Niente risarcimento pieno per il lavoratore reintegrato: vanno detratti i compensi da LSU

Al risarcimento del danno, riconosciuto al lavoratore prima licenziato e poi reintegrato, vanno detratti i compensi comunque percepiti durante l'interruzione del rapporto di lavoro, compresi quelli derivanti da lavori socialmente utili.

Al risarcimento del danno, riconosciuto al lavoratore prima licenziato e poi reintegrato, vanno detratti i compensi comunque percepiti durante l'interruzione del rapporto di lavoro, compresi quelli derivanti da lavori socialmente utili. Lo ha chiarito la sezione Lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza n. 4146, depositata lo scorso 21 febbraio. La fattispecie. La Corte d'appello di Roma dichiarava l'illegittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore ed ordinava alla società datrice di reintegrare l'appellante nel posto di lavoro, condannandola anche a corrispondere al dipendente le retribuzioni maturate dalla data del recesso a quella dell'effettiva reintegra, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria, detratta la somma di 450 euro mensili percepita per i lavori socialmente utili. Contro questa pronuncia il lavoratore ricorre per cassazione, ma senza successo. Le doglianze del lavoratore disattese dalla Cassazione. In particolare, l'uomo, nel ricorso incidentale, si duole che nel determinare il risarcimento del danno a lui spettante il giudice di merito abbia tenuto conto dell'aliunde perceptum, sebbene la società non avesse eccepito nulla in proposito e sebbene si trattasse di compensi percepiti per lo svolgimento di lavori socialmente utili, come tali non aventi natura retributiva art. 4, primo comma, d.lgs. n. 81/2000 . Tuttavia, la S.C. disattende le censure del controricorrente, formulando un duplice principio di diritto. Aliunde perceptum sempre rilevabile dal giudice. Sul primo punto, i giudici di legittimità ribadiscono che l'aliunde perceptum, non integrando un'eccezione in senso stretto, è rilevabile dal giudice anche in assenza di un'eccezione di parte in tal senso, sempreché la rioccupazione del lavoratore costituisca allegazione in fatto ritualmente acquisita al processo, anche se per iniziativa del lavoratore e non del datore di lavoro. A nulla vale la natura assistenziale dei compensi altrove percepiti . Invece sul secondo punto, relativo alla natura dei compensi da L.S.U., gli Ermellini chiariscono che l'aliunde perceptum, da detrarre dal risarcimento del danno spettante al lavoratore illegittimamente licenziato e commisurato alle retribuzioni maturate nel periodo tra il licenziamento e il reinserimento nel posto di lavoro, si riferisce ai compensi conseguiti dal lavoratore reimpiegando la capacità di lavoro non impegnata nell'attività cessata a causa del licenziamento illegittimo, senza che rilevi la natura delle somme percepite, se cioè retributiva o assistenziale, e neppure se tali redditi siano assoggettabili a contribuzione.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 16 novembre 2010 - 21 febbraio 2011, n. 4146 Presidente Roselli - Relatore Lamorgese Svolgimento del processo Con sentenza depositata il 25 marzo 2006, la Corte di appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, impugnata da , ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento intimato a quest'ultimo dalla C. s.p.a., ordinando alla società di reintegrare l'appellante nel posto di lavoro e condannandola a corrispondere al lavoratore le retribuzioni maturate dalla data del recesso a quella dell'effettiva reintegra, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria, detratta la somma di € 450 mensili percepita per i lavori socialmente utili svolti dall'aprile 1999. Il giudice del gravarne è pervenuto a tali conclusioni, avendo rilevato l'inosservanza della procedura di licenziamento collettivo, nell'ambito del quale andava inquadrato il recesso in questione. In particolare, ha ritenuto che nella comunicazione inviata dall'azienda alle organizzazioni sindacali non erano stati indicati i motivi che avevano determinato la situazione di eccedenza del personale, quelli tecnici, organizzativi e produttivi che precludevano l'adozione di misure alternative, ma soprattutto non erano stati individuati la collocazione aziendale e i profili professionali dei lavoratori in esubero con riferimento al personale abitualmente impiegato. Né, ad avviso del medesimo giudice, le indicazioni delle posizioni professionali in esubero o comunque dei settori interessati dalla riduzione del personale erano desumibili dall'accordo intervenuto con le organizzazioni sindacali, che sostanzialmente non specificava quali i criteri di scelta da seguire al fine di determinare il personale in eccedenza, risultando il criterio delle esigenze tecnico-produttive aziendali e del requisito pensionistico estremamente generico, con la conseguenza di inficiare l'intera procedura. Per la cassazione di questa pronuncia la società soccombente ha proposto ricorso basato su tre motivi. L'intimato ha resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale per tre motivi, poi illustrati con memoria. Motivi della decisione Innanzitutto, i due ricorsi, principale e incidentale, devono essere riuniti, a norma dell'art. 335 cod. proc. civ. Il primo motivo del ricorso principale, nel denunciare violazione e falsa applicazione dell'art. 345 cod. proc. civ., deduce l'errore in cui è incorsa la sentenza impugnata per avere escluso la novità della censura concernente l'illegittimità del licenziamento per la violazione