L’interferenza del dipendente è sintomatica di infedeltà verso il datore di lavoro

Il lavoratore che interloquisce per fini personali con il fornitore del datore di lavoro viola gli obblighi di non ingerenza e di imparzialità discendenti dal contratto di lavoro subordinato.

Il fatto. La Corte di Appello di Genova confermava la decisione resa in primo grado dal locale giudice del lavoro statuente la legittimità di un licenziamento disciplinare, intimato da una Società operante nel settore della tecnica navale, nei confronti di un lavoratore subordinato che in qualità di tecnico, preposto a partecipare in seno ad un unità organizzativa collegiale al controllo di conformità di un’apparecchiatura commissionata presso una impresa fornitrice, con un fare dilatorio ed ostruzionistico dava adito a quest’ultima impresa di credere che il pagamento del corrispettivo della predetta apparecchiatura non sarebbe potuto avvenire se non successivamente al compimento da parte sua di talune attività reperimento di alcuni pezzi mancanti per l’ultimazione della medesima apparecchiatura e collaborazione al fine del rilascio del parere congiunto di conformità tecnica della stessa e, pertanto, a fronte del tempestivo espletamento delle stesse pretendeva dalla predetta impresa fornitrice il pagamento di una somma di denaro. Il lavoratore ha l’obbligo di fedeltà e di non interferenza a prescindere La Corte territoriale motivava il suo decisum sul grave inadempimento del dovere di imparzialità nella gestione di affari aziendali perpetrato dal lavoratore a danno del datore di lavoro, che si configura per la sola indebita interferenza del primo, in un rapporto commerciale intercorrente tra la Società-datrice di lavoro ed un rispettivo fornitore, pur prescindendo dalla sussistenza o meno di un nesso di causalità tra il comportamento tenuto dal dipendente medesimo e il mancato e/o ritardato pagamento della fattura di competenza della impresa fornitrice della predetta apparecchiatura. I giudici del gravame, infatti, ritenevano ininfluente verificare la sussistenza in capo al lavoratore di poteri decisionali circa il pagamento dell’apparecchiatura commissionata e nondimeno risultava irrilevante, ai fini dell’alterazione del rapporto fiduciario caratterizzante il rapporto di lavoro subordinato, la circostanza che i pezzi mancanti per l’ultimazione dell’apparecchiatura da consegnare alla società datrice di lavoro fossero facilmente reperibili sul mercato, poiché il recesso datoriale era legittimamente giustificato dall’abusiva interferenza del lavoratore medesimo nel predetto rapporto commerciale, idonea sic et simpliciter a risolvere il contratto di lavoro. Autonomia dei fatti accertati dal giudice penale rispetto all’accertamento giudiziale civile. La questione giunge in Cassazione previo ricorso proposto dal lavoratore costui censura la sentenza di appello dolendosi per una serie di vizi motivazionali rintracciabili nel ragionamento seguito dai giudici del gravame, invero, gli stessi, non avrebbero tenuto conto di quanto accertato dal giudice penale che nella sentenza di condanna di esso lavoratore n.d.r. presumibilmente per estorsione dava atto dell’inesistenza in capo allo stesso di poteri decisionali in ordine al pagamento della fattura emessa dalla predetta impresa fornitrice e nella sede stessa veniva dimostrato come in realtà il ritardo del pagamento della fattura anzidetta trovava giustificazione nell’altrettanta ritardata consegna dell’apparecchiatura avvenuta peraltro a seguito dell’arresto del lavoratore ed in mancanza di quei famosi pezzi per la cui reperibilità, il lavoratore medesimo si era impegnato tanto a dimostrazione del fatto che il parere di conformità dell’apparecchiatura prescindeva anche dalla presenza dei predetti pezzi mancati, peraltro, comunque facilmente reperibili sul mercato. Concretezza della giusta causa di licenziamento. La Suprema Corte di Cassazione disattendendo tutte le censure in tema di vizio logico argomentate dal ricorrente ha ritenuto correttamente motivata la sentenza del gravame, confermandola e concludendo con una illuminante chiosa in tema di applicazione del principio della giusta causa di recesso la mera violazione del dovere di imparzialità che il lavoratore deve