Non scatta se l'insulto al capo resta un episodio isolato

Il dipendente insulta il capo, ma lo fa una sola volta. Sì alla sanzione, no al licenziamento.

Il dipendente insulta il capo, ma lo fa una sola volta. L'episodio non è così grave da causare il licenziamento. L'insulto episodico. Il datore di lavoro stavolta è messo alle strette dalla giurisprudenza. La Corte Suprema, con la sentenza n. 3042 dell'8 febbraio, si allinea alla giurisprudenza di merito ed esclude che la pronuncia di frasi offensive nei confronti del superiore gerarchico, benché alla presenza di terze persone, possa essere valutata alla stregua di una condotta talmente grave da giustificare, su un piano contrattuale, il licenziamento. Il caso. La dipendente di una casa di cura calabrese ricorre al giudice del lavoro per chiedere la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare irrogatole dal datore di lavoro. L'istanza viene accolta il Tribunale dispone la reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno e alla regolarizzazione della posizione contributiva. Anche il giudice d'appello conferma, sulla base sulla mera considerazione che gli addebiti contestati, ossia il rientro in servizio non autorizzato in periodo di congedo, la pronunzia di espressioni offensive nei confronti di un superiore e la ricostruzione non veritiera di taluni fatti, non avrebbero potuto legittimare il licenziamento, essendo essi riconducibili a comportamenti per i quali il contratto collettivo di categoria art. 33, lett. f-g prevede l'irrogazione di una mera sanzione conservativa.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 novembre 2010 - 8 febbraio 2011, n. 3042 Presidente Vidiri - Relatore Mammone Svolgimento del processo 1.- Con ricorso al giudice del lavoro di Catanzaro, P.A. chiedeva che fosse dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare irrogatole dalla casa di cura Villa S. Anna s.p.a. in data 29.10.02. Accolta la domanda e disposta dal giudice la reintegrazione nel posto di lavoro, oltre risarcimento del danno e regolarizzazione della posizione contributiva, proponeva appello la Casa di cura ribadendo l'esistenza della giusta causa di licenziamento. 2.- La Corte d'appello di Catanzaro con sentenza depositata il 16.1.06 rigettava l'impugnazione. Premetteva il giudice che gli addebiti contestati andavano individuati nella nota di contestazione del 28.9.02 e non anche in quella recante la data del 25.10.02, la quale era pervenuta alla lavoratrice dopo la data del licenziamento. Gli addebiti ivi contestati rientro in servizio non autorizzato in periodo di congedo, pronunzia di espressioni offensive nei confronti di un superiore e ricostruzione non veritiera dei fatti in sede di audizione e di deduzioni scritte non avrebbero potuto legittimare il licenziamento, essendo essi riconducibili a comportamenti per i quali il contratto collettivo di categoria art. 33, lett. f-g prevedeva l'irrogazione di una sanzione conservativa. Neppure riteneva sussistente la particolare gravità degli addebiti in questione, che pure avrebbe consentito l'irrogazione del licenziamento in base all'art. 33 lett. A del contratto, atteso che per l'episodicità dei comportamenti non poteva riscontrarsi tale connotazione. In ogni caso riteneva che il datore, prima di irrogare il licenziamento, avrebbe dovuto prendere in considerazione la condotta professionale e lavorativa della dipendente, che mai aveva posto in essere comportamenti analoghi e che, quindi, sarebbe stata penalizzata in maniera irreparabile per un comportamento del tutto episodico. 3.- La s.p.a. Villa S. Anna contro questa sentenza proponeva ricorso per cassazione, cui rispondeva con controricorso la P. . La società ricorrente ha depositato memoria. Motivi della decisione 4. - 1 motivi di ricorso possono essere così riassunti. 4.1. - Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione dell'art. 2119 c.c., dell'art. 5 della legge n. 604 del 1966, dell'art. 33 del contratto collettivo di categoria e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché carenza di motivazione. Contesta parte ricorrente che la Corte d'appello avrebbe ricostruito i fatti oggetto di causa e gli addebiti mossi alla dipendente sulla base della superficiale lettura dei documenti prodotti, senza espletare alcun ulteriore atto istruttorio e, in particolare, senza ammettere la prova per testi richiesta dal datore. Ne sarebbe derivata una ricostruzione riduttiva dei fatti, tesa a minimizzare i pur gravi comportamenti posti in atto. Una volta espletata la prova sarebbe, invece, emersa con tutta evidenza la gravità dei comportamenti posti in essere e la esistenza della giusta causa. 4.2. - Con il secondo motivo è dedotta violazione dell'art. 2119 c.c., dell'art. 5 della legge n. 604 del 1966 e dell'art. 33 del contratto collettivo di categoria, non é carenza di motivazione sotto profilo diverso da quello sub 4.1. Parte ricorrente ritiene incongruo il giudizio di non gravità dei comportamenti sulla base della pretesa loro episodicità, che di per sé non può escludere la particolare gravità richiesta dal contratto collettivo. In particolare il giudice di merito non avrebbe considerato che la somma dei comportamenti posti in essere integra una condotta che a pieno titolo avrebbe potuto essere ricompresa nella previsione dell'art. 33, lett. A del contratto, che consente il licenziamento in presenza di particolare gravità delle infrazioni. 