Suona la campanella, ma a quale dare ascolto? A quella che segnala l’allarme o la fine del turno?

È legittimo il licenziamento del dipendente di un istituto di vigilanza che rifiuti di intervenire su un allarme scattato poco prima della fine del suo turno notturno di lavoro.

Lo ha stabilito la sentenza della Corte di Cassazione n. 21361, depositata il 18 settembre. Richiesta datoriale di protrarre l’orario di lavoro oltre le otto ore notturne. La Corte d’Appello aveva confermato la legittimità del licenziamento intimato a un lavoratore per il suo rifiuto di intervenire, a seguito di richiesta formulata dalla centrale operativa, su un allarme scattato poco prima della fine del suo turno di lavoro, così violando il disposto dell’art. 75 c.c.n.l. che obbliga il personale smontante o già smontato a effettuare il servizio nel ricorso di condizioni oggettive che lo richiedano e ravvisando nella condotta quella insubordinazione che giustifica la risoluzione del rapporto. Il dipendente, contro tale decisione, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la richiesta di intervento sull’allarme, formulata a soli dieci minuti dalla scadenza dell’orario giornaliero, sarebbe stata arbitraria e poteva essere legittimamente disattesa dal lavoratore. Inoltre, a suo dire, sarebbe stato violato l’art. 75 c.c.n.l. per gli addetti alla vigilanza l’interpretazione datane dai giudici territoriali configgerebbe con il diritto del lavoratore a godere, con modalità programmabile e prevedibile, del dovuto tempo libero, o più correttamente riposo. Per la Suprema Corte il ricorso va rigettato. Gli Ermellini hanno ricordato che l’orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto ore nelle ventiquattro ore , ma è fatta salva l’individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, che prevedano un orario di lavoro plurisettimanale, di un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite . Piazza Cavour ha rilevato che tale disposizione ha trovato piena attuazione nella contrattazione collettiva di settore, nella quale si è conciliato il ruolo ricoperto dalla Vigilanza Privata - quale attività ausiliaria di prevenzione, sicurezza per la tutela del patrimonio pubblico e privato - con le conseguenti necessità di assicurare servizi caratterizzati da straordinarietà non programmabili al fine di evitare pericoli e danni ai beni da vigilare. A tal fine è stato convenuto che il lavoratore del turno smontante non può lasciare il posto di lavoro senza prima aver avuto la sostituzione del lavoratore montante, che dovrà avvenire entro due ore e mezza dal termine del normale orario giornaliero . Occorre far fronte a esigenze impreviste e non rientranti nella normale organizzazione del lavoro. Per i giudici di legittimità, il c.c.n.l. configura una modalità di flessibilizzazione dell’orario che, ragionevolmente, consente il corretto avvicendamento nel servizio assicurando la presenza di personale per fare fronte a esigenze impreviste e non rientranti nella normale organizzazione del lavoro, quale può essere concretamente qualificata la necessità di provvedere a un intervento in prossimità della fine del turno di servizio con, solo eventuale, travalicamento del termine di otto ore.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 luglio - 18 settembre 2013, n. 21361 Presidente Lamorgese – Relatore Garri Svolgimento del processo La Corte d'Appello di Firenze ha respinto il ricorso proposto da D A. ed ha confermato la sentenza del Tribunale di Pistoia che aveva accertato la legittimità del licenziamento intimatogli dalla Lucarelli s.r.l. in data 25.9.2006 avendo ritenuto provato, in esito all'esame delle emergenze istruttorie il rifiuto del dipendente di intervenire, a seguito di richiesta formulata dalla centrale operativa, su un allarme scattato poco prima della fine del suo turno di lavoro così violando anche il disposto dell'art. 75 del ccnl che obbliga il personale smontante o già smontato a effettuare il servizio