Accettare il demansionamento prima contestato non evita il licenziamento

Il lavoratore non può prima contestare il demansionamento e poi accettarlo al solo scopo di evitare il licenziamento contestazione e accettazione sono atteggiamenti tra loro incompatibili.

Il lavoratore non può prima contestare il demansionamento e poi accettarlo al solo scopo di evitare il licenziamento contestazione e accettazione sono atteggiamenti tra loro incompatibili. E' quanto affermato dalla sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 3968 depositata lo scorso 18 febbraio. La fattispecie. Tre lavoratori impugnavano il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in seguito alla soppressione del reparto officina, cui erano addetti. Se in primo grado, il ricorso veniva rigettato, in appello invece trovava accoglimento. Infatti, la Corte territoriale dichiarava l'illegittimità dei licenziamenti in quanto i dipendenti avevano accettato di essere addetti a mansioni inferiori conseguentemente, l'impossibilità della ricollocazione all'interno dell'azienda andava provata anche con riferimento a mansioni diverse e inferiori a quelle originarie. Prima contestano e poi accettano il demansionamento. In un primo momento, la S.C. aveva annullato con rinvio la decisione di secondo grado, sostenendo che i lavoratori avevano, prima del licenziamento, promosso una diversa vertenza lamentando di essere stati adibiti a mansioni inferiori e che, nell'ambito di questa vertenza avevano poi accettato le nuove mansioni, seppure, di livello inferiore tale fatto nuovo era tuttavia intervenuto dopo il licenziamento ed era pertanto ininfluente, dato che le condizioni legittimanti il licenziamento per giustificato motivo oggettivo andavano verificate al momento del recesso, non potendo essere ricollegate ad una dichiarazione del lavoratore successiva e non accettata dal datore. Accettare il demansionamento non serve ad evitare il licenziamento. I tre lavoratori non ci stanno e ricorrono per la revocazione di quest'ultima pronuncia, ma ancora una volta senza successo. Infatti, la S.C. afferma il principio di diritto per cui quando il datore di lavoro procede a licenziamento per giustificato motivo oggettivo - nel caso di specie rappresentato dalla soppressione del reparto cui sono addetti i lavoratori licenziati - la verifica della possibilità di repechage va fatta con riferimento a mansioni equivalenti. Qualora i lavoratori abbiano accettato mansioni inferiori per evitare il licenziamento, la prova dell'impossibilità di repechage va fornita anche con riferimento a tali mansioni. Tuttavia, in quest'ultima ipotesi, occorre che il patto di demansionamento sia anteriore o coevo al licenziamento, mentre esso non può scaturire da una dichiarazione del lavoratore espressa in epoca successiva al licenziamento e non accettata dal datore di lavoro, soprattutto se il lavoratore abbia in precedenza agito in giudizio deducendo l'illegittimità del demansionamento . Incompatibile la contestazione con l'accettazione, anche se volta ad evitare il licenziamento. In sostanza, il lavoratore, una volta che abbia scelto di contestare dinanzi al giudice un presunto demansionamento, non può tardivamente acconsentire all'espletamento delle mansioni inferiori, seppure per evitare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo le condizioni che legittimano il licenziamento per giustificato motivo oggettivo devono sussistere ed essere verificate alla data del licenziamento stesso e non possono consistere in fatti o manifestazioni di volontà sopravvenuti. Pertanto, nel caso in cui il lavoratore abbia agito in giudizio per far valere il demansionamento, il consenso alla dequalificazione non può essere ritenuto esistente, ma anzi va addirittura escluso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 17 dicembre 2010 - 18 febbraio 2011, n. 3968 Presidente De Cesare - Relatore Mammone Ritenuto in fatto e diritto 1.- Con separati ricorsi al giudice del lavoro di Napoli, A.A., Am.An. e F.S. impugnavano il licenziamento loro intimato da Caremar s.p.a. per impossibilità di valersi della loro prestazione a seguito della soppressione del reparto officina, cui essi erano addetti. 2.- Rigettata la domanda, i predetti proponevano appello e la Corte di appello di Napoli accoglieva l'impugnazione, dichiarando l'illegittimità dei licenziamenti in quanto i dipendenti avevano accettato di essere addetti a mansioni inferiori e, quindi, l'impossibilità di riutilizzo andava provata anche con riferimento a mansioni diverse e inferiori a quelle originarie. 3.- Proponeva ricorso per cassazione Caremar spa con cinque motivi. Con sentenza del 18.3.09 n. 6552 la Corte di cassazione accoglieva l'impugnazione con rigetto del primo motivo ed accoglimento del secondo, terzo e quinto, assorbito il quarto, rinviando alla Corte d'appello di Napoli per un nuovo esame. Per quanto qui interessa, il Collegio di legittimità prendeva atto che i lavoratori avevano, prima del licenziamento, promosso una diversa vertenza lamentando di essere stati adibiti a mansioni inferiori e che, nell'ambito di questa vertenza avevano poi accettato le nuove mansioni, quantunque, di livello inferiore. Tale fatto nuovo era tuttavia intervenuto dopo il licenziamento ed era pertanto ininfluente, dato che le condizioni legittimanti il licenziamento per g.m.o. andavano verificate al momento del recesso e non potevano essere ricollegate ad una dichiarazione del lavoratore successiva e non accettata dal datore. 