Il rifiuto della reintegra non giustifica il ritardo nell'adempimento dell'obbligazione indennitaria

di Luigi Giuseppe Papaleo

di Luigi Giuseppe Papaleo * Il fatto. Due dipendenti delle Ferrovie dello Stato attualmente Rete Ferroviaria Italiana Spa in possesso di un titolo giudiziale divenuto cosa giudicata, statuente l'obbligo di reintegra in servizio, esercitavano l'opzione ex articolo 18 Statuto dei Lavoratori L. 300/1970 e succ. mod. ed int.ni comportante il pagamento delle quindici mensilità parametrate sulla retribuzione globale di fatto in luogo della reintegrazione in servizio. Stante, però, l'inerzia della società-datrice di lavoro, i predetti lavoratori si vedevano costretti ad adire la magistratura del lavoro per rivendicare oltre alla corresponsione della predetta indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro, anche il pagamento di tutte le mensilità retributive nel frattempo maturate, con decorrenza dal licenziamento e fino al dì dell'effettivo adempimento della predetta obbligazione indennitaria ex articolo 18 cit. Il Tribunale rigettava la domanda dei ricorrenti, ma tale sentenza veniva riformata in appello con una sentenza non definitiva contenente l'accertamento solamente nell'an debeatur delle ragioni creditorie dei predetti lavoratori e con rinvio della liquidazione del quantum debeatur ad un successivo accertamento giudiziale. La tutela ex articolo 18 Statuto dei lavoratori. La Corte Territoriale accoglieva le ragioni dei lavoratori in applicazione di un dominante orientamento nomofilattico della Suprema Corte di Cassazione, secondo il quale con l'esercizio del diritto di opzione ex articolo 18 St. dei Lavoratori l'obbligazione avente ad oggetto la reintegrazione in servizio del lavoratore viene sostituita dall'obbligazione avente ad oggetto il pagamento dell'indennità delle 15 mensilità entrambe le predette obbligazioni, tra di loro alternative, trovano la loro giustificazione causale sempre e comunque nel contratto di lavoro subordinato il cui atto risolutivo unilaterale recesso datoriale per giusta causa e/o per giustificato motivo è stato posto nel nulla con la declaratoria di illegittimità del licenziamento. Avverso la sentenza di appello proponeva impugnazione per cassazione la società-datrice di lavoro, affidando il rispettivo ricorso, unicamente a due censure di legittimità, una, fondata sul presupposto di una erronea interpretazione dell'istituto dell'obbligazione alternativa da parte della Corte di appello e l'altra, nella violazione delle regole disciplinanti il risarcimento del danno ex contractu. Circa la prima censura, la società-datrice di lavoro sosteneva che lo schema dicotomico reintegra o indennità sostitutiva, andrebbe sussunto, direttamente o anche per via analogica ex articolo 12 comma 2 delle preleggi, alla figura dell'obbligazione alternativa ex articolo 1285-1286 c.c. dove la scelta della prestazione da eseguire determina l'estinzione delle restanti prestazioni alternative, quindi nel caso di specie, la mera scelta del creditore lavoratore di ricevere l'indennità sostitutiva comportava l'estinzione della prestazione reintegrativa nel posto di lavoro e soprattutto rilevava quale effetto estintivo del titolo negoziale sottostante, ossia del contratto di lavoro subordinato, ragion per cui si chiedeva la cassazione della sentenza di appello laddove statuiva il permanere del contratto di lavoro fino al materiale soddisfo dell'indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro. Con riferimento al secondo motivo di ricorso, la società ricorrente in Cassazione si doleva del riconoscimento della pretesa risarcitoria accordata ai lavoratori sempre dalla Corte Territoriale, pur in presenza del rifiuto della reintegra da parte dei lavoratori medesimi e quindi in assenza di una causa negoziale giustificativa del risarcimento stesso. Principio di effettività della giurisdizione. La S. C. di con la sentenza in commento ha disatteso entrambi i motivi di ricorsi innanzi accennati, ribadendo in primis un principio di diritto vivente, già precedentemente fissato, che risiede nel combinato disposto dell'art 18 cit. con il principio di rango costituzionale denominato di effettività dei rimedi giurisdizionali estrapolato dalla norma ex articolo 24 Cost., in virtù del quale il lavoratore illegittimamente licenziato che abbia successivamente optato per l'indennità sostitutiva delle 