Sempre assente dopo festività e ferie, ma per il licenziamento serve la contestazione di nuove infrazioni

Illegittimo il licenziamento fondato sulla recidiva di comportamenti già sanzionati in passato, se manca la contestazione di una nuova infrazione.

E’ illegittimo il licenziamento intimato in base alla contestazione della recidiva per precedenti comportamenti del lavoratore, già puniti con sanzione disciplinare, se non c’è una nuova ed autonoma infrazione sanzionabile il datore, infatti, non può esercitare due volte sugli stessi fatti il suo potere disciplinare. Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1062 del 25 gennaio scorso. Il caso. Una lavoratrice impugnava il licenziamento, intimatole per motivi disciplinari, consistenti nell’assenza ripetuta dal lavoro dopo festività o ferie, e veniva reintegrata nel posto di lavoro, con sentenza del Tribunale, poi confermata dalla Corte d’appello il licenziamento veniva giudicato illegittimo per tardività della contestazione. La società datrice proponeva ricorso per cassazione. Serve la contestazione tempestiva di condotte autonome rilevanti ai fini disciplinari. La S.C. richiama alcuni principi generali, in tema di licenziamento in primo luogo, per irrogare una sanzione disciplinare è necessario contestare tempestivamente una condotta rilevante del lavoratore. Nel caso di specie, la contestazione è fondata su due fattispecie, una relativa a ripetute assenze in giorni successivi a festività o ferie, l’altra relativa alla recidiva in mancanze già punite con sanzioni disciplinari. Licenziamento per giusta causa il giudice deve effettuare una valutazione complessiva degli episodi contestati. Qualora vengano contestati più episodi rilevanti sul piano disciplinare, il giudice non può esaminarli singolarmente, ma deve procedere ad un esame complessivo, attesa la rilevanza della loro concatenazione ai fini della valutazione della gravità dei fatti. Tuttavia, il comportamento che giustifica la sanzione espulsiva può essere individuato anche in uno solo di essi, se lo stesso presenti il carattere di gravità richiesto dalla legge . Il datore non può sanzionare due volte gli stessi comportamenti del lavoratore. Ciò premesso, il Collegio afferma che, in ogni caso, il datore di lavoro non può esercitare il suo potere disciplinare in relazione a determinati fatti, costituenti infrazione, già sanzionati vige, insomma, il principio del ne bis in idem , per cui una volta irrogata una sanzione per determinati comportamenti del lavoratore, il potere disciplinare si è ormai esaurito, con riferimento ai medesimi comportamenti. A meno che, ovviamente, non emergano nuove condotte rilevanti del lavoratore. Per la recidiva serve la contestazione di nuove infrazioni. Nel caso in esame, il datore si è limitato a contestare una recidiva di comportamenti già sanzionati, senza però procedere alla contestazione di nuove infrazioni. Ebbene, secondo pacifica giurisprudenza, in difetto della contestazione di una nuova infrazione il datore di lavoro non può riesaminare in sede disciplinare le precedenti mancanze, già colpite da sanzioni di natura diversa conservativa , ed applicare a quelle stesse condotte una più grave sanzione espulsiva. Illegittimo il licenziamento fondato sulla recidiva di precedenti comportamenti già sanzionati. Il licenziamento intimato in base alla contestata recidiva per precedenti comportamenti già puniti con sanzioni disciplinari, insomma, è illegittimo.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 20 dicembre 2011 - 25 gennaio 2012, n. 1062 Presidente Canevari – Relatore Arienzo Svolgimento del processo Con sentenza del 13.2.2008, la Corte di Appello di Genova respingeva l'appello proposto dalla B. spa avverso la decisione del Tribunale di Genova che, nell'ambito di un giudizio introdotto da C.M. nei confronti della società, per la declaratoria dell'illegittimità del licenziamento intimatole, per demansionamento e mobbing, aveva, con sentenza non definitiva, deciso sul licenziamento ritenendolo illegittimo per tardività della contestazione, ordinando la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro. Rilevava la Corte territoriale che la contestazione disciplinare del 18.3.2005 riguardava due fattispecie una relativa a ripetute assenze in giorni successivi a festività o ferie, ex art. 25, lett. A, par. f, c.c.n.l. di categoria e l'altra la recidiva in mancanze punite con due sospensioni dal lavoro e dalla retribuzione, ex art. 25, lett A, par. h, c.c.n.l. , che il licenziamento, per essere legittimo, doveva essere giustificato per entrambe le violazioni contestate e che la tempestività del recesso doveva valutarsi con riferimento alla seconda di esse. Osservava che, sotto tale ultimo profilo, la contestazione della recidiva era nei termini, ma che la stessa si rivelava manifestamente illegittima nel suo presupposto giuridico, sia in considerazione del fatto che la recidiva non tollerava una contestazione autonoma, separata da