Lo Stato non ha una libera prerogativa di ""precarizzare""

di Luigi Giuseppe Papaleo

di Luigi Giuseppe Papaleo * Lo strumento di flessibilità del lavoro, cui consegue il fenomeno sociale definito con il termine precariato , oggi, purtroppo, di grande attualità, si inserisce in un paradigma di regola ed eccezione tra contratto a tempo indeterminato e contratto a tempo determinato , che accomuna il settore del lavoro pubblico a quello privato laddove, la regola concerne il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è ordinariamente a tempo indeterminato cfr. art. 1, co. 1, D.Lgs. n. 368/2001 mentre l'eccezione concerne l'ipotesi derogatoria dell'apposizione del termine al rapporto di lavoro. L'art. 1, co. 1, del D.Lgs. n. 368/2001, invero, così espressamente recita È consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro . E' necessario scongiurare l'uso distorto della flessibilità. Pertanto, al fine di scongiurare un utilizzo abusivo ed improprio dell'istituto normativo in commento, la disciplina imperativa dettata nel D.Lgs. 368/2001 sancisce in primis, sul piano formale , l'obbligo per il datore di lavoro, di indicare per iscritto, nel regolamento negoziale, le ragioni legittimanti l'apposizione del termine , a pena di inefficacia del termine stesso, comminata al comma 2 del citato art. 1 D.Lgs. 368/2001, cui consegue inequivocabilmente sul piano logico-sistematico di interpretazione della norma stessa l'automatica conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato e, specificamente, nel settore del precariato scolastico, consegue, altresì il diritto del docente a pretendere la retribuzione dei mesi estivi luglio-agosto per tutti gli anni di servizio, già precedentemente prestati. Non solo, ma, il mancato rispetto della norma ex art. 1 D.Lgs. 368/2001 norma imperativa di legge e contenuta nel decreto con cui è stata recepita la direttiva comunitaria 70/1999/CE determina, altresì, nel quadro della legittimità comunitaria della normativa interna in materia di misure sanzionatorie e repressive dell'utilizzo improprio della figura eccezionale del contratto a termine l'illegittimità del termine stesso e, quindi, la nullità della relativa clausola contrattuale, con trasformazione del contratto, da tempo determinato a tempo indeterminato, sin dalla prima assunzione in servizio, in virtù del meccanismo di sostituzione di diritto delle clausole nulle da norme imperative ex art. 1419, co. 2, c.c. La P.A. può avvalersi di contratti flessibili, ma solo in via residuale Sul piano sostanziale, si ribadisce inoltre che, nel settore pubblico a differenza di quello privato, il legislatore, ha imposto alla Pubblica Amministrazione di assumere esclusivamente con contratti di lavoro a tempo indeterminato, in presenza di esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario, mentre, solo residualmente il datore di lavoro -pubblico può avvalersi di forme contrattuali cc.dd. flessibili , laddove debba far fronte ad esigenze temporanee ed eccezionali art. 36, co. 1, modificato dall'art. 49 d.l. 112/2008 conv. in L. 133/2008, ma vd. già quanto previsto dalla L.80/2006 . e allora perché il precariato scolastico rappresenta la regola? Il Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca M.I.U.R. è solito, invece, avvalersi delle prestazioni professionali di docenza da parte dei cc.dd. precari per soddisfare una esigenza lavorativa istituzionale tutt'altro che eccezionale o temporanea, ma preordinata a fronteggiare esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro medesimo. Peraltro, la reiterazione dei contratti a termine, rivela un utilizzo abusivo di tale strumento di flessibilità del lavoro, in evidente contrasto, anche con le norme imperative di cui al combinato disposto degli articolo 4 e 5, co. 4 bis ultima parte D.Lgs. 368/2001 di recepimento dei principi comunitari di cui alla Direttiva Europea 1999/70/CE relativa all' Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato nonché del principio della parità di trattamento -. Il datore di lavoro/Amministrazione Scolastica, invero, non è rappresentato dalla singola struttura didattica di turno nell'ambito della quale potrebbe ipoteticamente ammettersi una oggettiva transitorietà della esigenza lavorativa soddisfatta attraverso l'instaurazione del singolo rapporto di lavoro a termine bensì, si concentra nel Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca M.I.U.R. , nel cui ambito organizzativo interno quel rapporto di lavoro, garantisce un'esigenza lavorativa istituzionale ordinaria, corrente e costante nel lungo periodo e non certamente caratterizzata da fattori di eccezionalità e/o temporaneità, ma, invece, preordinata al soddisfacimento di un'offerta lavorativa permanente e durevole nel tempo da parte del datore di lavoro. Da tanto, si deduce, quindi, che è la stesso apparato normativo nazionale dell'istituto di flessibilità del lavoro dei contratti a termine, che, applicato ai criteri di conferimento delle supplenze di lungo periodo necessarie per garantire la costante erogazione del servizio scolastico confligge con quei principi, introdotti da fonti comunitarie sia appartenenti alla categoria degli atti normativi comunitari cc.dd. self executing e sia quelli cc.dd. ad efficacia verticale , questi ultimi direttamente azionabili dal cittadino nei