tenere nella gestione e cura degli affari trattati dal datore di lavoro, rileva quale giusta causa di licenziamento essendo idonea ad alterare il rapporto fiduciario cui è informato il rapporto di lavoro subordinato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 7 dicembre 2011 - 17 gennaio 2012, n. 567 Presidente Roselli – Relatore Meliadò Svolgimento del processo Con sentenza in data 15.10/15.12.2008 la Corte di appello di Genova confermava la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da M. D. per far dichiarare l'illegittimità del licenziamento intimatogli dalla società C.p.a., già suo datore di lavoro, con lettera del 5.6.2006. Osservava in sintesi la corte territoriale che gli esiti dell'istruttoria davano riscontro alla contestazione disciplinare, e precisamente che il D. aveva preteso da una società fornitrice il pagamento di una somma di denaro al fine di sbloccare il pagamento di una fattura di competenza della stessa e, comunque, ingenerando un convincimento in tal senso , costituisse tale somma una vera e propria tangente ovvero il prezzo di prestazioni svolte, a titolo personale, in favore della azienda fornitrice, così ponendo in essere una grave ed intollerabile violazione del dovere di fedeltà. Per la cassazione della sentenza propone ricorso M. D. con cinque motivi. Resiste con controricorso la società C Entrambe le parti hanno depositato memorie. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo, svolto ai sensi dell'art. 360 n. 5 cpc, il ricorrente lamenta che la corte territoriale, con erroneo apprezzamento delle circostanze di causa, aveva ritenuto che il dipendente avesse la facoltà di influire sul pagamento della fattura e che il pagamento della somma dal medesimo richiesta fosse causalmente collegato a tale facoltà, e ciò sebbene né dal libero interrogatorio, né dall'esame dei testi fosse emerso che al D. era riconosciuta, in relazione ai compiti svolti, la potestà di rilasciare il benestare tecnico necessario per il pagamento delle forniture non senza, peraltro, considerare che la sentenza penale, richiamata dai giudici di appello, aveva dato atto che il D., lungi dal poter condizionare il pagamento della fattura, aveva, in realtà, omesso di consegnare alla ditta fornitrice materiale necessario per il completamento della fornitura. Con il secondo motivo, prospettando ancora vizio di motivazione su fatto decisivo e controverso, il ricorrente rileva che era rimasto documentalmente accertato che l'ufficio di contabilità aveva ritardato il pagamento, non per attendere il benestare tecnico di sua asserita competenza, quanto perché la fornitura non era stata completata mancando la e. d. terza valigia . Con il terzo e quarto motivo, pur essi svolti ai sensi dell'art. 360 n. 5 cpc, il ricorrente rileva che la corte territoriale aveva mancato di considerare che la terza valigia , dopo l'arresto del D., era stata consegnata pur priva dei due connettori mancanti il che dimostrava, per come emerso dall'istruttoria, che la presenza di tali connettori, facilmente reperibili sul mercato, era, in realtà, inutile per il corretto funzionamento della fornitura. Con l'ultimo motivo, infine, il ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 n. 3 cpc in relazione all’art. 7 St. lav., che il licenziamento era stato ritenuto legittimo dalla corte territoriale sulla base della mera richiesta da parte del dipendente di utilità personali, ma senza prendere in considerazione le ragioni per le quali tale richiesta era stata effettuata. 2. I primi quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente, trattandosi di censure connesse, in quanto volte a contestare l'adeguatezza della motivazione posta dalla corte di merito a sostegno della legittimità dell'atto di recesso. 