4.3. - Con il terzo motivo si lamenta omessa pronunzia sulla riconvenzionale proposta dal datore per ottenere dalla P. il risarcimento dei danni, per l'esame della quale, in conseguenza dell'accoglimento dei primi due motivi, si chiede il rinvio al giudice di merito. 4.4. - Con il quarto motivo la ricorrente richiede ogni consequenziale pronunzia in punto di spese dei precedenti gradi. 5. - I primi due motivi, che debbono essere esaminati in unico contesto per l'evidente collegamento tra loro esistente, non sono fondati. 5.1. - Parte ricorrente contesta il passaggio della sentenza con cui il giudice di merito sintetizza gli addebiti rivolti alla P. come segue a rientro in servizio il giorno 25 ottobre 2002 [rectius 25 settembre 2002], nonostante l'ammissione a periodo di congedo b pronuncia di frasi offensive nei confronti di un superiore gerarchico c ricostruzione dei fatti - nell'audizione del 26 settembre e nelle giustificazioni - in modo diverso da quanto riferito dall'azienda . Oggetto specifico della censura e la riduttiva ricostruzione del comportamento della dipendente, di cui non sarebbero rilevate alcune significative circostanze presenza di terze persone al momento del diverbio tra la dipendente e la sorvegliante generale A. , contenuto degli epiteti rivolti verso quest'ultima, descrizione dell'atteggiamento tenuto dalla dipendente in sede di risposta alla contestazione che, ove considerate, avrebbero dovuto essere prese in considerazione ai fini della valutazione della gravità del comportamento stesso. La ricostruzione del comportamento della dipendente effettuata dal giudice di merito è tuttavia più ampia di quella riferita nel passaggio motivazionale sopra riportato, in quanto il giudice stesso fa riferimento testuale anche alle contestazioni scritte del datore di lavoro, ove vengono richiamati la presenza dei testimoni, il grave contenuto offensivo per la dignità dell'A. delle parole pronunziate, la mendacità delle dichiarazioni orali e scritte. Tali circostanze di fatto sono date, inoltre, per effettivamente realizzate, il che giustifica la ritenuta superfluità dell'espletamento dei mezzi istruttori. 5.2. - Se non può, dunque, affermarsi che il giudice abbia ricostruito la condotta della lavoratrice in termini riduttivi, neppure può sostenersi che, nel rapportarne il comportamento alle fattispecie contrattuali di mancanze che consentono l'irrogazione della sanzione conservativa, il giudice non ne abbia considerata la gravità ai sensi della norma contrattuale. Sul punto, infatti, la sentenza è particolarmente diffusa per escludere che quei fatti, in via generale punibili con sanzione conservativa, ricoprissero quel carattere di particolare gravità che per il contratto collettivo di categoria art. 33, lett. A giustificherebbe il licenziamento. Tale giudizio è motivato dalla Corte di appello con la considerazione che un comportamento, per quanto grave, se avente carattere episodico e se riconducibile ad un dipendente che mai aveva dato luogo a censure comportamentali, non può dar luogo ad un giudizio di particolare gravità . Si tratta di una valutazione di merito che, in quanto congruamente motivata e logicamente articolata, non è censurabile in sede di legittimità. 5.3. - Per quel che riguarda specificamente la disapplicazione dell'art. 2119 c.c., dedotta nel secondo motivo quale conseguenza della carente esegesi dell'art. 33, lett. A suddetto per l'omessa considerazione che la somma dei comportamenti ascritti riconducibili alle lettere f-g dello stesso art. 33 avrebbe potuto di per sé essere fonte di particolare gravità , tra le parti è sorta questione circa la rilevanza della censura, sostenendo il contro ricorrente che l'art. 33, lett. a avrebbe un contenuto diverso da quello invocato da parte ricorrente, essendo riferito ad una fattispecie di comportamento non oggetto di contestazione. Sul punto deve riscontrasi la carenza di autosufficienza del ricorso, in quanto, se fosse stato ivi puntualmente riportato il testo della norma contrattuale su cui è fondata la censura, sarebbe stato evitato ogni equivoco. I chiarimenti forniti con la memoria conclusiva - ove si riporta il testo della norma e si precisa che il motivo faceva riferimento all'art. 33 lett. A maiuscola , mentre il controricorso faceva riferimento all'arte 33, lett. a minuscola - sono da ritenere inidonei a sanare la rilevata carenza del motivo in questione Cass. 7.4.05 n. 7260 . 6. - In conclusione, i primi due motivi sono infondati e debbono essere rigettati. Consegue l'assorbimento dei motivi terzo e quarto ed il rigetto del ricorso nel suo complesso. Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 23,00, per esborsi ed in Euro 2.000 duemila per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.