Conto corrente: diritto alla rettifica e imputazione del pagamento agli interessi

La Prima Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione affronta, con l’ordinanza n. 3858/21, due tematiche di assoluta rilevanza nell’ambito del contenzioso bancario se sia configurabile la prescrizione del diritto alla rettifica di una annotazione in conto corrente e se una rimessa debba essere, sempre e comunque, prioritariamente imputata al debito per interessi.

Relativamente al primo interrogativo, la Corte chiarisce che l'annotazione nel conto è la rappresentazione contabile di un diritto, non un diritto a sé. Conseguentemente, la rettifica del conto avrà sempre luogo, senza limiti di tempo, in caso di accoglimento dell’azione di nullità che abbia dichiarato l’illegittimità del titolo su cui è fondata l’annotazione sul conto. Relativamente alla seconda problematica è stato invece enunciato il seguente principio di diritto nei contratti di conto corrente bancario cui acceda un'apertura di credito, il meccanismo di imputazione del pagamento agli interessi, di cui all'art. 1194 comma 2° cod. civ., trova applicazione solo ove sia configurabile un pagamento in senso tecnico-giuridico, ovvero in presenza di un versamento avente funzione solutoria in quanto eseguito su un conto corrente avente un saldo passivo che ecceda i limiti dell'affidamento ne consegue che non può mai configurarsi un'imputazione ad interessi ex art. 1194 comma 2° cod. civ., non essendo questi immediatamente esigibili, ove l'annotazione di tali interessi avvenga su un conto che presenti un passivo rientrante nei limiti dell'affidamento e neppure la stessa annotazione determini il superamento di tale limite, avendo la successiva rimessa una mera funzione ripristinatoria della provvista . Il Tribunale di Lecce accoglieva la domanda di una società formulata nei confronti della banca avente ad oggetto la condanna della stessa al pagamento degli illegittimi addebiti sul conto corrente a titolo di interessi ultra legali, commissioni di massimo scoperto e valuta fittizia in difetto di contrattazione. La Corte d'Appello di Lecce riformava parzialmente la sentenza impugnata in accoglimento dell'eccezione di prescrizione sollevata dalla banca alla luce di quanto stabilito nella sentenza delle Sezioni Unite n. 24418/2010 intervenuta nelle more del giudizio. Segnatamente, il secondo giudice applicava il principio di diritto elaborato dalle richiamate Sezioni Unite in tema di distinzione , nell'ambito di un contratto di apertura di credito in conto corrente, tra versamenti solutori e ripristinatori, dichiarando la prescrizione delle rimesse solutorie effettuate nel decennio anteriore alla notifica della domanda giudiziale in relazione alle risultanze della CTU. La società correntista proponeva ricorso per cassazione. Anche la banca avanzava ricorso incidentale. Ai fini del presente contributo si soffermerà l’attenzione sui motivi di ricorso incidentale che hanno condotto ai principi suddetti. Con il primo motivo del ricorso incidentale la banca ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 1827, comma 2, 2934 comma 1, 2934 c.c., 6 Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo, 1 Primo Protocollo Addizionale in relazione all'art. 117.1 Cost., per avere la sentenza impugnata ritenuto suscettibile di prescrizione il solo diritto del correntista di ripetere le somme indebitamente pagate e non anche il diritto di ottenerne la rettifica. In subordine è stata sollevata dalla banca la questione di incostituzionalità dell'art. 2935 c.c. nella parte in cui non dispone la decorrenza della prescrizione del diritto alla rettifica delle partite incluse nel conto corrente bancario dal giorno della relativa annotazione contabile. Viene evidenziato, in particolare, che la sentenza delle Sezioni Unite n. 24418/10 si è occupata della questione della prescrizione limitatamente alla domanda di restituzione dei pagamenti indebiti effettuati dal correntista, senza pronunciarsi in ordine alla prescrizione del diritto alla rettifica del conto previsto dall'art. 1827, comma 2, c.c., quale conseguenza della dichiarazione di nullità, annullamento, rescissione o risoluzione del titolo illegittimo. Aggiunge la banca che se il cliente , da un lato, può agire senza limiti di tempo per far dichiarare la nullità di una certa pattuizione che dà titolo ad un certo addebito, dall'altro, non può ottenere eliminazione della relativa partita dal conto se l'addebito risale ad oltre dieci anni prima della domanda, essendosi il relativo diritto prescritto con il decorso del termine decennale. Detto motivo viene respinto poiché infondato. Ad avviso della Prima Sezione Civile, non esiste un diritto alla rettifica del conto autonomo rispetto al diritto di far valere la nullità , l’ annullamento , la rescissione o la risoluzione del titolo a base dell’annotazione nel conto stesso. L'annotazione nel conto non è altro che la rappresentazione contabile di un diritto, non un diritto a sé allorché il titolo generalmente negoziale alla base di quel diritto viene dichiarato nullo oppure viene annullato, rescisso o risolto, viene meno il diritto stesso, e conseguentemente la nuova