3. I motivi sono infondati. Ha ritenuto la corte territoriale che l'interferenza determinatasi fra il corretto adempimento dei doveri connessi alla posizione lavorativa del ricorrente e la realizzazione di finalità personali di quest'ultimo anche eventualmente non illecite, quali il soddisfacimento di ragioni di credito per prestazioni e servizi resi in favore di un fornitore del datore di lavoro costituisse legittima causa di risoluzione del rapporto di lavoro, una volta accertato che il comportamento del lavoratore si era risolto nella violazione della posizione di imparzialità che quest'ultimo deve assumere nella gestione degli affari di competenza dell'azienda e nella conseguente conformità di tali fatti agli addebiti contestati. In particolare, ha ritenuto la corte che il ricorrente aveva ingenerato nel legale rappresentante della ditta fornitrice il convincimento che, pagando una determinata somma non importa se dovuta ovvero illegittimamente richiesta , lo stesso si sarebbe adoperato per sbloccare il pagamento di una fattura relativa a lavori eseguiti dalla ditta medesima e che tale risultato lo stesso era in grado di determinare sia per i compiti che di fatto gli competevano seppur nell'ambito di una procedura che prevedeva l'intervento di ulteriori soggetti, anche sovraordinati in ordine alla verifica del buon funzionamento delle apparecchiature, sia non provvedendo al completamento delle apparecchiature, con la fornitura dei connettori relativi al terzo apparato, che il D. stesso si era impegnato a procurare alla ditta fornitrice. E, quindi, nell'uno e nell'altro caso, realizzando una palese interferenza, resa possibile dal ruolo aziendale rivestito dal ricorrente, fra l'adempimento dei doveri di servizio e la realizzazione di finalità estranee a quelle dell' esclusivo soddisfacimento, attraverso la prestazione di lavoro, dell'interesse dell'organizzazione produttiva. Così individuata la ragione giustificativa essenziale della decisione impugnata, è da escludere che la stessa si fondi su accertamenti nei quali siano riscontrabili vizi tali da compromettere la coerenza giuridica del decisum . Basti, al riguardo osservare come la corte territoriale abbia dato riscontro ai fatti contestati richiamando puntualmente le conversazioni fra il ricorrente e l'A., legale rappresentante della ditta fornitrice, plausibilmente interpretandole come del tutto sintomatiche della volontà del primo di ingenerare nel secondo il convincimento della sua possibilità di incidere sul pagamento delle fatture aziendali. Così come è stato correttamente valutato che, avesse o meno il D. la formale potestà di rilasciare il benestare tecnico per sbloccare le fatture in generale e quella per cui è causa in particolare , lo stesso, nondimeno, in quanto ordinante i materiali, cooperava a verificarne la funzionalità e la conformità, per come hanno accertato i giudici di merito, sulla base di quanto dichiarato dagli stessi testi citati dal ricorrente .una volta fatto l'ordine e consegnato il materiale, il materiale viene controllato dal tecnico che ha richiesto l'apparecchiatura e poi ne attesta la conformità. La richiesta credo l'abbia fatto l'ing. M., ma se ne è occupato il sig. D. così ad es., il teste P. . Al pari di come del tutto irrilevante risulta che i materiali che il D. si era impegnato a fornire all'A. al fine di completare la commessa e precisamente i connettori relativi alla ed. terza valigia fossero facilmente reperibili sul mercato ed, in definitiva, non essenziali per il buon funzionamento delle apparecchiature, giacché quel che rileva è l'approfittamento del ruolo aziendale, e cioè che anche tale comportamento dilatorio fu posto in essere per motivazioni personali, non connesse all'adempimento dei doveri di servizio, ma,anzi, in violazione dell'obbligo di imparziale gestione degli affari aziendali. E non è casuale che la consegna venne ultimata ed il pagamento della fattura eseguito solo dopo l'arresto del D. ed il licenziamento dello stesso. 4. Deve, pertanto, conclusivamente affermarsi che la strumentalizzazione per fini personali della posizione di lavoro rivestita dal dipendente costituisce giusta causa di recesso, idonea ad incidere sulla persistenza del vincolo fiduciario, una volta accertato che il comportamento del lavoratore si sia risolto nella violazione della posizione di imparzialità che quest'ultimo deve assumere nella gestione degli affari di competenza del datore di lavoro, e tale valutazione, cui si è correttamente ispirata la decisione impugnata, assorbe ogni ulteriore censura, ivi compresa quella svolta con l'ultimo motivo. 5. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 50,00 - per esborsi ed in euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA.