Licenziamento scritto non pervenuto, poi quello orale: ma la rottura concreta non può portare a dedurre il tacito accordo

Questione riaperta, e da approfondire, proprio perché le valutazioni che hanno condotto a optare per l’ipotesi del tacito accordo sono ritenute assolutamente incongrue. Non si può trascurare la sequenza, anche temporale, che ha caratterizzato la vicenda. Per questo, è di nuovo da valutare la legittimità del licenziamento.

Comunicazione scritta del licenziamento, ma non concretizzatasi per il cambiamento di domicilio del dipendente. Ciò non toglie, però, che quella ‘carta’ debba essere tenuta ben presente, soprattutto quando, come in questa vicenda, la rottura del rapporto di lavoro viene poi ribadita verbalmente dal datore di lavoro. Quell’elemento, difatti, può risultare fondamentale per valutare la legittimità dell’azione contestata dal dipendente Cassazione, sentenza n. 13919, sezione Lavoro, depositata oggi . Verba manent Epperò, in prima battuta, ossia in primo e in secondo grado, le contestazioni del lavoratore non vengono ritenute fondate, e, difatti, viene sancita la legittimità del licenziamento. Che, secondo il lavoratore, gli è stato comunicato verbalmente il 7 aprile da congiunto del datore di lavoro e confermato sempre verbalmente, il giorno dopo dal datore di lavoro. Ad avviso del lavoratore, egli ha regolarmente impugnato e contestato il licenziamento , con lettera ad hoc, ma, invece, per i giudici la visione è completamente diversa poiché è pacifica la circostanza della cessazione del rapporto in data 8 aprile , se ne deduce la cessazione del rapporto con tacito accordo tra datore e dipendente. Confusione . Ma è proprio quest’ultimo elemento, il presunto tacito accordo , a scatenare la reazione del lavoratore, che contesta, in Cassazione, il ragionamento dei giudici di secondo grado su motivo e data della cessazione del rapporto di lavoro . Quale il tenore della risposta dei giudici del Palazzaccio? Assolutamente positivo per il lavoratore. Perché, viene affermato, è incongrua la considerazione che si sia trattato di risoluzione del rapporto di lavoro per tacito accordo o mutuo consenso . Rispetto a tale valutazione, difatti, non si può trascurare la sequenza centrale della vicenda, ossia, in stretto ordine cronologico, recesso del datore di lavoro inviato al lavoratore con raccomandata, da questi non ricevuta perché risultato trasferito dal domicilio indicato asserito licenziamento verbale, intimato da persona diversa dal datore di lavoro comunicazione datoriale, con la quale veniva ribadito il precedente licenziamento scritto, contestandone la pretesa oralità . Rispetto a tale quadro, allora, è giusto, secondo i giudici di Cassazione, riaprire la questione, riaffidandola nuovamente alle valutazioni della Corte d’Appello, da approfondire e da rendere più coerenti.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 27 marzo – 3 giugno 2013, n. 13919 Presidente Lamorgese – Relatore Mancino Svolgimento del processo 1. Con sentenza dell’8 gennaio 2007, la Corte d’Appello di Roma respingeva il gravame svolto da D.S.S. contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda tendente ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli da P.L. il 7 e 8 aprile 1998. 2. La Corte territoriale puntualizzava che - D.S. deduceva di essere stato licenziato verbalmente il 7 aprile 1998 da congiunto del datore di lavoro e che il giorno successivo il datore di lavoro, sempre verbalmente, confermava il licenziamento chiedeva, pertanto, la declaratoria di illegittimità del licenziamento assumendo di aver regolarmente impugnato e contestato il licenziamento con lettera del 27 maggio 1998 - il primo giudice accertava che il datore di lavoro, con raccomandate del 19 marzo 1998 non recapitata al lavoratore per il cambio di domicilio dello stesso e con raccomandata del 13-21 aprile 1998, ricevuta dal lavoratore, intimava il licenziamento. 3. A sostegno del decisum la Corte territoriale riteneva, per quanto qui rileva - a la domanda iniziale, sottoposta a giudizio, era relativa al licenziamento intimato verbalmente in data 7 aprile, da soggetto non legittimato ed al successivo licenziamento verbale dell’8 aprile e pacifica era la circostanza relativa alla cessazione del rapporto in data 8 aprile - rispetto alla predetta deduzione nessuna prova era stata fornita o richiesta sulle circostanze inerenti l’asserito licenziamento e la domanda risultava, pertanto, infondata e la pacifica circostanza della cessazione del rapporto in data 8 aprile, scollegata alla prova dell’asserito licenziamento conduceva all’affermazione della cessazione del rapporto come avvenuto con tacito accordo delle parti - b il licenziamento comunicato con lettera 13-21 aprile 1998 risultava estraneo alla domanda introduttiva, riferita solo al licenziamento di cui al punto a , non suffragato da elementi di fatto e conseguenti allegazioni e tuttavia, ad abundantiam, sviluppatosi comunque il contraddittorio su detto fatto nuovo, tale licenziamento non risultava impugnato dal lavoratore, per essere l’unica impugnativa in atti riferita al solo licenziamento verbale del 7 aprile. 