Giusta causa, nozione più ampia per i bancari

Ai fini della valutazione della legittimità di un licenziamento per giusta causa viene in considerazione ogni comportamento, quand’anche compiuto al di fuori della prestazione lavorativa, che per la sua gravità sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere la prosecuzione del rapporto pregiudizievole per gli scopi aziendali. Tale principio è ancor più vero nel settore del credito, nel quale assume ancor grande rilievo l’elemento fiduciario.

Giro di assegni. Un dipendente di un istituto di credito ricorreva al Giudice del lavoro lamentando l’illegittimità del licenziamento per giusta causa, intimatogli all’esito di un procedimento disciplinare in cui erano contestate diverse irregolarità relative a numerose operazioni compiute sul suo conto corrente personale. In concreto, le condotte consistevano per quel che qui interessa nell’aver incassato diversi assegni non trasferibili, di cui alcuni intestati alla madre - e sottoscritti per girata dallo stesso ricorrente, falsificando la firma del genitore - e altri ai suoi fratelli, questi ultimi radicalmente privi di girata. In aggiunta, secondo le verifiche effettuate dalla banca, sul suo conto corrente era emersa una movimentazione incoerente con lo status di dipendente, significativamente rilevante anche ai sensi della normativa antiriciclaggio . Le valutazioni del merito. Riformando la pronuncia di primo grado, la Corte di Appello di Napoli accoglieva le domande del lavoratore. Il Collegio riteneva infatti che i le condotte contestate fossero integralmente riferibili alla qualità di correntista del ricorrente e dunque estranee al rapporto di lavoro ii non fosse condivisibile la tesi del Tribunale che aveva ravvisato, nella consistente movimentazione del conto corrente del dipendente, un’attività simile all’intermediazione immobiliare, in violazione della normativa interna che consentiva l’uso del conto esclusivamente per il reddito familiare non derivante da attività commerciale e iii non poteva condividersi la tesi del Tribunale per cui la violazione della normativa antiriciclaggio si collegasse con attività illecite o quanto meno sospette , posto che tale disciplina non contemplava ipotesi autonome di illecito, risultando solo tesa a consentire, a seguito della segnalazione di attività sospette, l’avvio dei relativi accertamenti. Giusta causa integrata da qualsiasi comportamento, anche extralavorativo . Contro tale pronuncia ricorreva in Cassazione l’istituto di credito lamentando - in estrema sintesi - la violazione di legge ed il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per avere la Corte di Appello ritenuto che i comportamenti contestati, riferibili alla posizione del dipendente nella sua sola qualità di correntista, non incidevano sull’obbligo di diligenza e di fedeltà all’azienda. Dello stesso avviso è la Corte di Cassazione la quale, enunciando il principio esposto in epigrafe, cassa la sentenza impugnata rinviando alla Corte di Appello in diversa composizione. Tanto più nel settore del credito . Ed infatti, secondo il condivisibile avviso della Corte, l’elemento fiduciario assume particolare rilievo nel settore del credito, considerato il ruolo essenziale dell’affidamento che il datore di lavoro ed il pubblico devono poter riporre nella correttezza dei funzionari, circostanza che importa un particolare rigore nella valutazione sull’idoneità di una condotta a ledere il rapporto fiduciario, prescindendo dalla sussistenza di un danno effettivo per il datore di lavoro. Assumono quindi legittimamente rilievo anche condotte che, pur estranee alla prestazione lavorativa, siano idonee ad arrecare pregiudizio - non necessariamente di carattere economico – agli scopi aziendali, tra i quali evidentemente rientra l’obbligo istituzionale dell’azienda di osservare e applicare la normativa della Banca d’Italia in materia di antiriciclaggio . I bancari hanno gli stessi vincoli della banca. Nel caso di specie, la Corte riteneva inoltre che la disciplina antiriciclaggio fosse indirettamente fonte di obblighi per il lavoratore il quale, pur non risultando destinatario diretto dell’onere di segnalazione delle