realtà giuridica trova una corrispondente rappresentazione contabile. Che la rettifica del conto non sia altro che una conseguenza automatica della declaratoria di illegittimità del titolo su cui sin fonda la stessa annotazione sul conto emerge, precisa la Corte, proprio nella parte della decisione delle Sezioni Unite n. 24418/10 in cui è stato affermato che il correntista potrà naturalmente agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell'addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica del conto in suo favore delle risultanze del conto stesso . Ragion per cui ove venga dedotta la nullità del titolo in base al quale gli interessi sono stati annotati, essendo l'azione di nullità imprescrittibile a norma dell'art. 1422 c.c., l'operazione di rettifica sul conto non può essere sottoposta ad un termine predefinito, essendo legata inscindibilmente all'esito ed agli effetti dell'azione di nullità proposta, con la conseguenza che la rettifica del conto avrà sempre necessariamente luogo, senza limiti di tempo, in caso di accoglimento dell'azione di nullità che abbia dichiarato l'illegittimità del titolo su cui si è fondata l'annotazione sul conto. Conclusione questa ritenuta dalla Prima Sezione conforme a quanto stabilito dalla Consulta nella sentenza n. 78/12. A detta della Prima Sezione, proprio perché la rettifica di una annotazione in conto corrente non è un diritto a sé stante, ma soltanto la rappresentazione contabile della nuova realtà giuridica che si instaura a seguito dell'esercizio di un diritto azione finalizzata ad accertare l'illegittimità del titolo su cui l'annotazione si fondava , oltre a risultare infondata la pretesa della banca di ottenere la prescrizione di un diritto alla rettifica, viene parimenti ritenuta infondata la questione di illegittimità costituzionale poiché erroneamente impostata sulla rettifica delle partite incluse nel conto corrente quale diritto a sé stante soggetto ad un termine di prescrizione. Con il secondo motivo di ricorso incidentale la banca ha sostenuto che la distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie accolta dalla Corte territoriale in conformità alla citata sentenza delle Sezioni Unite non avrebbe alcun fondamento giuridico in materia di condictio indebiti . Difatti, nella prospettiva dell’istituto di credito, anche una rimessa c.d. ripristinatoria presenta le caratteristiche di un pagamento, comportando uno spostamento di ricchezza dal correntista alla banca, dato che riduce od azzera sia pure solo provvisoriamente l' esposizione debitoria del correntista nei confronti della banca, con il correlativo vantaggio di non dover pagare alla banca gli interessi passivi altrimenti dovuti. Infine, il pagamento di un debito non immediatamente esigibile - quale quello che nasce per effetto dell'utilizzo dell'apertura di credito - rientra anch'esso nella nozione di pagamento, costituendo un pagamento anticipato a norma dell'art. 1185, comma 2 c.c. Non è di tale avviso la Corte di Cassazione che rigetta anche questo motivo perché ritenuto infondato. La Prima Sezione condivide il principio elaborato della sentenza delle Sezioni Unite n. 24418/2010 secondo cui costituiscono pagamento in senso tecnico determinando uno spostamento di ricchezza a favore della banca solo le rimesse c.d. solutorie , ovvero i versamenti effettuati dal correntista su un conto corrente per il quale vi sia stato uno sconfinamento rispetto al fido concesso oppure su un conto corrente ab origine non affidato. Quanto, invece, alle rimesse c.d. ripristinatorie , che affluiscono su un conto non scoperto ma solo passivo - non essendovi stato sconfinamento rispetto al limite di affidamento - non può parlarsi, puntualizza la Corte, tecnicamente di pagamento con quei versamenti, il correntista si limita a ripristinare la provvista e pertanto non si determina alcuno spostamento patrimoniale a favore della banca, potendo riutilizzare in qualsiasi momento la somma versata sul conto corrente che la banca è contrattualmente obbligata a tenere a disposizione del cliente fino alla eventuale revoca dell'affidamento. Aggiunge la Corte che neppure potrebbe parlarsi di pagamento anticipato trattandosi di un credito solo eventuale che potrebbe anche non esistere all'atto della chiusura del conto coincidente con la revoca dell'affidamento se avvenuta su iniziativa della banca , momento comunque solo in coincidenza del quale potrebbe parlarsi di credito definitivo ed esigibile. Per questi motivi, viene ben chiarito che con la rimessa ripristinatoria si ha solo una riespansione, nella misura corrispondente fino al limite contrattualmente fissato , dell'affidamento originariamente concesso e non può configurarsi in alcun modo un pagamento. Ciò è in linea, conclude la Corte, a quanto stabilito nella richiamata decisione delle S.U. n. 24418/10. Ad avviso della banca, dato che l'art. 1194, comma 2 c.c. impone di imputare un pagamento prioritariamente al debito per interessi del correntista , una rimessa deve essere sempre e comunque prioritariamente imputata al debito per interessi ciò sia che gli interessi vengano addebitati quando il conto era ancora passivo, incrementando il