nel ricorso di condizioni oggettive che lo richiedano e ravvisando nella condotta quella insubordinazione che giustifica, a norma dell'art. 127 del ccnl citato, la risoluzione del rapporto. Aggiunge ancora la Corte che tale conclusione sarebbe ulteriormente confermata dalla esistenza di numerose e rilevanti sanzioni disciplinari infitte nel biennio anteriore al licenziamento ed anche precedenti tutte idonee a confermare la gravità della contestata infrazione alla luce dell'ormai reiteratamente compromesso rapporto di fiducia. Per la cassazione della sentenza ricorre l'A. che articola sei motivi. Resiste con controricorso la Lucarelli. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso è censurata la sentenza impugnata per avere la Corte territoriale, in violazione e falsa applicazione dell'art. 210 c.p.c., omesso di trarre le dovute conclusioni in seguito al mancato adempimento, da parte della società resistente, all'ordine di esibizione di documentazione ritenuta dal Collegio necessaria ai fini della decisione. Sottolinea il ricorrente che, nonostante con ordinanza fosse stata disposta l'esibizione dei tabulati delle comunicazioni radio e telefoniche intercorsi tra le 5,45 e le 6,15 tra la centrale operativa e gli agenti A. e P. , ciascuno in servizio sul territorio di propria competenza, la società aveva depositato solo un brogliaccio, neppure firmato, inidoneo a costituire prova attendibile della verità delle trascrizioni ivi riportate. Con il secondo motivo, poi, viene denunciata l'omessa e contraddittoria motivazione in relazione alla erronea valutazione da parte della corte fiorentina delle dichiarazioni rese dai testi C. e P. ritenute dal giudice d'appello tra loro concordanti e, viceversa, totalmente discordanti, in relazione alla circostanza che al P. fosse stato richiesto di intervenire sull'allarme ricevuto dalla centrale prima del rientro a fine turno dell'A. , che era competente per la zona, e non, invece, all'atto dell'arrivo di quest'ultimo alla centrale. Il terzo motivo di ricorso ha ad oggetto la violazione e falsa applicazione degli artt. 2104 e 2108 c.c, dell'art. 5 della L. n. 533/1999 e dell'art. 13 del d.lgs. n. 66 del 2003 oltre che la violazione e falsa applicazione dell'art. 71 c.c.n.l. per gli addetti alla vigilanza. Sostiene il ricorrente che la richiesta datoriale di protrarre l'orario di lavoro oltre le otto ore notturne avrebbe violato l'art. 5 della L. n. 533/1999 e l'art. 13 del d.lgs. n. 66 del 2003 e dunque la richiesta di intervento sull'allarme, formulata a soli dieci minuti dalla scadenza dell'orario giornaliero, era arbitraria e poteva essere legittimamente disattesa dal lavoratore. Con il quarto motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2107 e 2108 c.c. e dell'art. 75 del c.c.n.l. per gli addetti alla vigilanza. Sostiene il ricorrente che l'interpretazione data dalla Corte d'Appello alle citate norme configgerebbe con il diritto del lavoratore a godere con modalità programmabile e prevedibile, del dovuto tempo libero, o più correttamente riposo. Inoltre evidenzia l'erroneità del richiamo operato all'art. 75 del ccnl poiché la norma citata nulla prevederebbe circa la possibilità di superare l'orario di otto ore di lavoro notturno. Con le ultime censure, infine, si denuncia che la sentenza in violazione dell'art. 360 n. 6 c.p.c. rectius n. 5 avrebbe omesso di motivare in ordine alla prova dell'esistenza di precedenti infrazioni disciplinari che avrebbero connotato di particolare gravità la condotta sanzionata posto che la gravità di detti precedenti era stata espressamente contestata dal lavoratore. Inoltre, evidenzia che, le infrazioni antecedenti il biennio dalla commissione del fatto contestato, a norma dell'art. 7 l. n. 300/1970, non potevano essere legittimamente prese in considerazione. Il primo motivo è infondato. Va premesso che ai sensi dell'art. 421 c.p.c., non solo il potere officioso di ordinare l'esibizione di documenti è discrezionale, di