della necessaria oggettività del criterio di scelta, lamentata dall'appellante sotto il profilo che il criterio adottato sarebbe stato quello cd. fotografico, in quanto avrebbe consentito, ancor prima delle consultazioni sindacali e della parametrazione dei criteri di scelta legali o contrattuali, di individuare il dipendente da licenziare in primo grado, il lavoratore si era doluto della violazione dei criteri di scelta in relazione a quelli previsti dall'accordo sindacale. Al termine del motivo è enunciato il seguente quesito di diritto È vero che nella formulazione dell'atto di appello non possono proporsi domande o eccezioni nuove . Il secondo motivo, con il quale la ricorrente denuncia violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. e che tale violazione integra un difetto di attività del giudice di secondo grado . Il terzo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell'art. 4, era incorso nel vizio di ultrapetizione. Il quesito di diritto enunciato al termine del motivo è il seguente È vero che il giudice nel decidere su una domanda eccezione o istanza di parte deve uniformarsi al principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e non andare oltre il limite delle stesse . Il ricorso principale è inammissibile per la violazione dell'art. 366 bis cod. proc. civ. Premesso che la enunciazione del quesito di diritto deve ritenersi richiesta, secondo l'art. 112 cod. proc. civ. v. Cass. 23 febbraio 2009 n. 4329, Cass. 26 ottobre 2009 n. 22578, indirizzo a cui il Collegio ritiene di dover dare contiguità, proprio perché in base al testo della norma richiamata non sembra potersi affermare una distinzione tra i motivi d'impugnazione in diritto, escludendo dall'applicazione della norma quelli concernenti errores in procedendo, con tra, però, Cass. 10 settembre 2009 n. 19558 , si deve osservare che la formulazione del quesito di diritto, come riportata innanzi per ciascuno dei tre motivi, è estremamente generica. Infatti, per il primo motivo essa si limita alla enunciazione del divieto stabilito dalla norma denunciata, di proporre in appello domande o eccezioni nuove, per cui è solo una enunciazione di carattere generale e astratta, come tale inidonea ad assumere rilevanza ai fini della riconducibilità della violazione alla fattispecie esaminata v, fra le altre Cass. sez. unite 11 marzo 2008 n. 6420, Cass. 19 febbraio 2009 n. 4044 . Per gli altri due motivi, la formulazione del quesito di diritto si esaurisce nella enunciazione della regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, omettendosi di precisare quale la questione su cui il giudice dei merito aveva omesso di pronunciare secondo motivo o aveva pronunciato oltre i limiti della domanda terzo motivo . Precisazione questa tanto più necessaria, in considerazione dell'inosservanza dei criteri di scelta che, come la stessa società ricorrente ha riconosciuto in ricorso, il lavoratore aveva prospettato con Fatto di appello, per cui nella formulazione del quesito di diritto sarebbe stato indispensabile, al fine di individuare il vizio di attività in cui era incorsa la sentenza, quale l'errore di interpretazione commesso dal giudice della censura sul criterio di scelta. Passando all'esame dei ricorso incidentale, con i tre motivi proposti, per i quali risultano adempiute le prescrizioni dettate dall'art. 366 bis c.p.c., E.F. si duole che nel determinare il risarcimento del danno a lui spettante il giudice di merito abbia tenuto conto dell'aliunde perceptum, sebbene l'altra parte in proposito nulla avesse eccepito primo motivo , e sebbene si trattasse di compensi percepiti per lo svolgimento di lavori socialmente utili, come tali non aventi natura retributiva, secondo la previsione dell'art. 4, primo comma, d.lgs. n. 81 del 2000 secondo motivo in ordine alla suddetta statuizione il giudice del merito, ad avviso del ricorrente incidentale, non ha fornito alcuna motivazione, essendosi limitato a richiamare quanto asserito dal medesimo lavoratore terzo motivo . Il ricorso è infondato. A disattendere le censure come sopra sintetizzate, è sufficiente osservare, da un lato, che l'aliunde perceptum, da detrarre dal risarcimento del danno spettante al lavoratore illegittimamente licenziato e commisurato alle retribuzioni maturate nel periodo tra il licenziamento e il reinserimento nel posto di lavoro, si riferisce ai compensi conseguiti dal lavoratore reimpiegando la capacità di lavoro non impegnata nell'attività cessata a causa del licenziamento illegittimo, senza che rilevi la natura delle somme percepite, se cioè retributiva o assistenziale, e neppure se tali redditi siano assoggettabili a contribuzione Cass. 28 maggio 2003 n. 8494 dall'altro lato, che l'aliunde perceptum non integra un'eccezione in senso stretto e, pertanto, è rilevabile dal giudice anche in assenza di un'eccezione di parte in tal senso, ovvero in presenza di un'eccezione intempestiva, sempreché la rioccupazione del lavoratore costituisca allegazione in fatto ritualmente acquisita al processo, anche se per iniziativa del lavoratore e non del datore di lavoro Cass. 21 aprile 2009 n. 9464 . In conclusione, il ricorso principale è inammissibile, mentre quello incidentale va rigettato. Quanto alle spese del presente giudizio, considerata la reciproca soccombenza, ricorrono giusti motivi per compensarle integralmente fra le parti. P.Q.M. Riunisce i ricorsi dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta l'incidentale compensa interamente fra le parti le spese del giudizio di cassazione.