operazioni compiute, avrebbe dovuto considerarsi comunque tenuto, in applicazione del principio di correttezza e buona fede, a conformare la propria condotta a modalità tali da consentire o comunque non ostacolare l’applicazione della normativa da parte degli altri dipendenti o preposti. Il ricorso incidentale della parte vittoriosa è sempre condizionato . Sotto altro profilo, decidendo sul ricorso incidentale del lavoratore poi rigettato , la Corte afferma un interessante principio di diritto per il quale il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni [ ] non siano state oggetto di decisione [ ] da parte del giudice di merito . Se invece tale decisione vi è stata, il ricorso incidentale va esaminato solo in presenza dell’attualità dell’interesse, presente esclusivamente in ipotesi di fondatezza del ricorso principale.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 luglio – 18 settembre 2012, numero 15654 Presidente Lamorgese – Relatore Blasutto Svolgimento del processo Con ricorso al Tribunale di Napoli, V.L. impugnava il licenziamento intimatogli in data 17.7.05 dal Credito Emiliano s.p.a., all'esito di un procedimento disciplinare nel quale gli erano state contestate diverse irregolarità riferite ad operazioni compiute sul conto corrente a lui intestato. In primo grado la domanda veniva respinta. La sentenza era riformata dalla Corte di Appello di Napoli, che dichiarava illegittimo il licenziamento e ordinava la reintegra del ricorrente nel posto di lavoro. Osservava la Corte territoriale che tutti i comportamenti contestati al lavoratore riguardavano i suoi rapporti con il CREDEM come cliente/correntista e, pur non escludendosi in via generale che anche una condotta esulante dalla prestazione lavorativa possa influire sul vincolo fiduciario, nella specie una serie di elementi sintomatici portava ad escludere tale evenienza. L'originaria contestazione era basata sui seguenti fatti, così sintetizzabili - in data 25.6.2004 V.L. aveva presentato per l'incasso diversi assegni non trasferibili, di cui alcuni all'ordine della madre I.A. , recanti per girata la firma apocrifa dell'intestataria con grafia riconducibile al medesimo V.L. , ed altri all'ordine dei congiunti V.C. e V.G. , irregolari in quanto privi della girata del beneficiario in data 29.6.2004, il dipendente aveva presentato ai carabinieri una denuncia di smarrimento di uno degli assegni incassati il giorno 25 giugno da una verifica effettuata su tutti i rapporti intestati/cointestati al ricorrente nel periodo 1.1.2004-17.5.2005 era emersa una movimentazione incoerente con lo status di dipendente, significativamente rilevante anche ai sensi della normativa antiriciclaggio in particolare il V. , a fronte di una retribuzione annua lorda di circa Euro 32.800.000, aveva effettuato numero 102 operazioni, tra versamenti di contanti e assegni, depositi a risparmio al portatore, conti libretto e certificati di deposito, per un importo complessivo pari ad Euro 308.400.000. Nella sentenza impugnata, la Corte di appello riteneva che i comportamenti suddetti, tutti riferibili alla qualità di correntista del V. , non giustificassero l’irrogazione della massima sanzione disciplinare. Ad avviso del giudice di appello, la Banca non aveva debitamente considerato che il ricorrente e i suoi genitori erano proprietari di numerosi appartamenti, i cui proventi erano costituiti da canoni di locazione. Pertanto, non era condivisibile la tesi seguita dal Tribunale che aveva ravvisato, nella consistente movimentazione del conto corrente intestato all'appellante, l'esercizio di un'attività simile ad una intermediazione immobiliare, in violazione della normativa interna che consentiva l'uso del conto corrente del dipendente esclusivamente con reddito familiare non derivante da attività commerciale. La soluzione interpretativa seguita dal giudice di primo grado non rientrava neppure nella contestazione disciplinare, dove la movimentazione anomala era stata ritenuta rilevante in relazione alla normativa antiriciclaggio tale motivazione alludeva al sospetto che le operazioni sui conti, non potendosi giustificare con lo stipendio, si collegassero ad attività illecite