Per la giusta causa serve sempre la prova della condotta illecita addebitata al lavoratore

Il giudice deve valutare la gravità dei fatti contestati, ricorrendo anche a presunzioni. Ma se fonda la sua decisione su motivazioni incomplete e circostanze non provate, il licenziamento è illegittimo.

Per stabilire l'esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve assumere il carattere di non lieve negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e in particolare di quello fiduciario, occorre valutare la gravità dei fatti addebitati al lavoratore e la proporzionalità con la sanzione inflitta. Si è pronunciata in questo senso la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20385 del 5 ottobre scorso. La fattispecie. La dipendente di una casa di cura impugnava il licenziamento per giusta causa, intimato dalla datrice di lavoro a seguito di condotte ritenute incompatibili con la prosecuzione del rapporto. Il Giudice del lavoro accoglieva la domanda e ordinava la reintegra della dipendente nel posto di lavoro, ma la Corte d'appello riformava la sentenza. La vicenda giungeva, infine, in Cassazione per impulso della lavoratrice. La sussistenza della giusta causa di licenziamento va sempre provata. Ad avviso della ricorrente la sentenza appare censurabile perché non sorretta da adeguata prova quanto alla ritenuta affermazione di responsabilità in capo alla lavoratrice licenziata. Occorre valutare la gravità dei fatti contestati ammessa la prova per presunzioni. In particolare, osserva la S.C., per pacifica giurisprudenza al fine di stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento occorre valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi , e dal'altro la proporzionalità tra tali fatti e la sanzione inflitta. E' ammesso il ricorso alle presunzioni, che possono formare prova completa della sussistenza della condotta illegittima contestata. Ebbene, nel caso di specie la Corte d'appello non ha fatto corretta applicazione dei principi richiamati, laddove ha maturato il proprio convincimento circa l'entità ontologica dei fatti contestati e la loro idoneità ad integrare una giusta causa di licenziamento, con una motivazione incompleta e pertanto non adeguata . Manca la prova di una condotta colpevole della dipendente. La Corte territoriale ha ritenuto che alla lavoratrice, responsabile del laboratorio di analisi, fossero addebitabili alcune condotte colpevoli in particolare, l'aver rinvenuto nel cestino dei rifiuti del laboratorio una provetta contenente il sangue prelevato ad una paziente, è stato considerato come indice di mancato controllo della lavoratrice, nella sua qualità di responsabile. Da questa circostanza la Corte ha tratto la conseguenza che il servizio del laboratorio di analisi non fosse ineccepibile e ha fondato su tale assunto la giusta causa di licenziamento. Il ragionamento svolto non è esaustivo vizio di motivazione. Tutto da rifare. Ma nel fare ciò, è incorsa in un vizio di motivazione e in salti logici, in quanto il ragionamento presuntivo appare non esaustivo. Manca la prova della contestata assenza di una adeguata conservazione delle provette, dalla quale discenderebbe la possibile alterazione dei risultati delle analisi, elementi sui quali è stato fondato il licenziamento. Tutto da rifare, insomma su queste basi il licenziamento non appare affatto giustificato, e dovrà essere nuovamente la Corte d'appello, in sede di rinvio, ad accertare se sussistono, nel caso concreto, i presupposti per la giusta causa.