Non c’è litispendenza tra azione di accertamento della nullità del termine e azione di condanna all’ammissione in servizio

Non sussiste litispendenza qualora il lavoratore agisca in giudizio prima per far accertare la nullità del contratto a termine con conseguente conversione del rapporto lavorativo a tempo indeterminato e poi, con azione autonoma, per ottenere la condanna del datore di lavoro all’ammissione in servizio ed al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data accertata di inizio del rapporto lavorativo all’effettiva ammissione. Trattasi di due azioni aventi petitum e causa petendi diversi e distinti.

Così è stato stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con la sentenza n. 23405, depositata il 19 dicembre 2012. Il caso azione proposta dal lavoratore per l’accertamento della nullità del termine e successiva azione di condanna all’ammissione in servizio e pagamento retribuzioni spettanti. Un lavoratore assunto con contratto a termine da un istituto bancario proponeva un primo ricorso volto a far accertare la nullità del termine apposto al contratto di lavoro e la conseguente trasformazione del rapporto a tempo indeterminato. Accolto il ricorso in primo grado e definito il giudizio di appello, nelle more del passaggio in giudicato della prima decisione accertativa, il lavoratore proponeva un secondo ricorso al Tribunale del lavoro, chiedendo la condanna del datore di lavoro all’ammissione in servizio ed al pagamento delle retribuzioni maturate dalla decorrenza iniziale del rapporto alla effettiva ammissione in servizio. Il Tribunale del lavoro dichiarava inammissibile il ricorso, ritenendo la domanda proponibile solo in sede di impugnazione della pronuncia resa nel primo giudizio. Proposto appello, la Corte territoriale respingeva il gravame, affermando che la domanda era preclusa o da litispendenza o dal giudicato del primo giudizio formatosi nelle more del secondo. Ricorreva in Cassazione il lavoratore proponendo cinque motivi di censura. La spontanea ammissione in servizio avvenuta nel corso del giudizio non dà luogo a cessazione della materia del contendere. Prima di tutto la Corte di legittimità afferma che l’avvenuta ammissione in servizio del lavoratore spontaneamente da parte del datore di lavoro non costituisce cessazione della materia del contendere. Questa costituisce infatti una fattispecie di sopravvenuta carenza di interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio, e può essere dichiarata solo quando le parti stesse si danno reciprocamente atto dell’intervenuto mutamento di situazione e sottopongano al giudice conclusioni conformi. Non può viceversa ravvisarsi cessazione ove una delle parti abbia allegato e provato fatti astrattamente idonei a far venir meno l’interesse alla prosecuzione del giudizio, ma ciascuna delle parti abbia insistito nelle rispettive domande. Potendo il giudice dichiarare d’ufficio la cessazione solo nel caso in cui risulti acquisito in causa che non sussiste più contestazione tra le parti sul diritto sostanziale azionato. L’azione di accertamento può essere svolta autonomamente da quella di condanna Lamenta il ricorrente che la Corte di merito avrebbe ravvisato nell’azione di condanna proposta la litispendenza, sussistendo nelle due azioni, proposte in tempi diversi, identità di petitum e di causa petendi . Rileva al contrario la Suprema Corte che non può ravvisarsi tale identità. Il primo giudizio si limitava all’accertamento della nullità della clausola appositiva del termine nel contratto di lavoro e conseguentemente all’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La seconda causa verteva sulla domanda di condanna del datore di lavoro all’ammissione in servizio del lavoratore ed al pagamento in favore di quest’ultimo delle retribuzioni ed al risarcimento danni. E, prosegue la Suprema Corte, le due azioni possono essere proposte autonomamente, essendo distinti i rispettivi presupposti. e la proposizione delle due domande non dà luogo a litispendenza Afferma allora la Corte di legittimità, alla luce dei predetti principi, che non può ravvisarsi litispendenza nel caso esaminato. Le due domande proposte dal lavoratore presentano due distinti petitum e causa petendi nell’una la riammissione in servizio ed il pagamento delle retribuzioni, nel secondo caso la declaratoria dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con riguardo al petitum nel primo caso l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel secondo l’accertamento della nullità del contratto di lavoro a termine per ciò che concerne la causa petendi . La Corte di legittimità, ad ulteriore sostegno del principio enunciato, richiama la precedente pronuncia della medesima Corte sentenza n. 8903/2007 , che definendo il primo giudizio tra le parti affermava il diritto del lavoratore che ha cessato l’esecuzione delle prestazioni ad ottenere il risarcimento del danno derivante dall’ingiustificato rifiuto del datore di lavoro a riceverle, corrispondente al pagamento delle retribuzioni non percepite. Con accoglimento pertanto del ricorso proposto dal lavoratore.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 3 ottobre – 19 dicembre 2012, numero 23405 Presidente Vidiri – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Con ricorso al Tribunale di Ferrara, T F. esponeva che con sentenza numero 289 del 27 aprile 2004, la Corte d'appello di Bologna aveva dichiarato che fra la Cassa di Risparmio di Ferrara s.p.a. ed il signor F. si è instaurato un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 2 giugno 1980 quale impiegato di IV grado - che in data 3 maggio 2004, egli si era presentato presso la sede della Cassa di Risparmio di ed aveva manifestato la piena disponibilità a fornire la sua prestazione lavorativa, senza che ciò gli fosse consentito, essendogli stato riferito che la decisione della Corte d'appello di Bologna non era per la Cassa sufficiente per la riammissione in servizio. Conveniva quindi in giudizio la Cassa chiedendo che fosse accertato il suo diritto ad essere assegnato alle mansioni corrispondenti alla progressione di carriera maturata dal 2 giugno 1980, e la condanna della società convenuta al relativo inquadramento, oltre al pagamento delle corrispondenti retribuzioni, in ricorso quantificate, a partire dal 3 maggio 2004, ed al risarcimento dei danni non patrimoniali nella misura almeno pari alla retribuzione dovuta. Si costituiva la Cassa deducendo che la sentenza della Corte d'appello non era stata ancora pubblicata, mentre il dispositivo dichiara che tra la Cassa ed il F. si è instaurato un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 2 giugno 1980 quale impiegato di IV grado non consentiva la richiesta reintegrazione. Evidenziava che il F. aveva comunque esperito solo un'azione di accertamento della nullità dei contratti di lavoro a termine e l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, non recando comunque il dispositivo della sentenza alcuna condanna, che non poteva essere azionata separatamente. Il Tribunale dichiarava inammissibile il ricorso del F. , ritenendo che la richiesta condanna alla riammissione nel posto di lavoro non poteva essere proposta in tale sede, ma solo in sede di impugnazione esperita dal F. mediante ricorso per cassazione , mentre risultava inapplicabile l'art. 18 L. numero 300/70. Avverso tale sentenza proponeva appello il lavoratore. Resisteva la Ca.ri.fe La Corte d'appello di Bologna, con sentenza del 29 settembre 2008, rigettava il gravame, ritenendo la domanda preclusa o da litispendenza ovvero dal giudicato formatosi sulla precedente sentenza della medesima Corte. Propone ricorso per cassazione il F. , affidato a cinque motivi. Resiste la Cassa di Risparmio di Ferrara s.p.a. con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memoria. Motivi della decisione 1. Deve preliminarmente escludersi che nella specie si sia verificata una cessazione della materia del contendere, come dedotto dalla Cassa, per essere nelle more, in tesi, intervenuta l'immissione in servizio del F. , con il riconoscimento delle retribuzioni maturate. Il riconoscimento tardivo del diritto e la mancata specificazione, in contrasto col principio dell'autosufficienza, dei crediti soddisfatti in relazione alle pretese sul punto avanzate dal F. anche risarcitorie , unitamente alla mancata adesione di quest'ultimo a tale conclusione Cass. 22 dicembre 2006 numero 27460 Cass. 9 agosto 2002 numero 12090 Cass. 24 giugno 2000 numero 8607 Cass. 22 gennaio 1997 numero 622 , impongono la decisione nel merito del presente ricorso, dovendo rimarcarsi che la cessazione della materia del contendere costituisce una fattispecie di sopravvenuta carenza di interesse delle parti alla naturale conclusione del giudizio, la quale può essere dichiarata soltanto quando i contendenti si diano reciprocamente atto dell'intervenuto mutamento della situazione e sottopongano al giudice conclusioni conformi pertanto, deve escludersi che possa dichiararsi siffatta cessazione della lite per avere una delle parti allegato e provato l'insorgenza di fatti astrattamente idonei a privare essa stessa o la controparte dell'interesse alla prosecuzione del giudizio e quando, come nella specie, nelle rispettive conclusioni ciascuno abbia insistito sulle originarie domande Cass. 13 giugno 2008 numero 16017 Cass. 8 novembre 2007 numero 23289 . Ed infatti se è pur vero che la cessazione della materia del contendere, dedotta da una sola delle parti, non necessita di accettazione come la rinuncia agli atti del giudizio , essa può essere dichiarata, anche d'ufficio, solo nel caso in cui risulti chiaramente acquisito in causa che non sussiste più contestazione tra le parti sul diritto sostanziale azionato Cass. 20 marzo 2009 numero 6909 Cass. 21 agosto 1991 numero 9007 Cass. 19 marzo 1990 numero 2267 . 2. Con il primo ed il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c., e la conseguente nullità della sentenza, per non essersi la Corte di merito pronunciata su tutta la domanda, ma per aver prospettato due ipotesi di inammissibilità, senza aver assunto una precisa posizione sulle ipotesi prospettate. Denuncia inoltre una insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in ordine alla domanda di assegnazione alle mansioni adeguate alla progressione di carriera, e corrispondente retribuzione, con decorrenza dal 2 maggio 2004, ritenendo contraddittoriamente che sul punto o vi era giudicato implicito, che presupponeva - a suo avviso - l'assenza di una specifica domanda, ovvero che questa fosse stata proposta e respinta dalla precedente sentenza della medesima Corte. I motivi, che per la loro connessione possono esaminarsi congiuntamente, sono infondati, avendo il giudice d'appello ravvisato nella specie due ipotesi di inammissibilità della domanda, ognuna teoricamente sufficiente al rigetto del gravame nei termini sin qui esposti, sicché risulta irrilevante l'adesione della Corte territoriale all'una od all'altra tesi, anche sotto il profilo motivazionale. 2. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia nuovamente la violazione dell'art. 112 c.p.c., per le medesime ragioni sopra esposte, e cioè per avere la Corte di merito prospettato le due menzionate ipotesi di inammissibilità della domanda, senza considerare che l'accertata sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato consentiva di costituire in mora la datrice di lavoro. Il motivo è infondato, denunciandosi la violazione dell'art. 112 c.p.c., laddove il giudice di appello non è evidentemente incorso in alcuna violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, sottoponendo in realtà alla Corte un vizio motivazionale circa la costituzione in mora della datrice di lavoro. 4. Con il quarto e quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 39 c.p.c. per aver ritenuto nella specie sussistente una litispendenza, laddove la domanda proposta nel primo giudizio riguardava le retribuzioni connesse direttamente all'avvenuta conversione del rapporto, mentre nel successivo giudizio il F. agì in base all'avvenuta costituzione in mora del datore di lavoro e quindi su di un diverso e distinto fatto costitutivo del diritto. Denuncia inoltre la violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. per avere la Corte territoriale ritenuto sussistere nella specie un giudicato implicito, con conseguente preclusione del dedotto e del deducibile. Lamenta a tal fine che non sussisteva nella specie l'identità di petitum e causa petendi, essendo la seconda domanda basata su diversa causa petendi, quella della avvenuta costituzione in mora. I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati. Deve infatti considerarsi che nella specie - risultando pacifico, come emerge dalla sentenza impugnata, che la precedente sentenza della Corte bolognese si era limitata all'accertamento dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato per la nullità della clausola appositiva del termine al primo contratto di lavoro - non poteva esservi alcuna litispendenza, e lo stesso vale per il giudicato, in quanto le due domande proposte nel primo e nel secondo giudizio erano diverse e basate su diverse cause petendi. Ed invero, premesso che l'azione di accertamento può essere svolta autonomamente ex pluribus, Cass. 9 maggio 2012 numero 7096 in subiecta materia cfr. Cass. 27 maggio 2009 numero 12333 , dopo aver chiesto ed ottenuto la declaratoria di sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 2 giugno 1980 sentenza 27 aprile 2004 della Corte d'appello di Bologna, poi passata in giudicato a seguito di Cass. numero 8903/07 , il F. adiva successivamente e legittimamente il Tribunale reclamando il suo diritto ad essere ammesso in servizio con mansioni corrispondenti alla progressione di carriera maturata dal 2 giugno 1980, e la condanna della società al pagamento delle corrispondenti retribuzioni ed al risarcimento dei danni Cass. 27 maggio 2009 numero 12333 . Oltre alla considerazione che non può aversi litispendenza allorquando, al momento della decisione come nella specie , la causa che la determinerebbe risulti già definita e passata in giudicato ex plurimis, Cass. 16 novembre 2011 numero 24002 Cass. 24 ottobre 2005 numero 20539 , nel caso in esame le due domande presentavano due distinti petitum e causa petendi - il primo, inteso come bene della vita di cui si chiede la tutela la riammissione in servizio ed il pagamento delle retribuzioni arretrate, oltre al risarcimento del danno, e non più la declaratoria dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato , la seconda, quale fatto costitutivo del diritto azionato l'esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con successiva ed incontestata mora accipiendi della datrice di lavoro, e non più l'accertamento della nullità del contratto di lavoro a tempo determinato , Cass. 25 luglio 2011 numero 16199 Cass. 26 maggio 2011 numero 11636 Cass. 18 settembre 2008 numero 23847. Argomenti decisivi in tal senso si traggono anche dalla citata sentenza di questa S.comma 13 aprile 2007 numero 8903, che, definendo il primo giudizio tra le parti e nel rigettare il ricorso incidentale proposto sul punto dal lavoratore, ha affermato che nel caso di trasformazione in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di più contratti a termine succedutisi tra le stesse parti, per effetto dell'illegittimità dell'apposizione dei termini, il dipendente che cessa l'esecuzione delle prestazioni alla scadenza del termine previsto può ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell'impossibilità della prestazione derivante dall'ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di riceverla - in linea generale in misura corrispondente a quella della retribuzione - soltanto qualora provveda a costituire in mora lo stesso datore di lavoro ai sensi dell'art. 1217 cod. civ. . 5. La sentenza impugnata va pertanto sul punto cassata, con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, per l'ulteriore esame della domanda, oltre alla regolamentazione delle spese, comprese quelle del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte, accoglie il quarto ed il quinto motivo di ricorso e rigetta i restanti. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censura accolte e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Firenze.