o quanto meno sospette. Tuttavia, oltre alla plausibile riconducibilità della movimentazione al consistente patrimonio immobiliare familiare, la normativa antiriciclaggio non contemplava autonome ipotesi di illecito, essendo soltanto diretta a consentire, a seguito della segnalazione di operazioni sospette, l'avvio dei relativi accertamenti. Scarso rilievo disciplinare poteva attribuirsi a tutte le irregolarità relative alla negoziazione di assegni incassati da persona diversa dal beneficiario. Segnatamente, quanto agli assegni recanti l'apposizione della firma apocrifa di I.A. , occorreva considerare la particolare condizione in cui versava la madre del ricorrente, invalida al 100% ed analfabeta, e l'innocuità del falso, stante l'assenza di contestazioni mosse dalla medesima I. circa l'avvenuto incasso degli assegni recanti la sua firma apocrifa. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società Credito Emiliano, che articola cinque motivi, ognuno concluso con la formulazione di quesiti di diritto. La parte intimata ha resistito con controricorso ed ha proposto, a sua volta, ricorso incidentale condizionato formulando un unico motivo, al quale il Credito Emiliano ha replicato con controricorso. Ciascuna delle parti ha altresì depositato memoria illustrativa, ai sensi dell'art. 378 c.p.c Motivi della decisione Preliminarmente, deve essere disposta la riunione dei ricorsi, ex art. 335 c.p.c Con il primo motivo, il Credito Emiliano lamenta violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza artt. 2104, 2105 e 2119 c.c., art. 3 legge numero 604 del 1966, in relazione all'art. 360 nnumero 3 e 5 c.p.c. per avere la Corte di appello affermato che i comportamenti contestati, riferibili alla posizione del V. come cliente/correntista del CREDEM, non incidevano sull'obbligo di diligenza e di fedeltà all'azienda del dipendente. Tale giudizio era erroneo e affetto da vizio logico, dovendosi ritenere che l'uso anomalo del conto corrente in violazione della normativa antiriciclaggio e del codice di comportamento interno della Banca - che il V. era obbligato ad osservare in quanto dipendente - costituiva uno specifico inadempimento contrattuale ciò anche senza considerare che i dipendenti di banca godono di facilitazioni di valuta e di saggio di interessi attivi sui conti correnti agli stessi intestati presso la banca datrice di lavoro . Nella negoziazione dei numerosi assegni con firma apocrifa della madre, il V. si era avvalso della sua qualità di dipendente, approfittandone nei rapporti con i colleghi deputati a raccogliere le operazioni. Era dunque erronea la valutazione che globalmente riconduceva l'insieme delle movimentazioni irregolari alla sola qualità di correntista e che aveva determinato la Corte ad omettere di valutare la rilevanza disciplinare delle singole condotte. Con il secondo motivo, il CREDEM denunzia violazione di legge e vizio di motivazione su fatti controversi e decisivi ai fini del giudizio artt. 2104, 2105 e 2119 c.c., art. 3 legge numero 604 del 1966, leggi numero 197 del 1991 e numero 388 del 2000, in relazione all'art. 360 nnumero 3 e 5 c.p.c. per avere la Corte territoriale omesso di considerare che la normativa della Banca d'Italia in materia di antiriciclaggio e il codice di comportamento interno del CREDEM costituivano fonti di precisi obblighi per il dipendente, da osservare in sé, in funzione preventiva e di derivazione contrattuale, a prescindere dall'accertamento, o anche solo del sospetto, della commissione di specifici reati per il tramite della violazione delle relative prescrizioni. La contestazione era chiaramente riferibile, attraverso la locuzione movimentazione incoerente con il suo status di dipendente significativamente rilevante anche ai sensi della normativa antiriciclaggio , alla violazione della normativa interna concernente l'uso dei conti correnti intestati ai dipendenti, movimentabili esclusivamente con reddito familiare non derivante da attività commerciali, e della normativa antiriciclaggio, che impone la segnalazione di operazioni sospette, quale comunicazione funzionale all'avvio di ulteriori approfondimenti. Con il terzo motivo, il CREDEM deduce