una specifica condotta di rilievo disciplinare, sia per la consumazione del potere disciplinare da parte dei datore con riguardo a condotte già oggetto di sanzioni disciplinari, essendo al predetto interdetto di riesaminarle per irrogare altra e più grave sanzione. Per la cassazione di tale decisione ricorre la B. s.p.a., con impugnazione affidata a cinque motivi. La C. resiste con controricorso ed entrambi depositano memoria illustrativa, ai sensi dell'art. 378 c.p.c. Motivi della decisione Con il primo motivo la B. s.p.a. denunzia il vizio di omessa pronuncia su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360, n. 4, c.p.c, ed, in particolare, la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c, rilevando l’autonomia e separazione delle mancanze disciplinari contestate dalla società con lettera del 18.3.2005 e sostenendo che avrebbe errato il giudice del merito nel ritenere che i due comportamenti contestati dovessero considerarsi congiuntamente, oltre a non avere esaminato la specifica doglianza. La Corte territoriale aveva, infatti, condiviso la tesi del primo giudice, ammettendo nella sostanza la legittimità di contestazioni in progress e sostenuto che ognuno dei fatti fosse inidoneo ad integrare una base astrattamente giustificativa della sanzione irrogata. All'esito della parte argomentativa, formula, poi, quesito con il quale chiede, una volta accertata l'omessa pronuncia su un punto decisivo - e cioè se il complesso dei fatti contestati costituisca o meno il minimo necessario per giustificare la sanzione - che venga stabilito che, anche ove la sanzione sia il prodotto della pluralità degli addebiti, nel contempo ognuno dei fatti, anche di per sé solo, integra una base astrattamente idonea a giustificare la sanzione, con la conseguenza che, pure se alcuni dei fatti inizialmente addebitati risultino infondati, gli altri conservano e mantengono la propria individuale potenziale idoneità a giustificare la sanzione applicata dal datore. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia su un fatto controverso e decisivo, in relazione all'art. 360, n. 4, c.p.c. e la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. e dell'art. 7 dello Statuto dei Lavoratori evidenzia la mancata decisione sulla tempestività della contestazione relativa alle ripetute assenze in giorni successivi a ferie e/o festività. Il motivo si articola in considerazioni circa i tempi di cognizione della infrazione da parte del datore e si fonda sulla considerazione che, in base alle esigenze organizzative della società, la contestazione della prima infrazione era tempestiva. Si conclude con specifico quesito, con il quale viene domandato se la valutazione della tempestività delle contestazioni debba effettuarsi o meno con riferimento alla reazione del datore rispetto alla cognizione dell'infrazione. Con il terzo motivo, la società lamenta l'erronea e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c, nonché la violazione e/o erronea applicazione dell'art. 112 .c.p.c e dell'art. 2607 c.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c, affermando nuovamente l'autonomia e separazione delle mancanze disciplinari contestate dalla società con lettera del 18.3.2005 e chiedendo, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c, se vi sia stata violazione dell'art. 112 c.p.c. e dell'art. 2697 c.c., per avere la Corte del merito pronunciato su un punto non dedotto e su circostanza comunque non provata dalla parte che vi avrebbe avuto interesse, ossia sulle intenzioni della società datrice di lavoro di ritenere in connessione tra loro le condotte contestate e di valutarle globalmente, ai finì dell'applicazione della sanzione espulsiva. Con il quarto motivo, rileva la erroneità e/o contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c, laddove, dopo avere dichiarato che nella fattispecie erano state contestate alla dipendente due violazioni disciplinari, successivamente la Corte del merito aveva dichiarato illegittima la contestazione della recidiva, in quanto non suscettibile di contestazione autonoma. Infine, con il quinto motivo, si duole della erronea e/o insufficiente motivazione della pronunzia su un punto decisivo della controversia e della violazione e/o errata applicazione dell'art. 25, lett A, par. H, c.c.n.l. Metalmeccanici, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. sostenendo che la recidiva era elemento costitutivo della infrazione disciplinare addebitata e domanda se sia in violazione delle norme richiamate ritenere non suscettibile di separata contestazione l'addebito della recidiva, da considerarsi, al contrario, quale elemento costitutivo di una condotta che, per espressa previsione contrattuale, legittima il licenziamento. Il ricorso è infondato. Il primo motivo deve disattendersi, in quanto, a prescindere dalla considerazione che la valutazione del carattere non unitario della contestazione costituisce una mera contrapposizione di una ricostruzione della fattispecie