Durante l'aspettativa parentale si può lavorare

Illegittimo il licenziamento del lavoratore che, durante il congedo parentale, fornisce prestazioni lavorative ad un'azienda direttamente concorrente del proprio datore di lavoro.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 7021/11 ha stabilito che durante l'aspettativa parentale è possibile lavorare anche presso aziende concorrenti. È stato infatti rigettato il ricorso, presentato dal datore di lavoro, contro la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare del lavoratore, per aver svolto, durante l'aspettativa parentale, ex art. 4 L.n. 53/00, attività lavorativa per quattro giorni alle dipendenze di una società direttamente concorrente. Il caso. La ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione delle regole sulla correttezza, sull'esecuzione di buona fede e sull'obbligo di fedeltà artt. 1175, 1375, 2105 c.c. , nonché omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Viene anche dedotto che in caso di aspettativa per motivi familiari, come da disposizioni della legge per il sostegno della maternità e della paternità, vige il divieto di svolgere attività lavorativa. Nel caso di specie, si ritiene che lo svolgimento di attività lavorativa in concorrenza con quella svolta dal datore di lavoro lede gravemente l'obbligo di fedeltà giustificando il licenziamento per giusta causa. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. Si lamenta, altresì, l'errata applicazione dell'art. 4, L. n. 53/00, da parte della Corte d'appello, che ha ritenuto di carattere occasionale la prestazione lavorativa ed escluso una irreparabile lesione del vincolo fiduciario in quanto, durante l'aspettativa, le principali obbligazioni del contratto prestazione lavorativa e retribuzione sono soggette a sospensione. La Corte di Cassazione fa notare che i giudici di secondo grado hanno fatto leva sulla sporadicità di tale attività lavorativa, limitata a quattro giornate in relazione ad un periodo di aspettativa durato due mesi e che comunque, la ricorrente chiede un diverso accertamento dei fatti, dichiarato inammissibile dalla S.C Non si configura quindi l'infedeltà, che scatta soltanto quando si utilizza il bagaglio di conoscenze acquisito alle dipendenze del datore nell'ambito delle prestazioni fornite a un terzo. Insomma l'illecito disciplinare c'è, ma non è ritenuta censurabile la motivazione che reputa eccessivo il licenziamento. Per questo, la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.