Lombosciatalgia: il dipendente resta a casa. Ma la caccia gli è fatale: licenziato

Complicata vicenda, già passata una volta all’esame della Cassazione, e chiusa ora con la conferma definitiva del provvedimento adottato dall’azienda. Assolutamente illegittimo il comportamento tenuto dall’uomo, che aveva ottenuto di rimanere a casa per quattro giorni per superare i fastidi della lombosciatalgia problema, questo, assolutamente incompatibile con l’umidità e la postura tipica della caccia.

Caccia fatale. Ma, per una volta, non per le potenziali prede, bensì per il cacciatore. Che proprio a causa delle due ‘battute’, effettuate durante un periodo di assenza per malattia dal lavoro, perde il proprio posto di lavoro. Evidente l’incompatibilità dell’attività venatoria e dell’ambiente in cui essa è svolta colla necessità del recupero fisico per il lavoratore Cassazione, sentenza n. 4559/2013, Sezione Lavoro, depositata oggi . Corsi e ricorsi Eppure, almeno in una prima fase della vicenda giudiziaria, il dipendente – operaio assunto da una società quale invalido al 50 per cento aveva visto legittimate le proprie tesi, con la concreta conseguenza di vedere annullato il licenziamento per giustificato motivo soggettivo comunicatogli dall’azienda. Quest’ultima, più precisamente, aveva contestato all’uomo di avere tenuto, durante il periodo di assenza per lombo-sciatalgia acuta , protrattosi per quattro giorni, un comportamento tale da escludere la sussistenza dello stato di malattia, ovvero, alternativamente, in contrasto con l’obbligo di non pregiudicare il ripristino della piena capacità lavorativa , per essere stato visto esercitare la caccia nelle mattine degli ultimi due giorni di assenza dal lavoro. Ma per i giudici, sia di primo che di secondo grado, si era trattato di un provvedimento illegittimo, perché il dipendente, dopo la risoluzione dello spasmo muscolare per effetto della terapia e del riposo nei primi due giorni , poteva attendere normalmente alla vita quotidiana ed effettuare l’attività di caccia . Tuttavia, le valutazioni compiute in Appello vengono ritenute contraddittorie e illogiche dai giudici della Cassazione, che, in una prima decisione, riaffidano la questione alla Corte d’Appello, che, a sua volta, riesaminando la vicenda, respinge le osservazioni del dipendente e sancisce la legittimità del licenziamento. Habitat. Spiazzato dalla nuova decisione dei giudici di secondo grado, è il dipendente, questa volta, a ricorrere ai giudici di Cassazione, sostenendo che la pronunzia emessa in Appello era fondata su comune esperienza e fatti che non corrispondono alla realtà . Più precisamente, l’uomo evidenzia che non è stata tenuta in debita considerazione la mitezza del clima in autunno nella zona di caccia , la adeguatezza del vestiario indossato nell’occasione e la sufficiente climatizzazione all’interno del gabbiotto utilizzato durante le ‘battute’. Nessuna ripercussione negativa, quindi, era ipotizzabile, ad avviso dell’uomo, sulle proprie condizioni di salute. Ma questa visione viene ritenuta non accettabile dai giudici della Cassazione, i quali si richiamano alle valutazioni – ora ritenute logiche – della Corte d’Appello. In premessa, viene ricordato che l’uomo, affetto da lombosciatalgia cronica , si era recato a caccia in una fase temporale di recupero da un episodio di riacutizzazione della lombosciatalgia , e questo status fisico imponeva riposo e temperature calde , non certo un habitat fatto di umidità e la postura tipica della caccia. Per questo, proprio alla luce di chiare acquisizioni di comune esperienza , è illecito il comportamento tenuto dal dipendente, e lecita la reazione dell’azienda.