4.- I tre dipendenti propongono ricorso per la revocazione di tale sentenza di legittimità sostenendo che il Collegio decidente sarebbe incorso in errore di fatto nel momento in cui, riassumendo la sentenza impugnata, ha affermato non solo che i lavoratori avevano acconsentito a prestare mansioni di livello inferiore e che la possibilità di riutilizzo andava verificata anche con riferimento a queste ultime, ma anche che da un accordo stipulato tra azienda ed oo.ss. il 18.1.96 risultava che la prima si era impegnata a salvaguardare il livello occupazionale dopo la soppressione dell'officina, salvaguardando i posti di lavoro con assegnazione a mansioni inferiori. L'accordo in questione, invece, non prevedeva mansioni inferiori né paventava un licenziamento, prevedendo, anzi, il riassorbimento delle unità lavorative addette all'officina nell'ambito aziendale possibilmente nei servizi già espletati ed, eventualmente, in incarichi diversi, con esclusione di adibizione a mansioni inferiori. Essendo stati adibiti nel 1996 a nuove mansioni ritenute equivalenti da Caremar, essi avevano promosso la prima causa per contestare il demansionamento e, ottenuta ragione in sede giudiziale, solo quando il datore aveva manifestato la volontà di procedere al licenziamento avevano accettato le mansioni da loro ritenute inferiori, ma dal datore considerate equivalenti. 5.- Il consigliere relatore ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. depositava relazione, la quale era comunicata al Procuratore generale ed era notificata ai difensori costituiti. Caremar ha depositato memoria. 6.- Il ricorso è inammissibile. 6.1.- Il principio di diritto enunziato dalla sentenza impugnata al capo n. 17 è il seguente quando il datore di lavoro procede a licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in particolare per soppressione del reparto cui sono addetti i lavoratori licenziati, la verifica della possibilità di repechage va fatta con riferimento a mansioni equivalenti ove i lavoratori abbiano accettato mansioni inferiori onde evitare il licenziamento, la prova dell'impossibilità di repechage va fornita anche con riferimento a tali mansioni, ma occorre, in quest'ultimo caso, che il patto di demansionamento sia anteriore o coevo al licenziamento, mentre esso non può scaturire da una dichiarazione del lavoratore espressa in epoca successiva al licenziamento e non accettata dal datore di lavoro, specie se il lavoratore abbia in precedenza agito in giudizio deducendo l'illegittimità del demansionamento . Il Collegio di legittimità afferma in altre parole che il lavoratore, una volta che abbia scelto di contestare dinanzi al giudice un presunto demansionamento, non può tardivamente acconsentire all'espletamento delle mansioni inferiori, seppure per evitare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Tale principio è reso più esplicito da quanto testualmente dallo stesso Collegio sostenuto al capo n. 13 le condizioni le quali legittimano il licenziamento per g.m.o. debbono sussistere ed essere verificate alla data del licenziamento stesso e non possono consistere in fatti o manifestazioni di volontà sopravvenuti. Nel caso in cui il lavoratore abbia agito in giudizio per far valere il demansionamento, il consenso alla dequalificazione non può essere ritenuto esistente e va anzi escluso . Emerge con chiarezza che l'argomento decisivo adottato dalla Corte di cassazione è quello della incompatibilità del primo atteggiamento del lavoratore la contestazione con quello successivo l'accettazione , seppure dettato dallo scopo di evitare il licenziamento, e che, in ogni caso la accettazione successiva debba essere a sua volta accettata dal datore di lavoro. All'affermazione di tale principio è indifferente la pretesa erronea lettura dell'accordo 18.1.96, la cui applicazione era stata contestata in diverso giudizio dagli odierni ricorrenti. 5.2.- In ogni caso all'attenzione del Collegio di legittimità era stata posta da Caremar la questione dell'erronea interpretazione dell'accordo 18.1.96, seppure sotto diverso aspetto di quello oggi dedotto. Il Collegio ha ritenuto il motivo al riguardo dedotto il quarto assorbito per l'accoglimento dei motivi secondo e terzo, per i quali l'accettazione delle mansioni inferiori successiva al licenziamento non è idonea a far scattare l'obbligo di repechag del datore anche in relazione alle mansioni inferiori v. capo n. 15 . Non può, dunque, ritenersi che la questione della esatta lettura dell'accordo 18.1.96 sia rimasta estranea al giudizio di legittimità, di modo che le denunziate carenze, ove sussistenti, sarebbero comunque conseguenza della pronunzia di diritto e non del denunziato errore. 6.- Il ricorso, dunque, più che rilevare un errore di fatto sottopone alla Corte inammissibili questioni di diritto dirette ad una nuova pronunzia sugli originali motivi di ricorso. Il ricorso deve essere, dunque, dichiarato inammissibile Le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, che liquida in Euro 30 trenta per esborsi ed in Euro 2.000 duemila per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.