Beni non conformi: la scelta della riparazione non preclude la richiesta giudiziale di risoluzione del contratto

In tema di vendita di beni di consumo affetti da vizio di conformità, ove l’acquirente abbia inizialmente richiesto la riparazione del bene, non è preclusa la possibilità di agire per la risoluzione del contratto, ove sia scaduto il termine ritenuto congruo per la riparazione, senza che il venditore vi abbia tempestivamente provveduto, ovvero se la stessa abbia arrecato un notevole inconveniente.

Qualora, per ragioni legate alla non conformità del bene e all’inefficacia o mancata esecuzione dei rimedi primari della riparazione e sostituzione, non ne sia stato possibile un uso proprio” secondo quanto disposto dall’articolo 129 cod. cons., in sede di restituzione del prezzo non è dovuta al venditore l’indennità compensativa. Tale in sintesi il contenuto dell’ordinanza della Corte di Cassazione numero 22146, depositata il 13 ottobre 2020, che ora andiamo ad analizzare più da vicino. Un uomo citava in giudizio la concessionaria dove aveva acquistato la propria auto chiedendo che ne fosse accertata la responsabilità per difetto di conformità del bene venduto ai sensi dell’articolo 1519 quater c.c. e dunque fosse condannata, in via principale, alla sostituzione con altra vettura e, in subordine, alla risoluzione del contratto con conseguente restituzione del prezzo. L’attore esponeva di avere acquistato l’auto nell’anno 2002 e che sin dai primi mesi si era verificata una fuoriuscita di fumo nero dal veicolo che causava l’arresto del veicolo costringendolo a chiedere il soccorso stradale. Persistendo ulteriormente il difetto nonostante numerosi interventi, l’uomo chiedeva la sostituzione del mezzo la richiesta veniva però respinta dalla casa automobilistica, secondo la quale gli interventi della concessionaria incaricata alla riparazione dell’auto avevano risolto i problemi creati dal difetto. Sino a che nel 2004, all’ennesimo verificarsi del problema, dopo avere portato l’auto presso la incaricata della riparazione che solo in quell’occasione effettuava ben sette interventi di riparazione , citava in giudizio il venditore, il quale chiamava in manleva la casa automobilistica e la incaricata della riparazione. Il Tribunale, in seguito all’istruttoria, riconosceva il venditore responsabile del difetto di conformità , per la mancata riparazione del bene entro tempi congrui e per il diniego alla richiesta di sostituzione. Il bene non era sostituibile perché ormai fuori commercio, per cui il Tribunale dichiarava risolto il contratto e condannava il venditore alla restituzione del prezzo. Inoltre, accogliendo le domande di manleva, condannava la casa automobilistica a manlevare gli altri convenuti. Questa ricorreva in appello sostenendo la violazione di cui due commi dell’ articolo 1519- quater c.c. il comma 9, perché avendo il consumatore accettato il rimedio della riparazione, ed essendo i vari rimedi previsti dalla norma tra loro alternativi, aveva rinunciato agli altri ed il comma 8, in quanto il Tribunale, nel condannare alla restituzione del prezzo, non aveva tenuto conto dell’uso che era stato fatto del bene. Inoltre, affermava che l’ultima riparazione risultava essere stata effettuata quando il veicolo aveva percorso 20.000 chilometri, dunque in tempi congrui. L’appello veniva respinto con conferma integrale della sentenza di primo grado . La Corte territoriale osservava che il problema esisteva ancora, dopo più di un anno e mezzo dall’acquisto, per cui non era addebitabile alcunché all’attore, il quale a quel punto, non confidando più nelle soluzioni del venditore, si era rivolto al giudice peraltro, prima di iniziare il giudizio, egli aveva formulato la richiesta di sostituzione del bene, che gli era stata negata. Inoltre, considerate l’importanza della spesa sostenuta dall’attore e i numerosi interventi eseguiti invano, il difetto non era da considerarsi lieve e dunque la risoluzione del contratto