violazione di legge e vizio di motivazione art. 2119 c.c., art. 3 legge numero 604 del 1966, artt. 366 e 367 c.p., in relazione all'art. 360 numero 5 c.p.c. . in merito al presunto disguido in cui sarebbe caduto il ricorrente per avere denunciato lo smarrimento di un assegno che invece egli aveva incassato solo pochi giorni prima. La motivazione era lacunosa per non avere debitamente considerato che il V. avrebbe potuto accertare, quale dipendente della Banca che aveva negoziato l'assegno, e prima di sporgere la denuncia di smarrimento, se il titolo fosse o meno ricompreso nella distinta di versamento che il medesimo ricorrente aveva compilato. Non era stato considerato che la denuncia di smarrimento di un assegno circolare incassato dal denunciante integra il reato di calunnia art. 366 e 367 c.p. . Con il quarto motivo, il CREDEM lamenta error in iudicando e vizio di motivazione art. 2119 c.c., art. 3 legge numero 604 del 1966, artt. 485 e 491 c.p., in relazione all'art. 360 nnumero 3 e 5 c.p.c. per non avere il giudice di appello debitamente valutato, ai fini della compromissione dell'elemento fiduciario, la rilevanza disciplinare di un duplice ordine di infrazioni, l'apposizione di firme false su una pluralità di assegni bancari e la irregolare negoziazione degli stessi e di altri assegni, omettendo di considerare che non è dato ad un dipendente bancario, per il quale la condotta deve essere improntata a criteri di trasparenza, in ragione della negoziazione di denaro, apporre firme false e commettere a proprio vantaggio operazioni irregolari. La Corte territoriale non aveva nemmeno considerato che il V. aveva sempre negato l'apposizione delle firme apocrife fino all'esito della c.t.u. grafologica a sé sfavorevole. Illogicamente la Corte territoriale aveva ravvisato una circostanza attenuante nel fatto che la I. fosse affetta da disturbi motori, ben potendo le difficoltà derivanti da tale stato essere ovviate con il conferimento di una procura notarile al figlio. La sentenza aveva altresì erroneamente affermato che non erano state irrogate sanzioni a carico del cassiere che aveva negoziato gli assegni e comunque la circostanza era priva di rilievo ai fini della valutazione della gravità della condotta posta in essere dal V. . Con il quinto motivo, la Banca lamenta l'omessa pronuncia artt. 2119 c.c. e art. 3 legge numero 604 del 1966 numero 246, 416 e 437 c.p.c. in relazione alla questione, proposta in via subordinata, della possibilità di conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo, con riconoscimento del preavviso. Con ricorso incidentale condizionato, V.L. lamenta violazione e falsa applicazione di legge art. 7 St. Lav., artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 1175, 1375 e 2697 c.c. nonché vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della tardività della contestazione disciplinare. Adduce il ricorrente incidentale che la Corte di appello contraddittoriamente aveva respinto l'eccezione di tardività della contestazione, pur affermando che era scarsamente persuasiva la motivazione addotta dalla Banca a giustificazione dell'avvio, solo nel febbraio 2005, dell'indagine ispettiva avente ad oggetto fatti risalenti al maggio 2004 ed in assenza di picchi significativi riscontrabili nel febbraio 2005. Lamenta altresì l'omessa motivazione circa l'eccezione di tardività della contestazione con riguardo al lasso di tempo, di circa quattro mesi, intercorso tra il febbraio 2005 e la contestazione disciplinare del giugno 2005, ed altresì con riguardo al tempo intercorso tra l'operazione bancaria del 25.6.2004 e l'avvio delle indagini. Preliminarmente, quanto all’ordine delle questioni da esaminare, va qui ribadito l'orientamento espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui, anche alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, secondo cui il fine primario di questo è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d'ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita ove guest'ultima sia possibile da parte del giudice di merito. Qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell'attualità dell'interesse, sussistente unicamente nell'ipotesi della