No alla trasformazione d'imperio del part time in full time

di Antimo Di Geronimo

di Antimo Di Geronimo La facoltà della Pubblica amministrazione di trasformare d'imperio i contratti dei dipendenti pubblici, da part time a full time, introdotta dall'art. 16 del Collegato lavoro, contrasta con la normativa comunitaria. Pertanto, è illegittimo e va annullato il provvedimento del dirigente amministrativo del Tribunale che, in attuazione di tale normativa interna, disponga la trasformazione a tempo pieno del rapporto di lavoro di una dipendente con contratto a tempo parziale. Così ha deciso il giudice del lavoro di Trento, con un provvedimento ex art. 700 c.p.c., in accoglimento di un ricorso presentato da una lavoratrice. L'antefatto. Un'impiegata del Tribunale di Trento aveva subito la trasformazione del proprio contratto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno, contro la sua volontà. Il provvedimento autoritativo era stato disposto in attuazione dell'art. 16 della legge 183/2010, che consente alle Pubbliche amministrazioni, nel rispetto dei princìpi di correttezza e buona fede, di rivedere i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, già adottati prima della data di entrata in vigore del decreto-legge n. 112 del 2008 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008 . La lavoratrice, dunque, si era risolta ad adire il giudice, che le aveva concesso provvisoriamente la sospensione dei provvedimenti disposti dall'Amministrazione, con decreto inaudita altera parte ex art. 699 sexies c.p.c. E il decreto è stato confermato anche a seguito del procedimento istruito ex art. 700 c.p.c., ad esito del quale è stato disposto l'annullamento del provvedimento dispositivo dell'ampliamento dell'orario di lavoro da part time a full time, emanato dal dirigente amministrativo. Sussistono i presupposti del ricorso d'urgenza. Il giudice monocratico ha ritenuto sussistente il requisito del periculum in mora, ritenendo che la trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno, dopo 10 anni di part time, avrebbe arrecato danni non riparabili per equivalente . Ma in riferimento al fumus boni juris ha accolto solo parzialmente i rilievi mossi dalla ricorrente, in riferimento al mancato rispetto dei princìpi di correttezza e buona fede. Il giudice monocratico, infatti, ha rilevato che il dirigente, prima di disporre i provvedimenti di trasformazione, aveva trasmesso ai dipendenti in part time una nota, con la quale aveva invitato i medesimi ad esporre i motivi ostativi alla trasformazione a tempo pieno. Le direttive UE hanno efficacia verticale. Il Tribunale, però, ha ritenuto comunque di accogliere il ricorso, accertando un evidente contrasto tra la normativa interna, che consente la trasformazione d'imperio da part time a full time, e la normativa comunitaria che, per contro, vieta tale trasformazione in assenza del previo consenso del lavoratore interessato. In particolare, il giudice ha fatto rilevare che la direttiva n. 97/81/CE emessa il 15/12/1997 dispone, appunto, questo divieto, precludendo al datore di lavoro il licenziamento del dipendente che rifiuti la trasformazione. Tale disposizione, peraltro, è stata recepita dall'Italia con il D.Lgs. 61/2000, che ribadisce il divieto di licenziamento in caso di rifiuto del full time da parte del lavoratore in part time. Il giudice, dunque, ha risolto il contrasto tra la norma di diritto interno e la norma comunitaria disapplicando la norma interna ed applicando le disposizioni comunitarie, in virtù del principio della c.d. efficacia verticale delle direttive europee. Efficacia pacificamente ammessa dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea e che si applica tra il ricorrente e lo Stato o altro soggetto ad esso equiparato nel caso specifico il Ministero della giustizia .