difforme da quella effettuata dal giudice del merito, priva di ogni riferimento ai motivi a sostegno della doglianza asseritamente espressa in sede di gravame, in ogni caso lo stesso appare ininfluente e non decisivo, giacché, quand'anche la tesi prospettata fosse da condividere, in ogni caso resterebbe il fatto che la prima contestazione è stata ritenuta tardiva e che la seconda risulta in violazione di quanto affermato dalla S. C. in tema di recidiva. Ed invero, la Corte territoriale si è pronunciata, anche se implicitamente, sul punto relativo alla tempestività della prima contestazione, escludendola e dunque privando di significato i rilievi della ricorrente che mirano a valorizzare il carattere autonomo di ciascuno degli addebiti. Vero è che, con il secondo motivo, la ricorrente si duole della valutazione effettuata dalla Corte del merito in ordine alla tempestività della contestazione delle ripetute assenze nei giorni successivi a ferie o festività, ma al riguardo la censura si risolve in una serie di considerazioni di merito non supportate da alcun elemento che consenta di ravvisare sia una omissione, in relazione ad una specifica censura eventualmente avanzata in sede di gravame e in dispregio del principio di autosufficienza non riprodotta nel presente ricorso, sia un vizio logico del ragionamento del giudice di secondo grado, che ha fondato la decisione sulla unitarietà degli addebiti contestati e sulla necessità di valutare la tempestività della contestazione in relazione al secondo di essi. La censura si rivela pertanto, in primo luogo, inconferente rispetto alla ratio decidendi . Anche il terzo motivo di ricorso va disatteso, posto che compete al giudice del merito l’apprezzamento della unitarietà delle condotte addebitate ai fini della valutazione della gravità dei fatti, essendo principio affermato da questa Corte quello secondo il quale in tema di licenziamento per giusta causa, quando vengano contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, debba escludersi che il giudice di merito possa esaminarli atomisticamente, attesa la necessaria considerazione della loro concatenazione ai fini della valutazione delle gravità dei fatti, ciò non escludendo, tuttavia, che il comportamento che giustifica la sanzione espulsiva possa essere individuato anche in uno solo di essi, se lo stesso presenti il carattere di gravità richiesto dalia legge cfr. Cass 2 febbraio 2009 n. 2579 . Nella specie, peraltro, per come già osservato, anche in una prospettiva di valutazione atomistica, la valutazione espressa dal giudice di secondo grado non è stata adeguatamente censurata. E ciò anche in ragione di quanto osservato con il quarto e quinto motivo in relazione alla recidiva, che. contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, è stata ritenuta erroneamente contestata alla lavoratrice, tenuto conto del principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, alla cui stregua, il datore di lavoro, una volta esercitato validamente il potere disciplinare nei confronti del prestatore di lavoro in relazione a determinati fatti costituenti infrazioni disciplinari, non può esercitare una seconda volta, per quegli stessi fatti, il detto potere ormai consumato, essendogli consentito soltanto, a norma dell'ultimo comma dell'art. 7 della legge 20 maggio 1970 n. 300, di tenere conto della sanzione eventualmente applicata, entro il biennio, cfr. Cass. 2.4.1996 n. 3039 e, in senso conforme, Cass. 15.12.1999 n. 14112, nonché Cass. 4.7.1991 n. 7391, - con riguardo a tale ultima decisione, i giudici di merito avevano annullato il licenziamento intimato in base alla contestata recidiva per precedenti comportamenti già puniti con sanzione disciplinare, in assenza di un'autonoma infrazione attualmente sanzionabile e la S.C. ha confermato tale decisione rilevando che in difetto di contestazione di una nuova infrazione il datore di lavoro non poteva riesaminare in sede disciplinare le precedenti mancanze, già colpite ciascuna da sanzioni di tipo conservativo, per applicare per quelle stesse infrazioni, sia pure unitariamente considerate, una più grave sanzione di carattere espulsivo . Deve, ulteriormente, osservarsi che i rilievi prospettati nel quarto motivo, per il relativo carattere di novità, rendono inammissibile il motivo stesso. Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, e tenuto conto anche della mancata produzione del ceni, secondo quanto prescritto dall'art. 369, 2° comma n. 4 c.p.c, in relazione alla dedotta violazione dell'art. 25 del ccnl Metalmeccanici cfr, tra le altre, Cass. 4056/2009 , il ricorso va complessivamente rigettato e le spese, per il principio della soccombenza, cedono a carico della società nella misura di cui in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la B. spa al pagamento, in favore della C. delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in euro 70,00 per esborsi, euro 4000,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e CPA.