tal che il suo esercizio non comporta alcun vincolo per il giudice ma, ugualmente è discrezionale anche il potere di desumere argomenti di prova dall'inosservanza dell'ordine di esibizione sebbene, in questo caso, la discrezionalità sia correlata alla natura dell'argomento di prova e tale correlazione comporti che per l'eventuale valutabilità del rifiuto di esibizione di documenti come ammissione del fatto è necessario che vi siano elementi di prova concorrente cfr. Cass. 27.8.2004 n. 17076 e 10.7.1998 n. 6769 . Nel caso in esame, a parte il fatto che la società datrice ha ampiamente giustificato le ragioni dell'impossibilità di ottemperare all'ordine impartitole per non essere più reperibili presso il gestore di telefonia l'elenco delle comunicazioni intervenute tra la centrale e gli operatori essendo trascorso da tempo il termine per la conservazione obbligatoria dei tabulati, non vi sono altri elementi che concorrano a confortare la tesi del ricorrente. Correttamente, dunque, la corte territoriale ha ritenuto giustificato l'inadempimento all'ordine di esibizione essendone state chiarite le ragioni dell'impossibilità. Ne consegue che correttamente il giudice di appello ha fondato le sue valutazioni, esenti da vizi logici e da contraddizioni sulle acquisizioni testimoniali rapportate ai rapporti computerizzati depositati agli atti ed alla relazione di servizio redatta dall'addetto alla centrale operativa, anch'essa depositata. In definitiva, e condivisibilmente, non è stato ritenuto sussistente inadempimento a fronte di un concreto sforzo di adempiere. Quanto alla dedotta contraddittorietà della motivazione si osserva che con la censura si pretende da parte della Corte un nuovo, ed inammissibile, esame delle risultanze probatorie acquisite al processo senza spiegare in che maniera una diversa valutazione delle prove testimoniali potrebbe necessariamente condurre ad una decisione della controversia. Va ribadito che qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l'omessa o contraddittoria valutazione di prove testimoniali, ha l'onere non solo di trascriverne il testo integrale nel ricorso per cassazione ma, al fine di consentire il vaglio di decisività, è altresì tenuto a specificare i punti ritenuti decisivi, risolvendosi, altrimenti, il dedotto vizio di motivazione in una inammissibile richiesta di riesame del contenuto delle deposizioni testimoniali e di verifica dell'esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione è mancata ovvero è stata insufficiente o illogica cfr. tra le tante Cass. 12.3.2009 n. 6023 . Tanto premesso si osserva che nel caso di specie il ricorrente ha sì riprodotto il testo delle testimonianze e dei relativi capitoli di prova inserendo nel ricorso fotocopia dei verbali di causa e della memoria contenente i capitoli di prova, ma non ha chiarito quali, in tale contesto siano le circostanze decisive acclarate e non adeguatamente valutate. Per quanto concerne poi la pretesa violazione delle disposizioni di legge e di contratto che regolano l'orario di lavoro del personale addetto ai turni di notte, ed in particolare di quello di vigilanza, oggetto delle ulteriori censure si osserva che, se a norma dell'art. 4 comma 1 del d.lgs. n. 532 del 1999 L'orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le otto ore nelle ventiquattro ore , è fatta salva, tuttavia, l'individuazione da parte dei contratti collettivi, anche aziendali, che prevedano un orario di lavoro plurisettimanale, di un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite . Tale disposizione è ribadita dal? art. 13 del d.lgs. n. 66 del 2003 ed ha trovato piena attuazione nella contrattazione collettiva di settore art. 71 del c.c.n.l. del personale degli Istituti di vigilanza privata ratione temporis applicabile nel quale, stante il ruolo ricoperto dalla Vigilanza Privata quale attività ausiliaria di prevenzione, sicurezza per la tutela del patrimonio pubblico e privato, con le conseguenti necessità