Tribunale di Trento, sezione Lavoro, ordinanza 4 maggio 2011 Giudice Beghini a scioglimento della riserva assunta all'udienza 27.04.2011 premesso che la ricorrente, funzionaria presso questo Tribunale del Ministero della Giustizia, ha chiesto ai sensi dell'art. 700 c.p.comma l'annullamento del provvedimento ministeriale 8.02.2011 con cui il suo rapporto di lavoro part-time è stato trasformato in rapporto a tempo pieno, come pure del consequenziale provvedimento 21.03.2011 con cui il Dirigente amministrativo di questo stesso Tribunale le ha imposto il nuovo orario di lavoro a tempo pieno premesso altresì che, con decreto inaudita altera parte del 30.03.2011, questo Giudice ha provvisoriamente concesso la sospensiva di entrambi detti provvedimenti art. 669-sexies c.p.c. premesso inoltre che, instaurato il contraddittorio ed istruito il procedimento mediante sole produzioni documentali, si tratta ora di confermare, modificare oppure revocare il suddetto decreto ricordato che, ai sensi del cit. art. 700 c.p.c., chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via, ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti d'urgenza, che appaiono secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito ritenuta la sussistenza del periculum in mora, atteso che, come correttamente evidenziato dalla ricorrente, ella dal 2000 svolge la propria prestazione lavorativa a tempo parziale, con la conseguenza che l'avvenuta recente trasformazione in lavoro a tempo pieno, disposta contro la sua volontà, modifica irreparabilmente la sua vita privata, arrecandole danni non riparabili per equivalente durante il tempo normalmente necessario per ottenere un provvedimento definitivo a cognizione piena evidenziato, quanto al fumus boni iuris, che i provvedimenti impugnati sono stati emessi sulla base dell'art. 16 della legge 4.11.2010, n. 183, in virtù del quale, in sede di prima applicazione delle disposizioni introdotte dall'art. 73 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 , le amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, possono sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già adottati prima della data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 112 del 2008 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008 ritenuto sotto un primo profilo che, allo stato degli atti ed in via sommaria, il comportamento del Ministero nonché quello del Dirigente amministrativo di questo Tribunale, si sottraggano alla violazione dei cit. principi di correttezza e buona fede lamentata dalla ricorrente sub specie violazione del dovere di avvisarla prima di provvedere e di tenere in considerazione le sue esigenze sottese alla scelta del part-time in corso e infatti rimasta specificamente incontestata l'affermazione ministeriale v. pag. 5 della memoria di costituzione , secondo cui il Dirigente amministrativo, con nota 22.11.2010, ha ritualmente chiesto a tutti i lavoratori in part-time di esporre le situazioni personali che potessero giustificare il mantenimento di tale ridotto orario di lavoro cfr. anche docomma 6 del Ministero . Va poi evidenziato che sia la motivazione richiamata per relationem nel provvedimento ministeriale 8.02.2011, come pure quella ulteriormente esposta dal Ministero nel corso del presente procedimento, appaiono congrue, puntuali e sufficientemente specifiche, poiché viene data adeguata ragione delle esigenze di servizio che hanno indotto la pubblica amministrazione alla trasformazione del rapporto di lavoro, alla luce delle mansioni svolte ed alla qualifica ricoperta dalla ricorrente, la quale, nelle note conclusive, nulla ha replicato in merito ritenuto peraltro che, con riferimento all'ultimo motivo di ricorso seguendo l'ordine espositivo della ricorrente , debba effettivamente interrogarsi sulla conformità alla normativa europea del cit. art. 16 della legge 4.11.2010, n. 183, nella parte in cui esso attribuisce alla pubblica amministrazione il potere di trasformare il rapporto di lavoro part-time in rapporto di lavoro a tempo pieno, alla sola condizione del rispetto dei principi di correttezza e buona fede , a prescindere dal consenso del lavoratore, e quindi anche contro la sua volontà evidenziato infatti che la direttiva 15.12.1997, n. 97/81/CE pubblicata in G.U.C.E. 20.01.1998 , relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso il 6.06.1997 dall'Unice, dal Ceep e dalla Ces, ha sottolineato l'esigenza di adottare misure volte ad incrementare l'intensità occupazionale della crescita, in particolare mediante un'organizzazione più flessibile del lavoro, che risponda sia ai desideri dei lavoratori che alle esigenza della competitività' considerando n. 5 . E' stata inoltre evidenziata la volontà di stabilire un quadro generale per l'eliminazione delle discriminazioni verso lavoratori a tempo parziale e di contribuire allo sviluppo delle possibilità di lavoro a tempo parziale su basi accettabili sia ai datori di lavoro che ai lavoratori considerando n. 11 . Nell'attuare il cit. accordo 6.06.1997, viene dato atto che esso rappresenta la volontà delle parti sociali di definire un quadro generale per l'eliminazione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale i per contribuire allo sviluppo delle possibilità di lavoro a tempo parziale, su basi che siano accettabili sia per i datori di lavoro, sia per i lavoratori preambolo dell'accordo . Le parti firmatarie del presente accordo attribuiscono importanza alle misure che facilitino l'accesso al tempo parziale per uomini e