fondata. Non erano poi considerate valide le contestazioni riguardanti l’ alternatività dei rimedi previsti dalla lettura della norma si evinceva con chiarezza che i rimedi fossero formulati in modo progressivo tali da garantire in un primo momento, la conservazione del contratto e, quando ciò sia possibile, da permettere al consumatore di ottenere la riduzione del prezzo o la risoluzione . Per la Corte erano da respingersi anche le argomentazioni circa la congruità del tempo atteso per le riparazioni, la norma non prevedeva un tempo congruo entro cui dovevano utilizzarsi i rimedi primari” ma forniva i criteri per valutare tale congruità, tra cui la necessità che non siano causati gravi inconvenienti al consumatore, nonchè la considerazione della natura del bene e dello scopo per cui è acquistato. Pertanto non poteva definirsi congruo il tempo dell’attesa del consumatore, giunto almeno sino al 2005, anno in cui si era avuta la riparazione più duratura, anche se non definitiva, dunque a distanza di tre anni dall’acquisto, a controversia iniziata e nonostante fosse stata avanzata la richiesta di sostituzione, di un bene, quale è l’auto, che serve per le esigenze della quotidianità il tutto induceva a ritenere superato ogni limite di ragionevolezza” in considerazione dei disagi subiti dal consumatore. Quanto alla contestazione ex articolo 1519- quater, comma 8, c.c., la Corte richiamava la sentenza della CGUE del 17 aprile 2008 che ha escluso, in presenza di non conformità di prodotto rilevante che comporti la sostituzione, che il venditore possa pretendere un’indennità per l’uso da parte del consumatore. Nel caso di specie, ove a distanza di più di un anno dall’acquisto il problema non era stato risolto né era stata accettata la richiesta di sostituzione del bene, nessun onere poteva essere messo a carico dell’acquirente per avere utilizzato il bene mediante la riduzione del prezzo da restituire . In cassazione la casa automobilistica ricorre con due motivi di ricorso. Con il primo motivo si contesta la violazione in sentenza dell’articolo 1519 quater co. 5 e 9 lett. a c.c. per non avere ritenuto l’accettazione del rimedio proposto dal venditore come estintiva del diritto di scegliere altri rimedi. La Corte territoriale aveva disatteso le previsioni di cui all’articolo 1519 quater co. 5 e 7 ed il consumatore aveva dunque avuto una condotta contraria a buona fede perché, pur avendo optato per la riparazione offerta, aveva poi chiesto la sostituzione solo perché la riparazione era stata eseguita oltre il termine congruo. Con il secondo motivo si contesta la violazione dell’articolo 1519 quater co.8 c.c., perché la sentenza non aveva tenuto conto, ai fini della quantificazione dell’importo da restituire dell’uso che era stato fatto. Secondo il ricorrente, il richiamo operato dalla sentenza dell’appello alla sentenza della GCUE sarebbe scorretto. Secondo il considerando della direttiva numero 44/1999, il tenore letterale del citato co. 8, e la dottrina richiamata dal ricorrente, il richiamo alla detta sentenza sarebbe inconferente in quanto quei principi erano riferiti al caso della sostituzione e non della risoluzione per la quale anzi si riteneva che la detta indennità dovesse applicarsi . La conclusione cui è giunta la Corte territoriale impedirebbe l’applicazione dell’articolo 1519 quater co.8 c.c. e in quanto in tutti i casi in cui è legittimata la risoluzione è legittimata anche la sostituzione. Per la Corte sono infondati entrambi motivi. La scelta della riparazione del bene non conforme non preclude la richiesta di risoluzione del contratto. Quanto al primo, si rileva che nelle norme consumeristiche, allo scopo di perseguire il principio di conservazione del contratto, sono previsti in gerarchia una serie di rimedi, distinti in primari e secondari la gerarchia va rispettata dal consumatore, che però resta libero di scegliere, una volta rispettato l’ordine progressivo dei rimedi. Come emerge dal dato letterale ed