fondatezza del ricorso principale Cass., sez. unumero , numero 5456 del 2009 v. pure Cass. sez. unumero , numero 23017 del 2007 e, sez. unumero , 26018 del 2008 . Assume dunque priorità logico-giuridica l'esame del ricorso principale. I primi quattro motivi del ricorso principale, che possono esaminarsi congiuntamente involgendo questioni tra loro connesse, sono fondati. Come sintetizzato nei primi due quesiti sottoposti all'esame di questa Corte, la Banca chiede se i comportamenti assunti nella vita privata siano del tutto svincolati dal rapporto di lavoro ovvero possano avervi un riflesso, per la natura degli stessi, ai fini della fiducia che deve porsi nel dipendente agli effetti degli artt. 2119 c.c. e dell'art. 3 della legge numero 604 del 1966 e se, nel caso di una pluralità di addebiti contestati al dipendente, ai fini del recesso gli stessi vadano unificati nella valutazione ovvero possano assumere una efficienza autonoma e separata per la compromissione dell'elemento fiduciario, sempre ai sensi dell'art. 2119 c.c. e dell'art. 3 legge numero 604 del 1966. I quesiti di diritto involgono i vizi di motivazione della sentenza che vengono denunciati per avere i giudici dell'appello completamente omesso di esaminare, muovendo dall'erroneo presupposto della pertinenza delle azioni alla sfera solo privata del soggetto, la compatibilità della condotta, non completamente svincolata dal rapporto di lavoro, con il complesso dei doveri che derivavano al dipendente dalla normativa interna. Contrariamente a quanto eccepito in sede di controricorso dal V. , i quesiti sono pertinenti alla fattispecie in esame, poiché la sentenza impugnata ha escluso che la movimentazione del conto corrente individuale del dipendente bancario costituisse una ragione di permanenza del vincolo di dipendenza, integrando un comportamento estraneo al rapporto di lavoro, da valutare con i parametri dell'azione attinente alla sfera solo privata del soggetto e per il medesimo motivo ha ritenuto poco comprensibile la contestazione disciplinare laddove questa aveva correlato la movimentazione del conto all'osservanza della normativa antiriciclaggio. In punto di diritto, vale ricordare il principio, più volte affermato da questa Corte, per cui nel settore del credito assume particolare rilievo l'elemento fiduciario, considerato il ruolo peculiare dell'essenziale affidamento che il datore di lavoro, ed anche il pubblico, debbono poter riporre nella lealtà e correttezza dei funzionari. Nell'ipotesi del dipendente di un istituto di credito, l'idoneità del comportamento contestato a ledere il rapporto fiduciario deve essere valutata con particolare rigore ed anche a prescindere dalla sussistenza di un danno effettivo per il datore di lavoro v. ex plurimis, Cass. numero 7193 del 1991, numero 5332 del 2002, nnumero 321 e 444 del 2003, nnumero 7724 del 2004, nnumero 5504, 11674, 12263 e 19742 del 2005 . In caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, dovendosi ritenere determinante, a tal fine, l'influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza v., in tal senso, tra le più recenti, Cass. 17514 del 2010 . In tale contesto, può assumere rilievo disciplinare anche una condotta che, seppure compiuta al di fuori della prestazione lavorativa, sia idonea, per le modalità concrete con cui essa si manifesta, ad arrecare un pregiudizio, non necessariamente di ordine economico, agli scopi aziendali, tra i quali certamente rientra l'obbligo istituzionale dell'azienda di osservare e applicare la normativa della Banca d'Italia in materia di antiriciclaggio. Al riguardo, può richiamarsi il precedente giurisprudenziale di questa Corte Cass. numero 12414 del 2002 con il quale è stata confermata la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il licenziamento del dipendente di una banca, addetto al servizio contenzioso, per avere posto in essere una serie di comportamenti agevolativi della violazione della normativa antiriciclaggio, ritenendo a tal fine non necessaria la violazione di singole norme di legge o del contratto, ma sufficiente il compimento di varie operazioni atipiche, quali l'apertura di un libretto di deposito nominativo in favore