donne che si preparano alla pensione che vogliono conciliare vita professionale e familiare e approfittare della possibilità di istruzione e formazione per migliorare le loro lavoro e lavoratori e secondo modalità che favoriscano lo sviluppo delle imprese n. 5 delle considerazioni generali . Scopo dell'accordo è la soppressione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e di migliorare la qualità del lavoro a tempo parziale nonché di facilitare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale su base volontaria e di contribuire all'organizzazione flessibile dell'orario di lavoro in modo da tener conto dei bisogni degli imprenditori e dei lavoratori clausola n. 1 . La clausola n. 4 enuncia il principio di non discriminazione, in base al quale i lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive . La successiva clausola n. 5 prevede che nel quadro della clausola n. 1 dell'accordo e del principio di non-discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno, gli Stati membri, dopo aver consultato le parti sociali conformemente alla legge o alle prassi nazionali, devono identificare ed esaminare gli ostacoli di natura giuridica o amministrativa che possono limitare le possibilità di lavoro a tempo parziale e, se del caso, eliminarli. Le parti sociali, agendo nel quadro delle loro competenze e delle procedure previste nei contratti collettivi, devono identificare ed esaminare gli ostacoli che possono limitare le possibilità di lavoro a tempo parziale e, se del caso, eliminarli. Il rifiuto di un lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a tempo parziale, o viceversa, non deve, in quanto tale, costituire motivo valido per il licenziamento. Per quanto possibile, i datori di lavoro devono prendere in considerazione le domande di trasferimento dei lavoratoti a tempo pieno ad un lavoro e tempo parziale che si renda disponibile nello stabilimento le domande di trasferimento dei lavoratori a tempo parziale ad un lavoro a tempo pieno o di aumento dell'orario, se tale opportunità si presenta. Tali sono dunque i contenuti della direttiva in esame, con termine di recepimento fissato al 20.01.2000. Come noto, l'Italia l'ha attuata con il decreto legislativo 25.02.2000, n. 61. Per quanto interessa in questa sede, va evidenziato che l'art. 5 di tale decreto legislativo, in attuazione dei principi sanciti dalla direttiva, prevede che la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno, possa aver luogo solo con il consenso del lavoratore il rifiuto di un lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o il proprio rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, non costituisce giustificato motivo di licenziamento ritenuto che il cit. art. 16 della legge 4.11.2010, n. 183, nel consentire al datore di lavoro pubblico di trasformare unilateralmente il rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, anche contro la volontà del lavoratore, si ponga in insanabile contrasto con la cit. direttiva 15.12.1997, n. 97/81/CE, in quanto una norma nazionale siffatta discrimina il lavoratore part-time, il quale, a differenza del lavoratore a tempo pieno, rimane soggetto al potere del datore di lavoro pubblico di modificare unilateralmente la durata della prestazione di lavoro non contribuisce certo allo sviluppo delle possibilità di lavoro a tempo parziale su basi accettabili sia ai datori di lavoro che ai lavoratori, atteso che il lavoratore part-time sarebbe soggetto al rischio di vedersi trasformare il rapporto in lavoro a tempo pieno, anche contro la propria volontà, con evidente grave pregiudizio alle proprie esigenze personali e familiari. La norma nazionale, infine, contrasta con quella parte della direttiva che impone la presenza del consenso del lavoratore in caso di trasformazione del rapporto cit. clausola n. 5, secondo comma, della direttiva Il rifiuto di un lavoratore di essere trasferito da un lavoro a tempo pieno ad uno a tempo parziale, o viceversa, non deve, in quanto tale, costituire motivo valido per il licenziamento ritenuto quindi che il cit. art. 16 della legge 4.11.2010, n. 183, confliggendo con la direttiva 15.12.1997, n. 97/81/CE, debba essere disapplicato precisato che si tratta di un caso di cd. efficacia diretta di una direttiva, giacché la cit. direttiva 15.12.1997, n. 97/81/CE impone un obbligo di non fare rectius, di non discriminazione , prevedendo altresì obblighi sufficientemente precisi ed incondizionati, tanto da potersi qualificare come direttiva cd. self-executing giurisprudenza costante sin da Corte di Giustizia, 4.12.1974, C-41/74, caso Van Duyn, in Raccolta, 1974, pag. 1337 v. anche Corte di Giustizia, 5.04.1979, C-148/78, caso Ratti, in Raccolta, 1979, pag. 1629 precisato altresì che si tratta di efficacia verticale della direttiva, vale a dire di efficacia tra un cittadino la ricorrente e lo Stato o altro soggetto ad esso equiparato il Ministero della Giustizia . Detta efficacia verticale di una direttiva, è pacificamente ammessa dalla Corte di Giustizia sin dalla sentenza 26.02.1986, C-152/84, caso Marshall, in Raccolta, 1986, pag. 723. Va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza della corte in particolare la sentenza 19 gennaio 1982, caso Becker, causa 8/81, Raccomma 1982, pag. 53 in tutti i casi in cui disposizioni di una direttiva appaiono, dal punto di vista sostanziale, incondizionati e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere nei confronti dello Stato, tanto se questo non ha trasposto tempestivamente la direttiva nel