è affermato in dottrina, in una prima fase il consumatore deve scegliere tra sostituzione e riparazione e, solo se ciò non sia possibile o è manifestamente oneroso, può ricorrere ai c.d. rimedi secondari, che non sono altro che la riproposizione in materia consumeristica delle tradizionali azioni edilizie . La subordinazione tra le due categorie di rimedi impedisce che essi possano considerarsi alternativi l’unico onere per il consumatore è che egli si deve avvalere prima dei primari e, solo se il problema non si risolve, dei secondari. D’altro canto, osserva la Corte, che la scelta di un rimedio non estingua la scelta degli altri lo conferma il co.7 alla cui lettura si rimanda . Il comma 5, continua la Corte, dispone che riparazioni e sostituzioni devono essere effettuate entro un tempo congruo dalla richiesta e senza arrecare notevoli inconvenienti al consumatore, in considerazione della natura del bene e dello scopo per cui esso è acquistato. Secondo l’interpretazione estensiva dell’articolo 3 par.3 della Dir. numero 44/1999 del Consiglio di Stato nella sentenza numero 5250/2015, la riparazione e la sostituzione di un bene non conforme vanno eseguite non solo senza spese ma entro un tempo ragionevole e senza provocare notevoli inconvenienti al consumatore. Un triplice requisito” attraverso cui il Legislatore dell’Unione prevede per il consumatore una tutela effettiva”. Aggiungasi che per la norma la congruità del termine va valutata alla luce della natura del bene e dello scopo dell’acquisto. Ciò premesso, per la Corte di Cassazione la sentenza dell’appello ha correttamente applicato l’articolo 1519- quater, commi 5 e 7, c.c. dal momento che ha ritenuto legittima la richiesta di risoluzione effettuata dopo che né con la riparazione né con la sostituzione negata senza valida giustificazione pur in presenza di difetti che rendevano il bene inidoneo ad essere utilizzato e non essendo state risolutive le riparazioni il problema si era risolto. Ricorda la Corte che un suo recente precedente Cass. numero 10453/2020 ha affermato che, a proposito di vendita di beni di consumo, con vizio di conformità, ove sostituzione e riparazione non siamo state impossibili né eccessivamente onerose, il consumatore, scaduto un termine congruo o qualora abbia subito dalle stesse un notevole inconveniente, può agire per la riduzione del prezzo o la risoluzione anche qualora il difetto sia di lieve entità. La Corte di merito, con una sua valutazione di fatto, insindacabile in grado di Legittimità, ha ritenuto che nel caso concreto – ove il giudice era stato adìto a distanza di due anni dall’acquisto, durante i quali i numerosi interventi di riparazione non avevano risolto il problema e tenuto conto della natura del bene dello scopo dell’acquisto – si fosse superato ogni limite di ragionevolezza”, anche per gli intuibili disagi” subiti dall’acquirente. La Corte afferma quindi il seguente principio di diritto In tema di vendita di beni di consumo affetti da vizio di conformità, ove l’acquirente abbia inizialmente richiesto la riparazione del bene, non è preclusa la possibilità di agire per la risoluzione del contratto, ove sia scaduto il termine ritenuto congruo per la riparazione, senza che il venditore vi abbia tempestivamente provveduto, ovvero se la stessa abbia arrecato un notevole inconveniente . L’assenza di uso proprio” del bene impedisce il versamento di un’indennità compensativa. Come detto, anche il secondo motivo è ritenuto infondato dalla Corte. Essa non ignora che un suo recente precedente ha affermato il principio per cui in virtù del sinallagma che caratterizza il contratto di vendita ed in considerazione degli effetti retroattivi della risoluzione contrattuale ex articolo 1458 c.c. in correlazione con l’articolo 1493 c.c. nella quantificazione del prezzo che dev’essere restituito al compratore della vettura, che abbia vinto l’azione redibitoria, deve considerarsi anche l’uso che questi ne ha fatto onde garantire l’equilibrio