15 mensilità in luogo della reintegrazione nel posto di lavoro, va comunque ulteriormente tutelato anche da indebite ed illegittime lungaggini nell'adempimento della predetta obbligazione indennitaria da parte del datore di lavoro. Tale tutela si risolve in concreto, nel riconoscimento a favore del lavoratore del diritto a pretendere il pagamento di tutte le retribuzioni mensili, calcolate con l'ausilio del criterio delle retribuzioni globali di fatto, che maturano dal dì del licenziamento al dì dell'effettivo adempimento da parte del datore di lavoro dell'obbligazione indennitaria. Danni da ritardo nell'adempimento dell'obbligazione indennitaria. In secondo luogo, la Cassazione statuisce altresì, che sicuramente l'esercizio da parte del lavoratore dell'opzione nella direzione dell'indennità sostitutiva, stante l'irrevocabilità di tale scelta, comporta l'impossibilità della ricostituzione del pregresso rapporto di lavoro subordinato, ma ciò non toglie che il lavoratore abbia diritto di ridurre al minimo il pregiudizio economico derivante dal ritardo dell'adempimento datoriale dell'obbligo indennitario, esigenza che viene soddisfatta proprio con l'attribuzione delle mensilità perdute fino all'effettivo pagamento dell'indennità e ciò, pur prescindendo dalla soluzione del dubbio se la predetta tutela dicotomica reintegrazione o indennità sostitutiva possa ricondursi o meno allo schema dell'obbligazione alternativa, in quanto l'opzione esercitata dal lavoratore si risolve comunque in una dichiarazione negoziale i cui effetti limitatamente al quantum debeatur dell'indennità soggiacciono al termine dell'effettivo percepimento dell'indennità medesima da parte del lavoratore. * Avvocato del Foro di Napoli

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 6 luglio 17 ottobre 2011, n. 21421 Presidente Roselli Relatore Stile Svolgimento del processo T. V. e A. M., con separati ricorsi poi riuniti esponevano al Tribunale del Lavoro di Genova di essere stati illegittimamente licenziati dalle Ferrovie dello Stata oggi R.F.I. come accertato con sentenza passata in giudicato con declaratoria dell'obbligo di reintegra. A seguito della pronuncia avevano esercitato l'opzione per le 15 mensilità in sostituzione della reintegra, ma non essendo stata soddisfatta l'obbligazione vicaria chiedevano il pagamento di quanto maturato fino alla data dell'effettivo soddisfo del!'obbligazione. La Società si costituiva resistendo alla domanda risarcitoria per la parte maturata successivamente all'esercizio del!'opzione. Eccepiva che con l'opzione di cui in discorso cessa l'obbligo della reintegra, con conseguente estinzione dell'obbligo risarcitorio. Il Tribunale rigettava le domande con sentenza che veniva riformata in secondo grado, con pronuncia non definitiva relativa all'an debeatur. In particolare, la Corte d'Appello di Genova, in adesione al dominante orientamento della giurisprudenza di legittimità, osservava che con l'esercizio dell'opzione l'obbligazione della reintegrazione è sostituita dall'obbligazione di pagare l'indennità, la quale, ponendosi sullo stesso piano della prima, trae fondamento dalla permanenza dell'obbligo giuridico contrattuale, la cm risoluzione è stata posta nel nulla. Per la cassazione di tale pronuncia, ricorre la Rete Ferroviaria Italiana, già Ferrovie dello Stato società di trasporti e Servizi per Azioni, con due motivi. Resistono i lavoratori con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso, la società denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell'art. 18, 4° e 5° comma, della legge 300/70 come modificato dall'art. l della legge 108 del 1990 e dell'art. 1286, 2° comma, cod civ. art. 360 n. 3° c.p.c. , nonché violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell'art. 12, comma 2 Preleggi, dell'art. 18, 4° e so comma, della L. 300170 come modificato dall 'art l della legge n. 108 del 1990 e dell'art. 1286, 2° comma, cod. civ. art. 360, n. 3 c.p.c. . La ricorrente, dopo aver contestato la ricostruzione di Corte Cost. 81/92, che identifica l'istituto dell'opzione ex art. 18 Stat. Lav. come un'obbligazione con facoltà alternativa dal lato del creditore, e dopo avere rimarcato che l'obbligazione c.d. facoltativa è sconosciuta al codice, che disciplina solo quella alternativa con applicabilità del disposto di cui al 2° comma dell'art. 1286 per cui la scelta determina la concentrazione dell'obbligazione