diritto nazionale, quanto se esso l'ha trasposta in modo inadeguato. Questa giurisprudenza si basa sulla considerazione che è incompatibile con la natura cogente che l'art. 189 attribuisce alla direttiva, l'escludere, in linea di principio, che l'obbligo che essa impone possa esser fatto valere dagli interessati. La Corte ne ha tratto la conseguenza che lo Stato membro che non ha adottato, entro il termine, i provvedimenti di esecuzione imposti dalla direttiva, non può opporre ai singoli l'inadempimento, da parte sua, degli obblighi che essa impone. Quanto d'argomento secondo il quale una direttiva non può essere fatta valere nei confronti di un singolo, va posto in rilievo che, secondo l'art. 189 del trattato, la natura cogente della direttiva sulla quale è basata la possibilità di farla valere dinanzi al giudice nazionale, esiste solo nei confronti dello Stato membro cui e rivolta. Ne consegue che la direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e che una disposizione di una direttiva, non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei confronti dello stesso. E' quindi opportuno accertare se, nel caso di specie, si debba ritenere che il resistente ha agito in quanto singolo. A questo proposito, va posto in rilievo che gli amministrati qualora siano in grado di far valere una direttiva nei confronti dello Stato, possono farlo indipendentemente dalla qualità nella quale questo agisce come datore di lavoro o come pubblica autorità. In entrambi i casi, è infatti opportuno evitare che lo Stato possa trarre vantaggio dalla sua trasgressione del diritto comunitario . Nello stesso senso, può ricordarsi Corte di Giustizia, 12.07.1990, caso Foster, causa C 188/89, in Raccomma 1990, pag. 3313 secondo cui la Corte ha inoltre rilevato, nella sentenza 26 febbraio 1986. caso Marshall, che gli amministrati, qualora siano in grado di far valere una direttiva nei confronti dello Stato, possono farlo indipendentemente dalla veste nella quale questo agisce, come datore di lavoro o come pubblica autorità. In entrambi i casi è infatti opportuno evitare che lo Stato possa trarre vantaggio dalla sua inosservanza del diritto comunitario. In base a dette considerazioni, la Corte ha di volta in volta affermato che disposizioni incondizionate e sufficientemente precise di una direttiva potevano essere invocate dagli amministrati nei confronti di organismi o di enti che erano soggetti all'autorità o al controllo dello Stato o che disponevano di poteri che eccedevano i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti fra singoli. La Corte ha cosi considerato che delle disposizioni di una direttiva potevano essere invocate nei confronti di autorità fiscali sentenza 19 gennaio 1982, Becker, già citata, e 22 febbraio 1990, CECA/Fallimento Acciaierie e Ferriere Busseni, causa C-221/88 , di enti territoriali sentenza 22 giugno 1989, Fratelli Costanzo/Comune di Milano, causa 103/88, Raccomma pag. 1839 , di autorità indipendenti sotto il profilo costituzionale, incaricate di mantenere l'ordine pubblico e la pubblica sicurezza sentenza 15 maggio 1986, Johnston/Chief Constable of the Royal Ulster Constabulay, causa 222/84, Raccomma pag . 1651 , nonché di pubbliche autorità che prestano servizi di sanità pubblica sentenza 26 febbraio 1986, Marshall, già citata . Da quanto precede emerge che fa comunque parte degli enti ai quali si possono opporre le norme di una direttiva idonea a produrre effetti diretti un organismo che, indipendentemente dalla sua forma giuridica, sia stato incaricato, con un atto della pubblica autorità, di prestare, sotto il controllo di quest'ultima, un servizio di interesse pubblico e che dispone a questo scopo di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti fra singoli ritenuto che la norma nazionale confligga anche con l'art. 15 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, che sancisce la volontarietà di ogni prestazione lavorativa ritenuto quindi che il ricorso debba essere accolto, giacché, allo stato degli atti ed in via sommaria, appare illegittima la trasformazione del rapporto di lavoro da part-time a tempo pieno, disposta autoritariamente dal Ministero della Giustizia pur in presenza della volontà contraria della ricorrente ritenuto quindi sussistente sia il fumus boni iuris sia il periculum in mora ricordato infine che, in relazione alle statuizioni consentite in materia a questo Tribunale, a norma dell'art. 63, secondo comma, del decreto legislativo 30.03.2001, n. 165, il giudice adotta, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi o di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati. Le sentenze con le quali riconosce il diritto all'assunzione, ovvero accerta che l'assunzione è avvenuta in violazione di norme sostanziali o procedurali, hanno anche effetto rispettivamente costitutivo o estintivo del rapporto di lavoro. Pertanto, nella fattispecie concreta, si impone la pronunzia caducatoria di cui in dispositivo, senza la necessita della fissazione di alcun termine per l'inizio del giudizio di merito ritenuto infine, quanto alle spese del procedimento, che esse debbano essere compensate a causa della novità e della complessità delle questioni trattate PQM visti gli artt. 700, 669 sexies e 669 octies c.p,c., accoglie il ricorso, conferma il decreto inaudita altera parte del 30.03.2011 ed annulla il provvedimento ministeriale 8.02.2011 ed il provvedimento 21.03.2011 del Dirigente amministrativo di questo stesso Tribunale. Compensa integralmente le spese del procedimento.