saldo passivo del conto, sia che sia proprio il loro addebito a determinare il superamento del limite del fido, sia che gli stessi vengano addebitati quando il conto era già scoperto per i precedenti addebiti. Nei tre casi, sempre ad avviso dell'istituto di credito, vi sarebbero interessi immediatamente esigibili , potendo la banca esigere, una volta erogato credito fino a revoca o scadenza come nell'apertura di credito , il pagamento degli interessi, anche ove il loro addebito sul conto non comporti il superamento del fido. Anche questo terzo motivo di ricorso incidentale viene respinto. Precisa la Prima Sezione che soltanto le rimesse solutorie, individuate secondo il criterio indicato dalla menzionata sentenza a Sezioni Unite, possono configurarsi come pagamento ai sensi dell'art. 1194, comma 2, c.c. ragion per cui, al fine di verificare se un versamento abbia avuto natura solutoria o ripristinatoria, occorre previamente eliminare tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall'istituto di credito e conseguentemente rideterminare il reale saldo del conto Cass. n. 9141/20 . Viene pertanto ritenuta ammissibile l'imputazione di un pagamento per interessi solo in quanto questi interessi semplici una volta depurati della componente anatocistica illegittimamente addebitata siano stati annotati su un conto corrente che presenti un saldo debitore che ecceda i limiti dell'affidamento. Ove sia stato proprio l’addebito degli interessi a determinare il superamento del limite del fido, rivestirà funzione solutoria solo quella parte di rimessa pari alla differenza tra lo scoperto ed il limite del fido e, ad avviso della Corte, potrà provvedersi all'imputazione del pagamento limitatamente a questa parte. Nel caso, invece, in cui l'annotazione degli interessi avvenga su un conto che presenti un passivo che rientri nei limiti dell'affidamento e neppure la stessa annotazione determini il superamento di tale limite, la successiva rimessa avrà una mera funzione ripristinatoria della provvista e non potrà mai provvedersi ad una imputazione ex art. 1194 comma 2, c.c., difettando l'indefettibile presupposto del pagamento. La Prima Sezione reputa pertanto errato il ragionamento della banca secondo cui gli interessi passivi annotati trimestralmente nell'ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente che presenta un saldo debitore sarebbero sempre e comunque esigibili, pur se addebitati intrafido, determinando, in questo caso, la loro annotazione solo la riduzione del credito di cui il correntista dispone nei limiti dell'affidamento. Il vizio nasce dal concepire il versamento di una rimessa c.d. ripristinatoria quale un pagamento in senso tecnico-giuridico. Né l'immediata esigibilità degli interessi, pur intrafido, potrebbe derivare, conclude la Corte, dalla mera chiusura trimestrale del conto prevista dal conto contratto di conto corrente per i soli conti a debito prima della delibera CICR 9 febbraio 2000 , non potendo la disciplina di tale contratto prescindere non solo dall'apertura di credito che allo stesso accede, ma anche dalle concrete modalità di utilizzazione del fido. Da qui il sopra ricordato principio di diritto. Alcuni inediti precedenti di merito in materia di rettifica dell’annotazione in conto corrente cfr. Trib. Palmi, n. 374 del 24 giugno 2020 secondo cui la richiesta di accertamento e rettifica del saldo di conto corrente, formulata in termini estremamente generici e del tutto priva dell’esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda - prescritta a pena di nullità dall'art. 163, comma 3, n. 4, c.p.c. – è nulla per indeterminatezza della causa petendi e non appare suscettibile d’essere sistematicamente integrata nemmeno dalle prodotte consulenze stragiudiziali. Tali documenti possono avere, tutt’al più, una portata chiarificatoria rispetto ad un quadro allegatorio già prospettato ma non possono di certo, come nel caso di specie, sostituire completamente il contenuto obbligatorio dell’atto di citazione, rappresentando una sorta di allegazione implicita attuata mediante un mero richiamo Trib. Treviso, n. 880 del 25 giugno 2020, ove chiarito che L’azione di mero accertamento volta alla semplice declaratoria di illegittimità del regolamento negoziale è evidentemente imprescrittibile , secondo il dettato dell’art. 1422 c.c. L’azione di rettifica delle annotazioni contabili e di rideterminazione del saldo non è invece volta né alla ripetizione di rimesse indebite come sopra illustrato , né ad un mero accertamento. Essa non appare nemmeno riconducibile al modello dell’azione di rendiconto del mandatario, seppur il contratto di conto corrente sia notoriamente ritenuto assimilabile, dal punto di vista della struttura, allo schema del mandato. A ben vedere, l’azione, così come proposta, ha una natura composita e sui generis, in quanto persegue in via immediata i medesimi risultati dell’azione di accertamento negativo nella misura in cui essa è rivolta a contestare la debenza delle annotazioni operata dalla banca nella colonna dare” , ma non si esaurisce in ciò, tendendo altresì all’ulteriore obiettivo di vedere conseguentemente ed opportunamente rettificato il saldo, che, come