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 gennaio – 22 febbraio 2013, n. 4559 Presidente Roselli – Relatore Ianniello Svolgimento del processo Con sen1enza del 30 luglio 2002. la Corte d 'appello di Trento aveva confermato la decisione di primo grado, di accoglimento delle domande di M. G., operaio dipendente della s.p.a. Officine protesi assunto qua le invalido al 50%, di annullamento con le conseguenze di cui all'art. 18 L. n. 300 del 1970 del licenziamento per giustificato motivo soggettivo comunicatogli dalla società il 18 novembre 1999, a seguito della contestazione disciplinare di avere tenuto, durante il periodo di assenza per lombo-sciatalgia acuta protrattosi dal 25 al 28 ottobre 1999, un comportamento tale da escludere la sussistenza dello stato di malattia, ovvero, alternativamente, in contrasto con l'obbligo di non pregiudicare il ripristino della piena capacità lavorativa, per essere stato visto esercitare la caccia nelle mal1ine del 27 e 28 ottobre. Con sentenza del 2005 n. 7731, questa Corte, accogliendo il ricorso proposto dalla società, aveva rilevato la contraddittorietà sul piano logico della decisione impugnata, nel recepire acriticamente le conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio e i chiarimenti successivamente forniti dal C.T.U Da un lato, il!fatti, il consulente tecnico ha accertato che, rispetto alla lombalgia cronica della quale soffre il ricorrente, episodi di riacutizzazione possono in sorgere a . eseguito di variazioni climatiche ed in particolare a causa del freddo o del/ 'umidità ovvero a causa di sovraccarichi funzionali della colonna, specie in pasture scorrere con o senza movimentazione di carichi dall'altro ha concluso che dopo la risoluzione dello spasmo muscolare per effetto della terapia e del riposo nei primi due giorni. il ricorrente poteva attendere normalmente alla vita quotidiana ed effettuare pertanto i movimenti riscontrati nelle giornate del 27 e 28 ottobre 1999 e cioè l'attività di caccia ed infatti l'attività venatoria posta in essere dal lavoratore non era tale da aggravare apprezzabilmente o da ritardare la guarigione Ad avviso di questa Corte non è chiaro il passaggio logico che ha indotto il giudice di merito ad escludere che l'attività venatoria svolta dal G. sia da considerarsi compatibile con la necessità per evitare episodi di riacutizzazione della lombalgia cronica di non esporsi al freddo o all'umidità e di non assumere pasture scorrette. In particolare. non risultano adeguatamente valutati né la particolare postura richiesta per puntare il fucile da caccia e sparare né la stagione e l'orario, cui tale attività è stata svolta”. Riassunta la causa avanti alla Corte d'appello di Venezia, quale giudice di rinvio, questa, con sentenza depositata in data 2 gennaio 2009, riformando la decisione di primo grado, ha respinto le domande del G., condannandolo altresì a restituire le somme versategli dalla società in esecuzione della sentenza riformata. Per la cassazione di tale sentenza propone ora ricorso notificato il 31 dicembre 2009 M. G. con un unico motivo, che denuncia il vizio di motivazione della sentenza. La società resiste alle domande con rituale controricorso. Motivi della decisione Il ricorso investe il giudizio della Corte territoriale, secondo cu i, tenuto conto della lombalgia cronica da cui è affetto il G. e che ne determina una invalidità del 50%, il fatto che nei due giorni indicati, di riposo stabilito dal medico per il recupero tisico a seguito del riacutizzarsi della malattia, questi si fosse recato in un periodo autunnale, di mattina presto ore 6,15 , in una zona di caccia del Trentino per praticarvi per un paio di ore l'attività venatoria da svolgersi da un capanno, avvalendosi di uccelli da richiamo, contrasterebbe, secondo una valutazione da condurre ex ante , alla luce dei criteri di correttezza e buona fede nell'adempimento delle obbligazioni, con l'obbligo del di pendente di non pregiudicare il ripristino della piena capacità lavorativa al termine del periodo di assenza per la malattia. Il ricorrente sostiene infatti che il giudice di rinvio avrebbe risolto il quesito postogli dal questa Corte in ordine alla valutazione di potenziale idoneità del!'eventuale esposizione del G. al freddo e all'umidità e dell'effettuazione di manovre proprie della caccia col fucile a determinare episodi di riacutizzazione della lombalgia cronica -con affermazioni apodittiche, affidate a l la comune esperienza c assumendo fatti che non conispondono alla realtà, senza tenere conto delle circostanze di fatto specificatamente dedotte dalla difesa dell'appellato relativamente alla mitezza del clima in autunno nel la zona di caccia indicata, all adeguatezza del vestiario indossato nell'occasione e alla sufficiente climatizzazione all'interno del gabbiotto ove erano situati gli uccelli da richiamo, al fatto che in tale gabbiotto la posizione del G. non sarebbe stata pericolosa per la sua salute, in quanto non statica, mentre il fucile sarebbe stato imbracciato non in maniera continua ma unicamente quando fosse stato scorto un fagiano e in tal caso inserito in un pertugio che fuoriesce dal gabbiotto. Il ricorso è in fondato. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte cfr., per tutte, le sentt. nn. 1699111, 9474/09, 27104/06. 14046/05 e 17128702 , l'assenza dal domicilio per lo svolgimento di attività lavorativa o di altro genere da parte del dipendente assente per malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro, in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, secondo una valutazione da compiere ex ante, non solo allorché tale attività esterna sia di per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, ma anche nell'ipotesi in cui la medesima attività, valutata in relazione alla natura della patologia c delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio ciel dipendente. La valutazione circa la natura pregiudizievole di tale attività, costituisce giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità unicamente nel caso in cui dall'esame del ragionamento svolto dal giudice del mento, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l 'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione. La deduzione con ricorso per cassazione di un vizio di motivazione non conferisce infatti al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica delle argomentazioni svolte, in base all'individuazione, che compete esclusivamente al giudice di merito, delle fonti del proprio convincimento, raggiunto attraverso la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, scegliendo tra di esse quelle ritenute idonee a sostenerlo all'interno di un quadro valutativo complessivo privo di errori, di contraddizioni e di evidenti fratture sul piano logico, nel suo interno tessuto ricostruttivo della vicenda cfr., per tutte, Cass. S.U. Il giugno 1998 n. 5802 e, più recentemente. ex ceteris , Cass., nn. 6288/11, 27162/09, 26825/09 e 15604/07 . Nel caso in esame, la Corte territoriale ha operato le proprie valutazioni con riferimento alla situazione di un soggetto che, affetto da lombalgia cronica, si reca a caccia in una fase temporale di recupero da un episodio di riacutizzazione della lombosciatalgia, che imponeva riposo e temperature calde tenendo corto di acquisizioni di comune esperienza, quale il clima e l'umidità esistenti la mattina presto in autunno inoltrato nella valle del Trentina o la postura che normalmente comporta l'attività venatoria, quantomeno in posizione eretta e statica, sollecitata dal peso del fucile e dai colpi sparati, ma anche di dati risultanti dall'istruttoria relativamente alla situazione dei luoghi il percorso per recarsi al capanno e il riscaldamento dello stesso e personali dell'appellato. Tali valutazioni di fatto sono contrastate dalla difesa del G. col contrapporre ad esse giudizi di fatto diversi, sovente meramente assertivi come quello relativo alla mitezza del clima autunnale nella zona del rovereta no oppure quello riguardante l'adeguatezza del vestiario indossato dal ricorrente o fondati su di una erronea interpretazione della sentenza che, ad es., non ha affatto affermato che la caccia abbia comportato la stazione eretta per due ore col fucile imbracciato -, ma comunque fondati sulle medesime circo stanze di fatto e massime di esperienza valutate dai giudici di merito, così so stanzialmente chiedendo a questo giudice di legittimità una nuova valutazione di merito ddl'intera vicenda processuale, come non appare consentito in questa sede di controllo di legittimità. Il ricorso va pertanto respinto e il ricorrente va condannato a rimborsare alla resistente le spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo sulla base dei parametri di cui al recente D.M. n. 140 del 2012. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla società le spese di questo giudizio, liquidate in € 50,00 per esborsi ed € 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.