L'agente di commercio non può delegare il giudice a provare l'esistenza delle sue provvigioni

di Luigi Giuseppe Papaleo

di Luigi Giuseppe Papaleo * La proposizione della domanda di pagamento delle provvigioni riguarda un diritto il cui fatto costitutivo è rappresentato non dal rapporto di agenzia, ma dalla conclusione di affari tra preponente e clienti per il tramite dell'agente è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10821/11, depositata il 17 maggio. Il caso. La vicenda trae origine da una pretesa creditoria di un agente di commercio, azionata nei confronti di una società commerciale-preponente, che concerne differenze per provvigioni ed altri compensi, tutti derivanti da un sottostante contratto di agenzia dedotto in giudizio. Detta pretesa veniva accertata in maniera satisfattiva per l'agente, nella prima fase del giudizio di merito, in quanto il Tribunale liquidava a suo favore un'ingente somma, mentre in fase di gravame la Corte territoriale riduceva drasticamente l'importo. La Corte di Appello fondava il suo convincimento in virtù delle risultanze tecnico-contabili della consulenza d'ufficio rinnovata nel corso del gravame medesimo. L'agente di commercio proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello, esponendo una serie di censure, tutte, per lo più, concernenti il vizio di motivazione, come tali dirette a contestare il ragionamento ovvero l'iter logico-giuridico seguito dal giudice di merito nella ricostruzione dei rapporti obbligatori e, quindi, delle rispettive partite dare-avere dedotte in giudizio dalle parti in causa. In particolare, il ricorrente, con riferimento alla consulenza tecnica d'ufficio disposta in rinnovazione dal giudice di appello, lamenta il modus operandi del consulente d'ufficio, in quanto costui non avrebbe tenuto conto di tutta una serie di dati reale volume d'affari realizzato dalla società preponente in relazione agli affari procacciati dall'agente nonché di documenti quali copie commissioni ai fini della redazione della predetta c.t.u. Il favore del diritto comunitario non alleggerisce l'onus probandi dell'agente. La Cassazione ha disatteso tutte le censure sollevate dal ricorrente, ribadendo che in materia di diritto alle provvigioni scaturenti da un contratto di agenzia, nonostante il particolare regime giuridico previsto dalla normativa comunitaria a favore dell'agente di commercio cfr. direttiva 86/653 del 18 dicembre 1986 lo stesso non è comunque esentato dal rigoroso e tradizionale onus probandi previsto ex articolo 2697 c.c., per quanto riguarda la dimostrazione circa la sussistenza dei fatti costitutivi dei predetti diritti patrimoniali, ossia del diritto alle provvigioni ed altri compensi scaturenti da un sottostante rapporto di agenzia. A tal proposito, la Cassazione ha enunciato il principio di diritto sopra richiamato, secondo cui il fatto costitutivo del diritto al pagamento delle provvigioni non è rappresentato dal rapporto di agenzia che di per sé, è solo il presupposto della nascita del credito azionato , bensì dalla conclusione di affari tra preponente e clienti per il tramite dell'agente. La c.t.u. non supplisce alle carenze probatorie della parte. Pertanto, fermo restando il potere discrezionale del giudice di merito di disporre una consulenza tecnica d'ufficio, quale estrinsecazione di poteri officiosi riconosciuti per legge al giudice anche in grado di appello, al fine di tradurre in linguaggio comune quelli che sono aspetti propriamente tecnici e nel caso di specie contabili, l'agente di commercio non può pretendere di orientare tale strumento officioso a fini esplorativi e suppletivi per far fronte alle proprie inefficienze e/o carenze in tema di adempimento dell'onere probatorio ex-articolo 2697 c.c. * Avvocato del Foro di Napoli