di una società in difficoltà economiche, nonché varie operazioni di versamento o prelievo su conti intestati allo stesso dipendente, per importi elevati, in favore della predetta società, tali da consentire operazioni di frazionamento dei capitali manovrati sottratti ai controlli previsti dalla normativa antiriciclaggio. L'indagine sulla fondatezza della giusta causa o del giustificato motivo richiedeva dunque di stabilire se, stante la permanenza del nesso tra movimentazione del conto corrente intestato o cointestato e obbligo di conformare il proprio comportamento anche extralavorativo ai doveri di correttezza e buona fede nei confronti dell'azienda, onde non pregiudicare gli interessi e gli scopi della stessa, il dipendente avesse posto in essere azioni o omissioni disciplinarmente rilevanti o comunque comportamenti idonei ad aggirare l'osservanza delle normative richiamate o ad ostacolarne l'applicazione e, in caso di riscontro positivo, stabilire l'eventuale idoneità delle stesse, singolarmente o unitariamente considerate, a incidere sul vincolo fiduciario alla stregua dei principi giurisprudenziali sopra riferiti, dovendo pure considerarsi che l'osservanza scrupolosa delle procedure non è fine a se stessa, ma è preordinata ad assicurare il buon andamento dell'impresa. Nel caso in esame, la contestazione disciplinare aveva posto in evidenza, nella prima parte, una serie di abusi ed irregolarità nelle operazioni di incasso degli assegni, tra cui la reiterazione del falso materiale relativo alla firma della madre del V. e, nella seconda parte, l’incoerenza tra entità delle operazioni compiute nell'arco temporale di riferimento e capacità economica del dipendente quale conosciuta in base al reddito da lavoro da una verifica su tutti i rapporti a lei intestati/cointestati nel periodo dal 1.1.2004 al 17.5.2005 è emersa una movimentazione incoerente con il Suo status di dipendente, significativamente rilevante anche ai fini della normativa Antiriciclaggio . . Le diverse irregolarità sono suscettibili di essere valutate, ai fini del giudizio di rilevanza disciplinare, sia separatamente che in correlazione tra loro, ma dovendosi in ogni caso considerare i principi che seguono. La disciplina antiriciclaggio costituiva fonte di obblighi per il V. il quale, ove pure non risultasse all'esito dell'indagine di merito preclusa nella presente sede destinatario diretto degli obblighi di segnalazione delle operazioni dal medesimo compiute, avrebbe dovuto considerarsi comunque tenuto, in applicazione del principio di buona fede e correttezza, a conformare la propria condotta, ancorché non riconducibile alla prestazione di lavoro in senso stretto, a modalità tali da consentire o comunque non ostacolare l'applicazione della normativa antiriciclaggio da parte degli altri dipendenti o dei preposti, stante il nesso - che lo svolgimento di operazioni sul conto corrente individuale faceva permanere - tra la sua posizione quale dipendente e la Banca, con i correlativi doveri, anche indiretti, di derivazione contrattuale art. 2104 c.c. . La Corte di appello, muovendo dall'errato presupposto di ritenere che il V. / correntista restasse estraneo all'osservanza della riferita normativa, ha del tutto omesso di considerare l'ipotesi che lo stesso potesse avere adottato, anche mediante un uso strumentale della sua posizione di dipendente nei rapporti con i colleghi preposti a ricevere le operazioni bancarie, modalità operative tali da impedire o comunque ostacolare l'attivazione della procedura di segnalazione facente capo all'Istituto nelle persone preposte e dunque posto in essere, in modo indiretto, comportamenti incompatibili con l'interesse della Banca, tenuta alla scrupolosa osservanza della normativa antiriciclaggio della Banca d'Italia, di indagare sulle operazioni economiche sottostanti alla movimentazione di denaro. Come è stato dedotto in giudizio dal CREDEM, le istruzioni operative per l’individuazione di operazioni sospette sono preordinate ad una segnalazione, che è un atto distinto dalla denuncia di fatti penalmente rilevanti e costituisce una comunicazione funzionale all'avvio di approfondimenti sul piano economico e finanziario