4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, D.S.S. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi. L’intimato ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 5. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia vizio di motivazione e violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver la Corte di merito posto a fondamento della statuizione fatti diversi da quelli dedotti dalle parti, quali la cessazione del rapporto in data in data 8 anziché 7 aprile come comprovato dalla lettera di licenziamento del 19 marzo 1998, mai giunta al lavoratore, e dall’ultima busta paga recante la liquidazione del t.f.r. Censura la cessazione del rapporto di lavoro per tacito accordo delle parti, come statuito dalla Corte di merito, assumendo sia l’inesistenza, alla stregua delle deduzioni e allegazioni, di un accordo in tal senso, sia la contraddittorietà del riferimento alla cessazione per tacito accordo atteso il riferimento, in motivazione, alla lettera del 20 aprile 1998 pur erroneamente datata 13-21 aprile onde la decorrenza dal 20 aprile del licenziamento e la ritenuta cessazione del rapporto da altra data l’8 aprile . In definitiva è denunciata la contraddittorietà della motivazione nel determinare motivo e data della cessazione del rapporto di lavoro. 6. Con il secondo motivo, denunciando violazione di legge L. 604/99 art. 112 c.p.c. e vizio motivazione, il ricorrente si duole che la Corte di merito abbia ritenuto intempestivamente impugnato il licenziamento intimato con lettera del 20 aprile 1998. 7. Con il terzo motivo è denunciata omessa pronuncia, in relazione all’art. 112 c.p.c., sul secondo motivo d’impugnazione con il quale si lamentava il mancato riconoscimento, da parte del primo giudice, degli emolumenti richiesti per differenze retributive e l’omesso rilievo, da parte del medesimo giudice, della mancata contestazione delle differenze retributive e degli emolumenti pretesi in merito alle ore di lavoro straordinario svolto. Assume altresì di aver dedotto, con il motivo di gravame, il non corretto apprezzamento dei documenti prodotti dalla controparte e che la Corte di merito, in mancanza di esplicita specifica e corretta contestazione dei conteggi prodotti, avrebbe dovuto ritenere non fornita la prova dell’avvenuto pagamento delle somme non contestate. 8. I primi due motivi, esaminati congiuntamente per la loro connessione logica, sono meritevoli di accoglimento. 9. La motivazione della Corte territoriale che, in una sequenza temporale scandita dal recesso del datore di lavoro inviato al lavoratore con raccomandata da questi non ricevuta perché risultato trasferito dal domicilio indicato, da asserito licenziamento verbale intimato da persona diversa dal datore di lavoro ed, ancora, da comunicazione datoriale con la quale veniva ribadito il precedente licenziamento scritto contestandone la pretesa oralità, è pervenuta all’incongrua conclusione della risoluzione del rapporto di lavoro per tacito accordo o mutuo consenso non è immune da censure. 10. Invero, la statuita risoluzione del rapporto lavorativo per tacito accordo, motivata con il rilievo secondo cui la pacifica circostanza della cessazione del rapporto in data 8/4/98, scollegata alla prova dell’asserito licenziamento, non consente di ritenere che sia l’una conseguenza dell’altro, e si deve quindi considerare la cessazione, del rapporto come avvenuta con tacito accordo delle parti”, non si appalesa correlata ad alcuna allegazione introdotta in giudizio dal datore di lavoro che possa confortare tale esito. 11. Risulta, pertanto, del tutto incongruente la conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale che stride, peraltro, con le argomentazioni non appaganti pur addotte con riferimento al licenziamento del 13 aprile in un contesto motivazionale che evocando l’impugnativa del licenziamento verbale del 7 aprile rende illogico l’impianto motivazionale sulla risoluzione del rapporto per tacito accordo tra le parti, così trascinando anche la vaghezza temporale sulla cessazione del rapporto. 12. Anche il terzo motivo è meritevole di accoglimento. 13. Osserva il Collegio che il vizio di omessa pronuncia non ricorre quando, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo v., ex multis, Cass. 10696/2007 , ma ciò non è nella specie atteso che riprodotto il tenore dell’atto di costituzione d’appello con cui sarebbe stata proposta la doglianza, così conformandosi alla regola dell’autosufficienza, la Corte territoriale ha omesso qualsivoglia statuizione sul motivo di gravame, enunciato chiaramente nello storico di lite dei Giudici del gravame, imperniato sul mancato riconoscimento delle somme richieste come risultanti dal conteggio allegato, relative alle differenze retributive maturate. 14. Tanto basta per cassare la sentenza impugnata e, per essere necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va, rinviata alla stessa Corte territoriale, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.