con contestuale estinzione delle alternative non prescelte, osserva che tale conclusione sarebbe supportata anche dalla disciplina specifica dell'opzione, che ne prevede un termine decadenziale di esercizio, talchè l'esigenza di certezza dei rapporti giuridici imporrebbe che non sussistessero dubbi sulla ulteriore permanenza del rapporto di lavoro. Pertanto o in via di applicazione diretta dell'art. 1286, 2° comma, cod. civ., o in via analogica ex art. 12, 2° comma, Preleggi, andrebbe cassata l'affermazione della Corte ligure sulla cessazione del rapporto di lavoro solo al pagamento dell'opzione, con conseguente maturazione, medio tempore, del credito risarcitorio. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'ari. 18, 4° e so comma della Legge 300/70 come modificati dall'art. l della legge n. 108 dell990 e degli arti. 1218 1223 c.c. ari. 360, n. 3 c.p.c. . Argomenta al riguardo che sarebbero state violate le regole sul risarcimento del danno in quanto non può esserci risarcimento se il lavoratore non ha scongiurato il danno, offrendo la sua prestazione o comunque mantenendo la sua disponibilità ad offrirla. E siccome, dopo l'esercizio dell'opzione, la prestazione lavorativa diviene inesigibile sarebbe inconcepibile che sia dovuto un risarcimento la cui causa sta nel rifiuto di accettazione con la reintegra di una prestazione divenuta inesigibile per fatto del lavoratore , così come invece sostenuto dalla Corte d'appello. Il ricorso, pur valutato nelle sue diverse articolazioni, è privo di fondamento. La L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5 come modif. dalla L. 11 maggio 1990, n. l08, stabilisce che, fermo restando il diritto al risarcimento del danno di cui al comma precedente, al prestatore di lavoro illegittimamente licenziato e' data la facolta' di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennita' pari a quindici mensilita' della retribuzione globale di fatto. La giurisprudenza di questa Corte e' costante nell'affermare che, nel caso di scelta, da parte del lavoratore illegittimamente licenziato, dell'indennita' sostitutiva della reintegrazione ai sensi dell'art. 18, comma 5, cit., fino all'effettivo pagamento dell'indennià il datore è obbligato a pagare le retribuzioni globali di fatto Cass. 6 marzo 2003 n. 3380, 28 luglio 2003 n. 11609, 16 marzo 2009 n. 6342 . Il sistema dell'art. 18 cit. come ancora puntualizzato da questa Corte v. Cass.16 novembre 2009 n. 24199 si fonda sul principio di effettiva realizzazione del!'interesse del lavoratore a non subire, o a subire al minimo, i pregiudizi conseguenti al licenziamento illegittimo principio che Cass. n. 6342 del 2009 chiama di effettività dei rimedi e che impedisce al datore di lavoro di tardare nel pagamento dell'indennita' in questione assoggettandosi al solo pagamento di rivalutazione e interessi ex art. 429 c.p.c Il principio di effettivita' dei rimedi giurisdizionali, espressione dell'art. 24 Cost., significa per quanto qui interessa che il rimedio risarcitorio, ossia del risarcimento del danno sopportato dal lavoratore per ritardato percepimento dell'indennita' sostitutiva ex art. 18 cit., deve ridurre il piu' possibile il pregiudizio subito dal lavoratore e, in corrispondenza, distogliere il datore di lavoro dall'inadempimento o dal ritardo nell'adempiere l'obbligo indenitario. Cio' posto, va precisato, in considerazione delle deduzioni della società ricorrente che non e' dubbio che la scelta dell'indennita' sostitutiva da parte del lavoratore sia irrevocabile e' che il rapporto di lavoro non possa percio' essere ricostituito. Tuttavia l'ammontare del risarcimento del danno da ritardo dev'essere pari alle retribuzioni perdute, fino a che il lavoratore non venga effettivamente soddisfatto. Ne' sembra necessario stabilire se trattisi di obbligazione con facolta' alternativa, schema che la dottrina dubita poter ricorrere quando la scelta spetti al creditore e che la Corte costituzionale evoco' con l'ord. n. 291 del 1996 in specifica questione qui estranea, potendosi piuttosto ravvisare una dichiarazione di volonta' negoziale del lavoratore, i cui effetti limitatamente all'ammontare dell'indennita' sono sottoposti al termine dell'effettivo ricevimento di essa. Rigettato il ricorso, le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio, liquidate in € 40,00, oltre € 2.000,00 per onorari, ed oltre spese generali, IVA e CPA.