Retribuzione risarcita fino alla data di cessazione dell’attività con dipendenti?

Licenziamento dichiarato illegittimo e reintegra nel posto di lavoro più il risarcimento danni, che non è limitato al pagamento delle retribuzioni calcolate fino alla data di cessazione dell’attività con dipendenti.

A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21607, depositata il 3 dicembre 2012. Il caso. Un lavoratore, licenziato per giustificato motivo oggettivo, si rivolgeva all’autorità giudiziaria rivendicando il pagamento di alcune indennità, il pagamento delle differenze retributive, la regolarizzazione della posizione assicurativa e previdenziale, nonché, previa declaratoria dichiarazione di illegittimità del recesso, la reintegra nel posto di lavoro art. 18 l. n. 300/1970 . Il licenziamento è illegittimo. Il Tribunale accoglieva parzialmente le richieste, dichiarando illegittimo il licenziamento e reintegrando il lavoratore nel suo posto di lavoro, rigettando invece le domande afferenti le differenze retributive. L’azienda agricola, succeduta al datore di lavoro precedente, proponeva appello, venendo condannata al risarcimento del danno decurtato dell’ aliunde perceptum . A proporre ricorso per cassazione è una terza società, anch’essa succeduta alla precedente. Risarcimento limitato al pagamento delle retribuzioni fino alla data di cessazione dell’attività con dipendenti? Tra i motivi del ricordo, la società ricorrente sostiene che la sentenza impugnata avrebbe dovuto limitare il risarcimento del danno al pagamento delle retribuzioni fino alla data di cessazione dell’attività con dipendenti, senza estinguere l’azienda, ove simile cessazione di attività risulti pacifica tra le parti. Nel rigettare il ricorso, la S.C. ricorda che la denuncia di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 ottobre – 3 dicembre 2012, n. 21607 Presidente Roselli – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Con ricorso al Tribunale di Lucera, G P. esponeva di aver lavorato alle dipendenze della società San Michele del Gargano dal 1989 sino al licenziamento intimatogli per giustificato motivo oggettivo in data 16 luglio 1998. Il P. lamentava, innanzitutto, l'illegittimità del recesso e, per altro verso, l'inquadramento al 1 livello di cui al c.c.n.l. per gli operai agricoli in luogo del 1 super a suo avviso spettantegli , rivendicando inoltre il pagamento di talune indennità, indicate in ricorso. Chiedeva pertanto la condanna della società resistente, al pagamento delle somme dovute a titolo di differenze retributive, oltre accessori, e la regolarizzazione della posizione assicurativa e previdenziale. Chiedeva poi, previa declaratoria di illegittimità del recesso, la reintegra nel suo posto di lavoro ex articolo 18 L. n. 300 del 1970, con vittoria di spese. Si costituiva la società contestando la fondatezza delle domande avanzate. Espletata prova testimoniale, il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, dichiarando illegittimo il licenziamento e reintegrando il P. nel suo posto di lavoro, rigettando invece le domande afferenti le differenze retributive. Proponeva appello l'Azienda Agricola S.Michele del Gargano s.r.l., succeduta alla precedente società. Resisteva il P. , proponendo altresì appello incidentale relativamente al rigetto delle domande al inerenti alle reclamate differenze retributive. La Corte d'appello di Bari, con sentenza depositata il 1 aprile 2009, rigettava l'appello incidentale ed accoglieva parzialmente l'appello principale, sicché, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava la società al risarcimento del danno ex articolo 18 L. n. 300 del 1970, decurtato dell' aliunde perceptum . Per la cassazione propone ricorso la S.I.T. s.r.l. Società Italiana Trust, succeduta all'Azienda Agricola S. Michele del Gargano s.r.l., affidato a due motivi. Resiste il P. con controricorso. Motivi della decisione Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata della presente sentenza. 1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 3 L n. 604/66tper avere la sentenza impugnata ritenuto inidoneo ad integrare un giustificato motivo oggettivo di licenziamento la soppressione del posto di lavoro del P. , con ripartizione delle sue mansioni fra i restanti dipendenti, senza alcuna assunzione di altri dipendenti ed in presenza di elementi idonei ad escludere il carattere pretestuoso del provvedimento aziendale, come emerso dalle testimonianze raccolte, di cui riporta taluni brani. Ad illustrazione del motivo formulava il seguente quesito di diritto Dica l'adita Suprema Corte di Cassazione se le ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa che, ai sensi dell'articolo 3 della L. 15 luglio 1966 n. 604, costituiscono il giustificato motivo oggettivo di licenziamento, siano integrate da una decisione aziendale consistente nella mera soppressione di un posto di lavoro e nella redistribuzione delle relative mansioni fra gli altri lavoratori rimasti, purché tale decisione appaia adottata per ragioni non futili o non pretestuose, dovendo, a quest'ultimo riguardo, il datore di lavoro fornire solo sufficienti indizi della generica inerenza di tale decisione all'andamento aziendale o alle condizioni di mercato e/o del fatto che il lavoratore licenziato non sia stato sostituito in un tempo ragionevole da altri neo assunti adibiti alle sue stesse mansioni, restando invece del tutto insindacabili le valutazioni tecniche, organizzative o produttive imprenditoriali che hanno portato a tale decisione, mentre l'obbligo di adibire il licenziando ad altre mansioni e condizionato all'onere del lavoratore di indicare le mansioni compatibili . Il quesito, e con esso l'intero motivo Cass. sez.un., 9 marzo 2009 n. 5624 , è inammissibile. Ed invero esso, in contrasto con la ratio dell'articolo 366 bis c.p.c., si limita a chiedere alla Corte se risulti violata una norma di diritto, senza alcuno specifico riferimento al caso di specie, limitandosi agli astratti enunciati ora riprodotti, presupponenti accertamenti di fatto quali l'andamento aziendale, le condizioni di mercato, etc. rimasti sforniti di adeguato supporto deduttivo Cass. 25 marzo 2009 n. 7197 Cass. sez. un. 2 dicembre 2008 n. 28536 . Il motivo risulta infine inammissibile laddove richiede alla Corte un riesame ed un nuovo apprezzamento delle risultanze istruttorie, precluso al giudice di legittimità ex aliis, Cass. 28 settembre 2007 n. 20360 . 2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 18, della L. 20 maggio 1970 n. 300, nonché degli artt. 415 n. 4, 416, comma 3, 423, comma 1, c.p.c., per non avere la sentenza impugnata limitato il risarcimento del danno al pagamento delle retribuzioni fino al 30 giugno 1999, data di cessazione dell'attività con dipendenti, non contestata dal lavoratore. Lamenta la ricorrente di aver dedotto, sin dalla comparsa di costituzione, una circostanza di assoluta rilevanza che il giudice a quo, inopinatamente, non ritenne provata la cessazione dell'attività con dipendenti dell'azienda, avvenuta il 30 giugno 1999. Lamenta che la Corte barese non ritenne al riguardo sufficienti né le numerose dichiarazioni dei testi di cui riportava taluni brani , né le risultanze dei libri matricola, da cui emergeva la medesima cicostanza. Lamenta inoltre che erroneamente la Corte di merito ritenne l'eccezione tardiva, essendo stata proposta nella memoria di costituzione in primo grado. Ad illustrazione del motivo formulava il seguente quesito di diritto Dica la Suprema Corte se il giudice adito deve escludere il diritto del lavoratore licenziato al risarcimento del danno da licenziamento illegittimo ex articolo 18 L. n. 300 del 1970, a partire dal momento in cui risulti che il datore di lavoro abbia successivamente cessato l'attività aziendale con dipendenti senza peraltro estinguere l'azienda, ove simile cessazione di attività risulti pacifica tra le parti . Il motivo risulta inammissibile per le stesse ragioni esposte sub 1 , ed inoltre perché denunciando la violazione di norme di diritto, la ricorrente lamenta in sostanza un non dedotto vizio di motivazione. Deve infatti rammentarsi che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa. Cass. 16 luglio 2010 n. 16698 Cass. 26 marzo 2010 n. 7394. La ricorrente invoca inoltre le deposizioni di alcuni testi, oltre che le risultanze dei libri matricola, non prodotti e di cui neppure è indicata l'esatta ubicazione all'interno dei fascicoli di causa, chiedendone peraltro a questa Corte un inammissibile riesame in fatto. Deve al riguardo evidenziarsi che anche laddove sia denunciato, in sede di legittimità, il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, il ricorrente ha l'onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, indicandone la sua esatta ubicazione all'interno dei fascicoli di causa Cass. sez. un. 3 novembre 2011 n. 22726 , al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell'autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell'atto Cass. ord. 30 luglio 2010 n. 17915 . 3. Con il terzo, subordinato, motivo la ricorrente si duole, ex articolo 384, comma 4, c.p.c., dell'insufficiente quantificazione dell' aliunde perceptum , non avendo la Corte di merito quantificato esattamente le somme da detrarre, in contrasto con la documentazione acquisita in giudizio, chiedendo la correzione della motivazione della sentenza impugnata. Anche tale motivo risulta inammissibile, non avendo la ricorrente prodotto, né indicata la loro ubicazione all'interno dei fascicoli di causa, la documentazione da cui dovrebbe evincersi l'esatta quantificazione dei redditi percepiti medio tempore dal P. Cass. sez. un. 3 novembre 2011 n. 22726 Cass. ord. 30 luglio 2010 n. 17915 , né ricorrendo nella specie una erronea motivazione in diritto, quanto piuttosto un eventuale difetto od insufficienza della motivazione. Giova infatti rimarcare che l'articolo 384 c.p.c. prevede che qualora il vizio denunziato riguardi non un punto di fatto ma un'astratta questione di diritto, il giudice di legittimità ha il potere di integrare e correggere la motivazione della sentenza impugnata, senza cassarla, nel caso in cui la decisione adottata dal giudice di merito sia conforme a diritto, sostituendo la motivazione erronea con altra corretta che conduca all'identico dispositivo della sentenza censurata, purché la sostituzione della motivazione sia soltanto in diritto e non comporti indagini e nuove valutazioni in fatto ex plurimis , Cass. 13 agosto 2004 n. 15764 Cass. 18 marzo 2005 n 5954 . 4. Il ricorso deve dunque rigettarsi. Le spese di lite seguono la soccombenza e, liquidate come da dispositivo, debbono distrarsi in favore del difensore del P. dichiaratosi antecipante. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, pari ad Euro.50,00 per esborsi ed Euro.3.000,00 per compensi, oltre accessori di legge, da distrarsi.