nel caso di specie, può anche mutare di segno e assumere la consistenza di un credito poi immediatamente esigibile, come sancito dall’art. 1852 c.c. L’azione è senza dubbio consequenziale rispetto all’accertamento della nullità, ma se ne distingue nettamente per il fatto di andare ad incidere sul momento attuativo del regolamento negoziale illegittimo, producendo immediati riflessi patrimoniali sulle parti. È noto che una parte della giurisprudenza, anche di questo tribunale, ben conscia del rischio che l’indiscriminata esclusione di tutte le poste a debito documentate e l’accertamento di un saldo attivo ad una certa data possa risolversi in una sostanziale elusione della prescrizione decennale del diritto alla ripetizione di rimesse solutorie ultradecennali, limita l’accoglimento della domanda alla sola declaratoria di nullità del contratto ed all’accertamento della complessiva consistenza degli addebiti illegittimi, rigettando la domanda di condanna al riaccredito , in quanto ritenuta essenzialmente sovrapponibile – nonostante la diversa terminologia utilizzata - all’azione ex art. 2033 c.c. Tuttavia, proprio valorizzando quanto pocanzi esposto in ordine alla obiettività diversità tra le due azioni, si impone l’ulteriore riflessione per cui, essendo il diritto di ottenere la rettifica diverso da quello volto ad ottenere una semplice declaratoria di nullità, ad esso non si applica l’art. 1422 c.c., bensì l’art. 2934 c.c., per cui ogni diritto si estingue per prescrizione , nell’ordinario termine decennale. Con riferimento al dies a quo , l’art. 2935 c.c. chiarisce che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere . Nel caso dell’azione di rettifica delle annotazioni contabili in conto corrente, è la stessa pronuncia della Suprema Corte SSUU n. 24418/10 pocanzi citata, a fornire implicitamente la soluzione dato che sin dal momento dell'annotazione il correntista potrà naturalmente agire per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso”, la prescrizione inizia a decorrere proprio dalla data delle singole annotazioni. Si sottolinea che tale soluzione non contrasta con le conclusioni raggiunte dalle medesime SSUU 24418/2010 per l’ipotesi di azione di condanna alla ripetizione delle rimesse indebite, dato che nel presente caso si discute di un’azione diversa dalla prima per presupposti ed effetti. Non si ritiene operante, invece, la prescrizione breve invocata dalla convenuta con specifico riguardo agli interessi attivi virtualmente maturati sul saldo rettificato, non essendo i medesimi all’evidenza né concretamente esigibili, né a fortiori quantificabili prima dell’eventuale accoglimento della domanda di rideterminazione .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 10 dicembre 2020 – 15 febbraio 2021, n. 3858 Presidente De Chiara – Relatore Fidanzia Fatti di causa Il Tribunale di Lecce - sezione distaccata di Campi S.na - sulla domanda proposta dalla G.D.C. s.r.l. contro il Banco San Paolo di Napoli avente ad oggetto la rideterminazione del saldo di dare-avere tra le parti del rapporto di apertura di credito in conto corrente acceso dalla predetta società nel omissis e chiuso in data omissis nonché la restituzione delle somme indebitamente versate all’istituto di credito in conseguenza dell’applicazione degli interessi debitori ad un tasso ultralegale, determinato con rinvio agli usi piazza , della illegittima capitalizzazione trimestrale dei medesimi interessi debitori, della illegittima applicazione di commissioni di massimo scoperto e valuta fittizia in difetto di contrattazione, ha condannato la Banca al pagamento della somma di Euro 380.505,82, oltre accessori di legge. La Corte d’Appello di Lecce, per quanto di interesse, in parziale riforma della sentenza di primo grado, previa integrazione della CTU, al fine di rivedere i conteggi già svolti in relazione all’eccezione di prescrizione alla luce della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 24418/2010, intervenuta nelle more del giudizio, ha condannato la Banca al pagamento della minor somma di Euro 357.593,92 oltre accessori. Il giudice di secondo grado ha applicato il principio di diritto elaborato dalle Sezioni Unite in tema di distinzione, nell’ambito di un contratto di apertura di credito in conto corrente, tra versamenti solutori e ripristinatori, dichiarando la prescrizione delle rimesse solutorie effettuate nel decennio anteriore alla notifica della domanda giudiziale in relazione alle risultanze della CTU Avverso la predetta hanno proposto ricorso per cassazione la G.d.C. s.r.l. in liquidazione affidandolo a due motivi. Il Banco di Napoli s.p.a. si è costituito in giudizio con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale. La ricorrente principale ha depositato controricorso al ricorso incidentale, depositando altresì la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo del ricorso principale è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2033, 2935, 2946 c.c., artt. 112, 115, 167 c.p.comma e art. 183 c.p.c., comma 6. Lamenta la ricorrente principale che la Corte d’Appello ha erroneamente accolto l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca, la quale si era limitata a far genericamente riferimento ai singoli pagamenti asseritamente non dovuti, senza indicare quali fossero le operazioni extrafido e senza precisare il momento iniziale dell’inerzia del correntista nell’esercizio del diritto. La banca avrebbe dovuto, invece, allegare, indicare e fornire la prova sia dei versamenti aventi funzione solutoria, sia di quelli aventi funzione ripristinatoria. 