di assicurare servizi caratterizzati da straordinarietà non programmabili al fine di evitare pericoli e/o danni ai beni da vigilare, è stato convenuto che in base all'art. 3 d. lg. n. 66/2003 ai fini contrattuali l'orario di lavoro è fissato in 40 ore settimanali e, tuttavia, si è precisato che tenuto conto delle obiettive necessità di organizzare i turni di lavoro in maniera da garantire la continuità nei servizi di tutela del patrimonio pubblico e privato affidato agli Istituti di Vigilanza, in attuazione a quanto previsto dall'art. 4 del D.lgs. 66/2003 la durata massima dell'orario di lavoro, comprese le ore di straordinario, non potrà superare le 48 ore ogni periodo di sette giorni, calcolate come media, riferita ad un periodo di mesi 12, decorrenti dal 1 gennaio di ogni anno di applicazione del presente contratto, fermo restando quanto previsto dal punto a del presente articolo sull'orario settimanale e dagli art. 76 e 77 primo comma. Per il personale assunto durante l'anno il periodo di riferimento sarà riparametrato in relazione ai mesi di effettivo servizio. . e che .il lavoratore del turno smontante non può lasciare il posto di lavoro senza prima aver avuto la sostituzione, del lavoratore del turno montante, che dovrà avvenire entro due ore e mezza dal termine del normale orario giornaliero . . Si tratta di una modalità di flessibilizzazione dell'orario che, ragionevolmente, consente il corretto avvicendamento nel servizio assicurando la presenza di personale per fare fronte a esigenze impreviste, e non rientranti nella normale organizzazione del lavoro, quale può essere concretamente qualificata la necessità di provvedere ad un intervento in prossimità della fine del turno di servizio con, solo eventuale, travalicamento del termine di otto ore. Con riguardo infine alla omessa di motivazione circa la prova dell'esistenza di precedenti infrazioni disciplinari che avrebbero connotato di particolare gravità la condotta sanzionata, fatti mai contestati al lavoratore, oltre che alla pretesa violazione dell'art. 7 l. n. 300/1970 si osserva che, per tale ultimo profilo la censura è sintetica ai limiti della petizione di principio, ed in ogni caso le doglianze non possono comunque trovare accoglimento ove si consideri che la corte territoriale, solo per rafforzare la già completa motivazione in base alla quale ha ritenuto che il fatto contestato integrasse una ipotesi di insubordinazione censurabile con il licenziamento, ha fatto riferimento ad allegati pregressi comportamenti ugualmente espressione di una condotta configgente con i doveri di correttezza e buona fede nell'esecuzione del rapporto, ma non li ha considerati tra i fatti da valutare perché posti a base del licenziamento, di tal che la motivazione della sentenza, anche a prescindere dalle osservazioni formulate sui comportamenti pregressi, risulta esaustiva e convincente e non avalla alcun mutamento della contestazione dell'addebito disciplinare. Peraltro si rammenta che il principio dell'immutabilità della contestazione dell'addebito disciplinare mosso al lavoratore ai sensi dell'art. 7 dello statuto lavoratori se preclude al datore di lavoro di licenziare per altri motivi, diversi da quelli contestati, non vieta tuttavia di prendere in considerazione fatti che, pur non contestati, e che si collocano a distanza anche superiore ai due anni dal recesso, costituiscano elementi di contorno confermativi della significatività di altri addebiti posti a base del licenziamento, ciò al fine di una valutazione della complessiva gravità, sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio dell'imprenditore, cfr. Cass. 14.10.2009 n. 21795 e 19.1.2011 n. 1145 . In conclusione il ricorso deve essere respinto e le spese, regolate secondo il criterio della soccombenza, vanno poste a suo carico e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in Euro 3000,00 per compensi professionali ed in Euro 50,00 per esborsi, oltre accessori dovuti per legge.