confronti della Pubblica Amministrazione ovvero dello Stato/Persona Giuridica. L'utilizzo, quindi, dello schema della reiterazione dei contratti a termine , da tempo, sistematicamente posto in essere dal M.I.U.R. non per fronteggiare situazioni congiunturali e provvisorie, ma, al solo scopo di sottrarsi alle obbligazioni tipiche derivanti da un normale rapporto di lavoro a tempo indeterminato è gravemente lesivo, altresì, del diritto obbligatorio al mantenimento del lavoro, la cui tutela intesa nel senso di effettiva realizzazione è auspicata dalla norma ex art .4 Cost Detta norma costituzionale, nonostante la sua natura programmatica che si estrinseca nell'obbligo teleologico rivolto al governo e finalizzato a favorire al massimo l'impiego delle attività lavorative, funge in concreto, anche, quale parametro per giudicare della costituzionalità di quelle leggi e/o atti ad essa equiparati che disciplinano l'accesso, lo svolgimento e la cessazione del rapporto di lavoro. Ciò significa, quindi, che il diritto al lavoro di cui parla espressamente la norma costituzionale contenuta nell'art. 4 Cost., pur non assurgendo al rango di diritto soggettivo perfetto , consente al giudice del lavoro, in caso di licenziamento illegittimo o, anche, come nel caso di specie, in caso di illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro e/o abusivo esercizio della reiterazione dei contratti a termine, di reintegrare il lavoratore/ricorrente nel suo posto di lavoro ripristinando con efficacia ex tunc dalla prima assunzione in servizio, la costanza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Peraltro, l'accordo quadro sul lavoro a termine allegato alla direttiva europea recepita nel D.Lgs. 368/2001, deve essere inteso nel senso che le misure previste dalla normativa interna, dirette a sanzionare il ricorso abusivo a contratti o a rapporti di lavoro a tempo determinato, sia con riferimento al settore privato che in quello pubblico, non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti attribuiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione Europea. La P.A. va sanzionata in caso di discriminazione dei lavoratori. Allorchè, quindi, la Pubblica Amministrazione/datrice di lavoro operi una gestione del personale informata all'utilizzo strumentale e sistematico della reiterazione dei contratti a termine, al fine solamente di razionalizzare la spesa pubblica, discriminando i lavoratori , si deve applicare una misura sanzionatoria che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso ed eliminare le conseguenze della violazione del Diritto dell'Unione. Il rimedio legislativo che recepisce lo spirito della normativa comunitaria, applicabile alla fattispecie concreta dedotta nel presente giudizio è dato, ad avviso di chi scrive, dall'art. 5 del D.Lgs. 368/2001 che prevale anche sul divieto di trasformazione del rapporti di lavoro a termine in essere con la P.A. Cfr. art. 36, co. 5, D.Lgs. 165/2001 . L'intervento della Corte di Giustizia CE. A tale proposito, si riporta quanto testualmente contenuto nella pronuncia resa dalla Corte di Giustizia CE, sez. VI, 3/2010 avente ad oggetto la domanda pregiudiziale sollevata incidentalmente dal giudice nazionale, vertente sull'interpretazione delle clausole 2-5 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato che compare in allegato alla direttiva 1999/70/CE al punto 48 nelle sue osservazioni scritte il governo italiano ha sottolineato, in particolare, che l'art. 5 del d.lgs. n. 368/2001, quale modificato nel 2007, al fine di evitare il ricorso abusivo ai contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico, ha aggiunto una durata massima n.d.r. 36 mesi oltre la quale il contratto di lavoro è ritenuto concluso a tempo indeterminato . Invero, l'art. 5 co. 4 bis ultima parte del D.Lgs .368/2001, così espressamente recita qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l'altro, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi del comma 2 n.d.r. ossia dalla scadenza del termine di 36 mesi . La fattispecie ex art. 1, comma 43, lett. b , Legge n. 247/2007, entrata in vigore in data 01/01/2008, così recita b il periodo di lavoro già effettuato alla data di entrata in vigore della presente legge n.d.r. 01/01/2008 si computa, insieme ai periodi successivi di attività ai fini della determinazione del periodo massimo n.d.r. 36 mesi di cui al citato comma 4-bis, n.d.r. del D.Lgs. 368/2001 decorsi quindici mesi n.d.r. ossia dal 31/03/2009 dalla medesima data n.d.r. 01/01/2008 . Il rapporto si converte a tempo indeterminato in caso di stipulazione reiterata di contratti a termine. Ciò significa che, nel caso di stipulazione reiterata di contratti a termine, il rapporto si converte a tempo indeterminato con decorrenza dalla scadenza del termine del 36° mese se, per effetto della stipulazione di un contratto a termine in data successiva al 31 marzo 2009 il periodo complessivamente lavorato, anche per effetto di contratti a termine stipulati precedentemente, supera il limite massimo di trentasei mesi cfr. combinato disposto ex articolo 5 comma 4 bis e comma 2 del d.lgs. 6 settembre 2001 n. 368 alla luce, altresì, del regime transitorio ex art. 1, comma 43, l. 24 dicembre 2007 n. 247 Cfr. Sentenza del Tribunale Milano, 12 maggio 2010, Riv. critica dir. lav. 2010, 2, 436 . * Avvocato