2. Il motivo è stato rinunciato dalla ricorrente principale con la memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c È stato, infatti, preso atto che, recentemente le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato il principio di diritto secondo cui, in tema di prescrizione estintiva, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte Sez. U. n. 15895 del 13/06/2019 . 3. Con il secondo motivo è stata dedotta l’omessa motivazione sull’appello incidentale proposto dalla ricorrente principale. Lamenta la G.D.C. s.r.l. in liquidazione che entrambi i giudici di merito non si sono pronunciati sulla richiesta di rimborso della somma di Euro 4.663,60 dalla medesima versata al proprio consulente di parte per la redazione della consulenza, resasi indispensabile per instaurare il presente giudizio. Tale questione era stata oggetto di discussione tra le parti, tanto è vero che la Banca nel grado di appello aveva eccepito nella sua prima comparsa conclusionale che l’appello incidentale era stato abbandonato in quanto non riproposto in sede di precisazione delle conclusioni. 4. Il motivo è infondato. Nel caso di specie, ad avviso di questo Collegio, l’appello incidentale proposto dalla ricorrente principale non doveva essere esaminato dalla Corte d’Appello, avendovi la parte rinunciato in considerazione della mancata riproposizione di tale domanda in sede di precisazione delle conclusioni. In proposito, è pur vero che questa Corte ha più volte statuito che affinché una domanda possa ritenersi abbandonata dalla parte, non è sufficiente che essa non venga riproposta nella precisazione delle conclusioni, costituendo tale omissione una mera presunzione di abbandono, dovendosi, invece, necessariamente accertare se, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte, o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla domanda pretermessa Cass. n. 15860 del 10/07/2014 vedi anche Cass. n. 31571/2019 . Tuttavia, nel caso di specie, la ricorrente, anche alla luce delle odierne allegazioni, non è stata in grado di superare la presunzione di abbandono, non essendo la domanda di cui al ricorso incidentale connessa a qualche altra domanda e non emergendo una inequivoca volontà di reiterarla esplicitamente. 5. Con il primo motivo del ricorso incidentale la Banca ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 1827 c.c., comma 2, art. 2934 c.c., comma 1, art. 2934 c.c., art. 6 Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, 1 Primo Protocollo Addizionale in relazione all’art. 117 Cost., comma 1, per avere la sentenza impugnata, a fronte dell’eccezione di prescrizione opposta dalla Banca, ritenuto suscettibile di prescrizione il solo diritto del correntista di ripetere le somme indebitamente pagate e non anche il diritto di ottenerne la rettifica. In subordine è stata sollevata la questione di incostituzionalità dell’art. 2935 c.comma nella parte in cui non dispone la decorrenza della prescrizione del diritto alla rettifica delle partite incluse nel conto corrente bancario dal giorno della relativa annotazione contabile. Espone l’istituto di credito di aver lamentato in appello la mancata prescrizione decennale degli interessi addebitati al cliente. In particolare, deduce che alle pagg. 6-7 dell’atto di appello aveva osservato che il diritto del cliente di contestare tutte le somme che illegittimamente la banca dovesse addebitargli sul conto corrente era soggetto alla prescrizione decennale, con decorrenza dal giorno in cui le operazioni contestate vengono effettuate o, al più, dal giorno in cui il cliente riceve gli estratti conto . Evidenzia che la sentenza delle Sezioni Unite n. 24418/2010 si è occupata della questione della prescrizione limitatamente alla domanda di restituzione dei pagamenti indebiti effettuati dal correntista, ma non ha formulato alcun principio in ordine alla prescrizione del diritto alla rettifica del conto previsto dall’art. 1827 c.c., comma 2 quale conseguenza della dichiarazione di nullità, annullamento, rescissione o risoluzione del titolo illegittimo. Osserva che se il cliente, da un lato, può agire senza limiti di tempo per far dichiarare la nullità di una certa pattuizione che dà titolo ad un certo addebito, dall’altro, non può ottenere eliminazione della relativa partita dal conto se l’addebito risale ad oltre dieci anni prima della domanda, essendosi il relativo diritto prescritto con il decorso del termine decennale. La sentenza impugnata avrebbe dunque dovuto rigettare ogni pretesa della correntista di rettifica delle risultanze contabili bancarie antecedenti al 18.10.1996, con conseguente abbattimento della somma dovuta dalla banca da secondo i prospetti della CTU da Euro 380.506,23 ad Euro 48.588,82. Inoltre, la fissazione di un termine di prescrizione alla rettifica si impone in ottemperanza del rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali ex art. 117 Cost., comma 1, atteso che l’art. 6 CEDU e art. 1 del protocollo addizionale alla stessa CEDU impongono ad ogni stato di prevedere per ogni potere o diritto esercitabile da ogni autorità o individuo un ragionevole termine di prescrizione, senza il quale sarebbero violate le garanzie di certezza giuridica e di definitività proprie del processo equo ex art. 6 CEDU. Si chiede, in ogni caso, la rimessione della causa alla Corte Costituzionale nei termini già sopra illustrati. 