e successivamente di eventuali indagini investigative . Proprio con riguardo alla clientela , la normativa prescrive che la procedura di segnalazione sia attivata in caso di ingiustificate incongruenze rispetto alle caratteristiche soggettive del cliente e alla sua normale operatività, sia sotto il profilo quantitativo, sia sotto quello degli schemi contrattuali utilizzati . . A tanto riconduceva per relationem la lettera di contestazione, in cui il CREDEM aveva posto in evidenza la abnorme sproporzione tra movimentazione del conto per numero di operazioni ed entità degli importi versati e la capacità reddituale del dipendente, quale desumibile dalla sua retribuzione annua. Il tenore della contestazione era nel senso di una movimentazione che, per una serie di elementi indiziari emersi ingenti versamenti di denaro non giustificati alla stregua degli elementi conoscitivi a disposizione della Banca sulla condizione reddituale del dipendente, apposizione di firme apocrife, altre irregolarità formali nel versamento degli assegni , richiedeva di essere rilevata , ossia ulteriormente approfondita, ai sensi della normativa antiriciclaggio. Riguardo alla contestata incoerenza tra ingente movimentazione di denaro e reddito da lavoro del dipendente V. , i giudici di merito hanno ritenuto significativo stabilire se la locazione degli immobili integrasse o meno attività commerciale, poiché il Codice di comportamento interno della Banca prescriveva che il conto corrente dovesse essere utilizzato solo con redditi familiari con l'ulteriore esclusione di redditi riferibili ad attività commerciali. Trattasi di accertamento che presuppone la avvenuta dimostrazione della sicura riconducibilità delle operazioni bancarie de quibus all'attività di locazione degli immobili, accedendo alla giustificazione causale propria della tesi difensiva del V. che richiedeva di essere previamente accertata in giudizio. In proposito, la motivazione della sentenza è affetta da contraddittorietà laddove ha, da un lato, affermato che la movimentazione del conto era compatibile con la tesi difensiva dell'esistenza di cospicui introiti derivanti dalla locazione dei quindici appartamenti di proprietà familiare e, dall'altro, ha sollevato dubbi sulla compatibilità di tale tesi con il riscontro documentale di contratti di locazione riguardanti per lo più piccoli quartini e non grossi appartamenti . Il principio di non contraddizione - in un'accezione essenziale come mera coerenza interna - implica che un'affermazione non può essere vera e falsa allo stesso tempo. Sul punto, la motivazione è pure carente per avere omesso di approfondire la questione, specificamente dedotta dalla Banca, degli introiti derivanti dai canoni di locazione che, cumulativamente considerati - secondo il CREDEM - ammontavano ad Euro 7.825,86 mensili e dunque di esaminare se dai contratti di locazione prodotti in giudizio potesse desumersi il valore dei canoni, onde porre il dato a confronto con l'entità delle movimentazioni di denaro sul conto corrente eseguite dal V. nello stesso arco temporale, al fine di riscontrare la compatibilità della tesi difensiva con le risultanze obiettive. Il giudizio va dunque rimesso al giudice di merito per un riesame dei fatti e per un nuovo giudizio sulla rilevanza disciplinare degli stessi, globalmente o anche singolarmente considerati. L'accoglimento del ricorso principale del CREDEM determina l'interesse del V. a vedere esaminata la propria impugnazione incidentale condizionata, avente ad oggetto il capo della sentenza con cui è stata respinta l'eccezione di tardività della contestazione disciplinare ex art. 7 della legge numero 300 del 1970. Il ricorso incidentale è infondato. Il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi che sorregge il decisum adottato, per cui non sussiste motivazione contraddittoria allorché, dalla lettura della sentenza, non sussistano incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice Cass. S.U. numero 25984 del 2010 . Dalla motivazione della sentenza impugnata, si desume che la Corte di merito ha ritenuto determinante, nel giudizio di tempestività dell'azione disciplinare, che, anche in ordine ai