbligazione e dell'alternativa creata dalla legge. I due motivi del ricorso principale sono, pertanto, fondati. 12.- È, invece, infondato il ricorso incidentale. La Corte d'appello ha rigettato la domanda di restituzione delle somme che Rete Ferroviaria ritiene indebitamente percepite dalla controparte relative alla retribuzione dei mesi di gennaio e febbraio 2002, in cui la prestazione era già cessata ritenendo non provata l'effettiva percezione delle somme da parte del lavoratore. Con l'impugnazione incidentale la società datrice di lavoro ribadisce di aver prodotto in giudizio a sostegno della sua domanda la copia delle buste paga emesse per quel periodo a favore del lavoratore, ma non sostiene che le stesse rechino la quietanza dello stesso o che da esse possa in altro modo desumersi la prova dell'avvenuta percezione delle somme ivi indicate. Nella sostanza il mezzo di impugnazione è inidoneo a contrastare la statuizione della Corte d'appello al riguardo. 13.- In conclusione, il ricorso principale deve essere accolto e, rigettato quello incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione all'accoglimento, con rinvio al giudice indicato in dispositivo il quale procederà a nuovo esame della causa facendo applicazione del seguente principio di diritto il lavoratore può esercitare la facoltà di chiedere al datore l'indennità di cui all'art. 18, comma 5, della l. 20.05.70 n. 300, solo dopo l’emanazione della sentenza che dichiara l’illegittimità del licenziamento e ordina la reintegrazione nel posto di lavoro, a nulla rilevando che nelle more del giudizio, aderendo all’invito del datore il lavoratore abbia ripreso il servizio, salvo che da tale reciproco comportamento delle parti possa desumersi che tra le stesse è intervenuto l’accordo, anche implicito, di ricostituzione del rapporto di lavoro. 14.- Al giudice del rinvio va rimessa anche la regolazione delle spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il principale e rigetta l'incidentale cassa la sentenza impugnata in relazione all'accoglimento e rinvia alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.