6. Il motivo è infondato. Va osservato che, ad avviso di questo Collegio, non esiste un diritto alla rettifica del conto autonomo rispetto al diritto di far valere la nullità, annullamento, rescissione o risoluzione del titolo a base dell’annotazione nel conto stesso. L’annotazione nel conto non è altro che la rappresentazione contabile di un diritto, non un diritto a sé allorché il titolo generalmente negoziale alla base di quel diritto viene dichiarato nullo oppure viene annullato, rescisso o risolto, viene meno il diritto stesso, e conseguentemente la nuova realtà giuridica trova una corrispondente rappresentazione contabile. D’altra parte, che la rettifica del conto non sia altro che una conseguenza automatica della declaratoria di illegittimità del titolo su cui sin fonda la stessa annotazione sul conto emerge con evidenzia dal seguente passaggio della citata sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 24418/2010 richiamato anche dalla ricorrente incidentale a pag. 13 , che non ha inteso affermare nulla di diverso . il correntista potrà naturalmente agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica del conto in suo favore delle risultanze del conto stesso . . È evidente quindi che ove venga dedotta la nullità del titolo in base al quale gli interessi sono stati annotati, essendo l’azione di nullità imprescrittibile a norma dell’art. 1422 c.c., l’operazione di rettifica sul conto non può essere sottoposta ad un termine predefinito, essendo legata inscindibilmente all’esito ed agli effetti dell’azione di nullità proposta, con la conseguenza che la rettifica del conto avrà sempre necessariamente luogo, senza limiti di tempo, in caso di accoglimento dell’azione di nullità che abbia dichiarato l’illegittimità del titolo su cui si è fondata l’annotazione sul conto. Tale conclusione è anche conforme con quanto affermato dalla Consulta, nella sentenza n. 78 del 2012, quando è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della L. 26 febbraio 2011, n. 10, art. 2, comma 61 di conv. del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225 . In particolare, la Corte Costituzionale, al punto 12, nell’interrogarsi sul significato della norma censurata che, con riguardo alle operazioni bancarie in conto corrente, aveva individuato, con effetto retroattivo, il dies a quo della prescrizione nella data di annotazione in conto dei diritti nascenti dall’annotazione stessa, ha così osservato In proposito, si deve osservare che non è esatto come pure è stato sostenuto che con tale espressione si dovrebbero intendere i diritti di contestazione, sul piano cartolare, e dunque di rettifica o eliminazione delle annotazioni conseguenti ad atti o negozi accertati come nulli, ovvero basati su errori di calcolo. Se così fosse, la norma sarebbe inutile, perché il correntista può sempre agire per far dichiarare la nullità - con azione imprescrittibile art. 1422 c.c. - del titolo su cui l’annotazione illegittima si basa, e, di conseguenza, per ottenere la rettifica in suo favore delle risultanze del conto . . In conclusione, proprio perché la rettifica di una annotazione in conto corrente non è un diritto a sé stante, ma soltanto la rappresentazione contabile della nuova realtà giuridica che si instaura a seguito dell’esercizio di un diritto azione finalizzata ad accertare l’illegittimità del titolo su cui l’annotazione si fondava , oltre ad essere infondata la pretesa della banca di ottenere la prescrizione di un diritto alla rettifica , è, altresì, manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale prospettata dalla banca, parimenti erroneamente impostata sulla costruzione della rettifica delle partite incluse nel conto corrente bancario, quale diritto a sé stante soggetto ad un termine di prescrizione. 7. In via subordinata, con il secondo motivo di ricorso incidentale è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1185 c.c., comma 2, art. 1843 c.c., comma 1 e art. 2033 c.c Espone la Banca che la distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie accolta dalla Corte d’Appello in conformità alla già citata sentenza delle Sezioni Unite non ha alcun fondamento giuridico in materia di condictio indebiti. In particolare, rileva che anche una rimessa c.d. ripristinatoria presenta le caratteristiche di un pagamento, comportando anch’essa uno spostamento di ricchezza dal correntista alla banca, dato che riduce od azzera sia pure solo provvisoriamente l’esposizione debitoria del correntista nei confronti della banca, con il correlativo vantaggio di non dover pagare alla banca gli interessi passivi altrimenti dovuti. Infine, il pagamento di un debito non immediatamente esigibile - quale quello che nasce per effetto dell’utilizzo dell’apertura di credito - rientra anch’esso nella nozione di pagamento, costituendo un pagamento anticipato a norma dell’art. 1185 c.c., comma 2. In conclusione, la Corte d’Appello avrebbe dovuto ritenere non più ripetibili in quanto già prescritti tutti i versamenti, di qualsiasi tipologia, effettuati dalla correntista nel periodo antecedente al 18.10.1996. 8. Il motivo è infondato. Va preliminarmente osservato che questa Corte condivide pienamente il principio elaborato della sentenza delle Sezioni Unite n. 24418 del 2 dicembre 2010 - ed intende darvi continuità - secondo cui costituiscono pagamento in senso tecnico determinando uno spostamento di ricchezza a favore della banca solo le c.d. rimesse solutorie, ovvero i versamenti effettuati dal correntista su un conto corrente per il quale vi sia stato uno sconfinamento rispetto al fido concesso oppure su un conto corrente ab origine non affidato. Con riferimento, invece, alle rimesse c.d. ripristinatorie, che affluiscono su un conto non scoperto ma solo passivo - non essendovi stato sconfinamento rispetto al limite di affidamento - non può parlarsi tecnicamente di pagamento atteso che, con quei versamenti, il correntista si limita a ripristinare la provvista, non determina alcuno spostamento patrimoniale a favore della banca, potendo riutilizzare in qualsiasi momento la somma versata sul conto corrente, che la banca è contrattualmente obbligata a tenere a disposizione del cliente fino alla eventuale revoca dell’affidamento. Nè, d’altra parte, può neppure parlarsi di pagamento anticipato, a norma dell’art. 1185 c.c., comma 2, trattandosi di un credito solo eventuale che potrebbe anche non esistere all’atto della chiusura del conto coincidente con la revoca dell’affidamento se avvenuta su iniziativa della banca , momento comunque solo in coincidenza del quale potrebbe parlarsi di credito definitivo ed esigibile. Con la rimessa ripristinatoria si ha quindi solo una riespansione, nella misura corrispondente fino al limite contrattualmente fissato , dell’affidamento originariamente concesso e non può configurarsi in alcun modo un pagamento. Una tale conclusione è pienamente conforme a quanto affermato dalla citata sentenza delle S.U. n. 24418/2010 al punto 3.3., secondo cui .un versamento eseguito dai cliente su un conto il cui passivo non abbia superato il limite dell’affidamento concesso dalla banca con l’apertura di credito non ha nè lo scopo nè l’effetto di soddisfare la pretesa della banca medesima di vedersi restituire le somme date a mutuo credito che, in quel momento, non sarebbe scaduto nè esigibile , bensì quello di riespandere la misura dell’affidamento utilizzabile nuovamente in futuro dal correntista. Non è, dunque, un pagamento, perché non soddisfa il creditore, ma amplia o ripristina la facoltà d’indebitamento del correntista e la circostanza che, in quel momento, il saldo passivo del conto sia influenzato da interessi illegittimamente fin lì computati si traduce in un’indebita limitazione di tale facoltà di maggior indebitamento, ma non nel pagamento anticipato di interessi . . 9. In via ulteriormente subordinata, con il terzo motivo del ricorso incidentale, è stata dedotta la violazione dell’art. 1193 c.c., comma 2, art. 1194 c.c., comma 2, art. 1815 c.c., comma 1, artt. 1843, 1826 e 1857 c.comma nonché degli artt. 2033 e 2946 c.c Lamenta il ricorrente - dopo aver premesso che, avendo che la Corte d’Appello motivato per relationem alla CTU, le proprie critiche alla sentenza non possono che investire, nella sostanza, la stessa consulenza - che il C.T.U. e quindi il giudice d’appello nell’aderire integralmente alle conclusioni di quest’ultimo è incorso in errori di diritto nell’individuare i crediti liquidi ed esigibili della banca ai quali imputare i pagamenti intervenuti nel corso del rapporto, come del resto già contestato dal proprio consulente di parte nel corso delle operazioni peritali sub. Allegato 4/C della CTU di secondo grado, prodotta dalla ricorrente incidentale nel presente grado come docomma 10 . In particolare, sostiene la Banca che erroneamente nella relazione di consulenza è stato seguito il metodo di calcolo in base al quale, quando l’addebito degli interessi non ha comportato il superamento del limite dell’affidamento ovvero quando al momento dell’addebito degli interessi il conto non presentava un saldo oltre il fido , la successiva rimessa non è stata ritenuta come un pagamento, come tale soggetto a prescrizione. Tale criterio selettivo delle rimesse solutorie adottato dal CTU, e fatto proprio dalla Corte d’Appello, si porrebbe in palese contrasto con le regole di imputazione dei pagamenti e con gli stessi principi stabiliti dalla sentenza S.U. n. 24418/2010. Ad avviso dell’istituto di credito, dato che l’art. 1194 c.c., comma 2 impone di imputare un pagamento prioritariamente al debito per interessi del correntista, una rimessa deve essere sempre e comunque prioritariamente imputata al debito per interessi e ciò sia che gli interessi vengano addebitati quando il