fatti più risalenti, il momento della conoscenza in termini significativi ai fini dell'esercizio dell'azione disciplinare si collocasse all'esito dell'indagine ispettiva, la quale iniziò nel febbraio 2005 e si concluse, dopo indagini grafologiche disposte dalla Banca, nel maggio 2005, cui seguì la contestazione disciplinare del luglio 2005. Il ricorrente incidentale appunta la prima doglianza su un dato non significativo ai fini della ratio decidendi sottesa al decisum di reiezione dell'eccezione, non indicando in quale modo l'argomentazione censurata vizierebbe la decisione, rimarcandone solo un'incoerenza argomentativa senza spiegarne l’incidenza causale rispetto al decisum. I giudici di appello non hanno in alcun modo affermato che la Banca già disponesse, anteriormente al febbraio 2005, di elementi conoscitivi idonei a sorreggere la contestazione disciplinare, ingiustificatamente procrastinata. Al contrario, hanno affermato che solo con la relazione ispettiva si era definito il quadro degli elementi conoscitivi riguardanti l'ampio arco temporale, di circa un anno, nel corso del quale si era evidenziata la gestione anomala del conto corrente, in cui alla contestazione disciplinare. Il passaggio argomentativo censurato attiene, invece, ad enunciazioni puramente incidentali e comunque a considerazioni prive di relazione causale col decisum . Tale affermazione, eccedente la necessità logico-giuridica della decisione, deve considerarsi un obiter dictum , come tale non vincolante. Quanto alla seconda censura con cui si lamenta l'omessa motivazione circa il ritardo della contestazione in relazione al tempo intercorso tra l'operazione bancaria del giugno 2004 e l'avvio delle indagini e tra questo momento e la conclusione dell'istruttoria, il ricorso incidentale difetta del requisito di autosufficienza, non essendo stato riportato il motivo di appello attraverso il quale tali questioni sarebbero state riproposte in sede di gravame con riferimento all'eccezione di tardività ex art. 7 legge 300 del 1970, onde potere verificare se le stesse, avendo formato oggetto di specifici motivi di impugnazione, fossero ricomprese nell'ambito del devoluto, rispetto al quale deve essere vagliato il rilievo di omessa motivazione che si assume avere inficiato la sentenza di secondo grado. Tale omissione integra violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il quale trova la propria ragion d'essere nella necessità di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all'esame dei fascicoli di ufficio o di parte e che vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito Cass. numero 86 del 10.1.2012 . Per il principio di autosufficienza, il ricorso per cassazione deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di fare rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito. Quando, in particolare, venga dedotto un vizio di omessa o insufficiente motivazione per l'asserita mancata valutazione di atti processuali o di prove documentali, il ricorrente ha l'onere non solo di indicarne specificamente il contenuto, eventualmente mediante trascrizione del testo integrale o della parte significativa dell'atto o del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano stati formulati nel giudizio di merito, e quindi la rilevanza processuale di tali atti o documenti al fine di pervenire ad una diversa decisione, risultando altrimenti irrilevante la carenza di motivazione denunziata cfr. ex multis Cass. 18506/2006, Cass. 14973/2006, Cass. 12362/2006, Cass. 9396/2006, Cass. 7610/2006, Cass. 10598/2005, Cass. 6323/2004, Cass. 996/2003, Cass. 10945/2002, Cass. 849/2002 . Conclusivamente, respinto il ricorso incidentale, in accoglimento dei primi quattro motivi del ricorso principale, assorbito il quinto, deve essere cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione collegiale, anche per le spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte, riunisce i ricorsi, rigetta l'incidentale e accoglie i primi quattro motivi del ricorso principale, assorbito l'ultimo cassa la sentenza impugnata per i motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla stessa Corte di appello di Napoli, in diversa composizione.