conto era ancora passivo, incrementando il saldo passivo del conto, sia che sia proprio il loro addebito a determinare il superamento del limite del fido, sia che gli stessi vengano addebitati quando il conto era già scoperto per i precedenti addebiti. In tutti e tre i casi, ad avviso dell’istituto ricorrente incidentale, saremmo sempre in presenza di interessi immediatamente esigibili, potendo la banca, quando abbia erogato credito fino a revoca o scadenza come nell’apertura di credito , comunque, esigere, come in qualsiasi finanziamento, il pagamento degli interessi, anche ove il loro addebito sul conto non comporti il superamento del fido. Nell’ipotesi in esame, l’esigibilità sarebbe trimestrale, mediante l’addebito sul conto, essendo l’apertura di credito regolata su un conto corrente il cui contratto prevede la chiusura trimestrale dei conti, nel caso di conti a debito. 10. Il motivo è infondato. Si deve ribadire che solo le rimesse solutorie, come individuate secondo il criterio indicato dalla più volte citata sentenza delle S.U. del 2010, possono configurarsi come pagamento ai sensi dell’art. 1194 c.c., comma 2. Ne consegue che, premesso, che, come già evidenziato da questa Corte Cass. n. 9141/2020 , al fine di verificare se un versamento abbia avuto natura solutoria o ripristinatoria, occorre previamente eliminare tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall’istituto di credito e conseguentemente rideterminare il reale saldo del conto - nel caso di specie, secondo quanto riportato dalla sentenza impugnata, già il Tribunale aveva provveduto alla ricostruzione del saldo del conto con l’applicazione dei soli interessi semplici sulle somme dovute - è ammissibile l’imputazione di un pagamento per interessi solo in quanto questi interessi una volta depurati della componente anatocistica illegittimamente addebitata siano stati annotati su un conto corrente che presenti un saldo debitore che ecceda i limiti dell’affidamento. Ove sia stato proprio l’addebito degli interessi, come sopra quantificati, a determinare il superamento del limite del fido, rivestirà funzione solutoria solo quella parte di rimessa pari alla differenza tra lo scoperto ed il limite del fido e potrà provvedersi all’imputazione del pagamento ex art. 1194 c.c., comma 2 limitatamente a questa parte. Nel caso, invece, in cui l’annotazione degli interessi avvenga su un conto che presenti un passivo che rientri nei limiti dell’affidamento e neppure la stessa annotazione determini il superamento di tale limite, la successiva rimessa avrà una mera funzione ripristinatoria della provvista e non potrà mai provvedersi ad un’imputazione ex art. 1194 c.c., comma 2, difettando l’indefettibile presupposto del pagamento . Conseguenza di tale ragionamento è che erra la banca nel sostenere che gli interessi passivi che vengano annotati trimestralmente dalla banca nell’ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente che presenta un saldo debitore siano sempre e comunque esigibili, pur se addebitati intrafido , determinando, in questo caso, la loro annotazione solo la riduzione del credito di cui il correntista dispone nei limiti dell’affidamento. Tale affermazione si fonda sull’erroneo convincimento, già oggetto di esame nel precedente punto 8, secondo cui anche il versamento di una rimessa c.d. ripristinatoria costituirebbe un pagamento in senso tecnico-giuridico. Nè, peraltro, l’immediata esigibilità degli interessi, pur intrafido , può derivare - come sostiene l’istituto di credito nel caso di specie - dalla mera chiusura trimestrale del conto prevista dal conto contratto di conto corrente per i soli conti a debito prima della Delib. CICR 9 febbraio 2000 , non potendo la disciplina di tale contratto prescindere non solo dall’apertura di credito che allo stesso accede, ma anche dalle concrete modalità di utilizzazione del fido. Alla luce di quanto sopra illustrato, deve formularsi il seguente principio di diritto Nei contratti di conto corrente bancario cui acceda un’apertura di credito, il meccanismo di imputazione del pagamento agli interessi, di cui all’art. 1194 c.c., comma 2, trova applicazione solo ove sia configurabile un pagamento in senso tecnico-giuridico, ovvero in presenza di un versamento avente funzione solutoria in quanto eseguito su un conto corrente avente un saldo passivo che ecceda i limiti dell’affidamento ne consegue che non può mai configurarsi un’imputazione ad interessi ex art. 1194 c.c., comma 2, non essendo questi immediatamente esigibili, ove l’annotazione di tali interessi avvenga su un conto che presenti un passivo rientrante nei limiti dell’affidamento e neppure la stessa annotazione determini il superamento di tale limite, avendo la successiva rimessa una mera funzione ripristinatoria della provvista . In ragione della reciproca soccombenza tra le parti sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese di lite del presente grado. P.Q.M. Rigetta il ricorso principale. Rigetta il ricorso incidentale. Compensa integralmente tra le parti le spese di lite. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte di entrambe le parti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.