tra le prestazioni restitutorie ed evitare un arricchimento ingiusto da parte dell’acquirente che abbia fatto uso del bene accertato esser viziato e non completamente atto all’uso , determinandone anche una riduzione del valore il richiamo è a Cass. numero 16077/2020 . Aggiunge inoltre che in effetti non è del tutto corretto il richiamo operato nella sentenza impugnata all’interpretazione data dell’articolo 3 comma 3 Dir. cit. dalla sentenza GCUE cit. ove, come rilevato dal ricorrente, il riferimento era al caso della sostituzione e non della risoluzione. Si rileva però che nella fattispecie concreta, la Corte d’Appello ha motivato l’accoglimento della domanda attorea con un attento riferimento alla situazione fattuale alla luce della quale, per l’intensità e la frequenza degli episodi di malfunzionamento – che richiedevano la chiamata del soccorso stradale senza che si potesse raggiungere autonomamente l’officina - i numerosi interventi di riparazione e la richiesta insoddisfatta di sostituzione, il consumatore non aveva potuto effettuare un uso regolare del veicolo”. Dunque, deve escludersi che sia stato fatto un uso proprio” del bene a cui si riferiva l’articolo 1519- ter c.c. in particolare poi, la non conformità del bene emerge dalla lettura delle lett. a e c della norma secondo cui i beni sono conformi se idonei all’uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo” e presentano la qualità e le prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo, che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi”, elementi che, nella specie, per la Corte d’Appello mancavano. Il motivo, in definitiva, sebbene denunci la violazione di una norma, in realtà per la Corte tende ad ottenere una nuova valutazione di fatto, preclusa in terzo grado. Ricordiamo che gli artt. 1519- ter e quater c.c. sono stati abrogati e sostituiti dal d.lgs. numero 205/2006, il codice del consumo si v. ora gli artt. 129 e 130 .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 23 settembre – 14 ottobre 2020, n. 22146 Presidente Lombardo – Relatore Criscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione Con sentenza n. 1767/2010 il Tribunale di Sassari accoglieva la domanda proposta da U.M. nei confronti della D. Auto ora D. Auto 2 s.r.l. volta a sentire accertata la responsabilità della convenuta ai sensi dell’art. 1519 quater c.c., per difetto di conformità del bene venduto Renault Vel Satis preesistente alla consegna, e per l’effetto condannarla, in via principale, alla sostituzione con altra autovettura nuova ovvero di tipo diverso e di valore equivalente e, in via subordinata, alla risoluzione del contratto di compravendita del 7 ottobre 2002 con la conseguente restituzione del prezzo versato. In citazione U.M. affermava di aver acquistato l’autovettura nel 2002 dalla D. s.r.l., e che sin dai primi mesi successivi all’acquisto, si verificava la fuoriuscita di fumo nero dal veicolo, che provocava la perdita di potenza del motore, fino all’arresto, costringendo l’attore a sollecitare il soccorso stradale per recarsi in officina ed usufruire di una vettura di cortesia. Nonostante diverse riparazioni circa cinque alla data del 19 dicembre 2003 il veicolo continuava a presentare tale difetto, ragion per cui l’U. chiedeva al venditore la sostituzione dell’auto con altra nuova, negata dalla Renault Italia in quanto la stessa contestava il proprio inadempimento, assumendo che la concessionaria s.p.a. aveva risolto i problemi legati al difetto lamentato. Nel 2004, ripetendosi nuovamente l’inconveniente descritto, consegnata l’auto alla , che la sottoponeva ad altri sette interventi di riparazione, M. U. decideva di agire in giudizio citando davanti al Tribunale di Cagliari la D A seguito di chiamata in manleva proposta dalla convenuta, il contraddittorio veniva integrato nei confronti della s.p.a., concessionaria della Renault, incaricata dalla convenuta della riparazione dell’auto, nonché della Renault Italia S.p.A. Istruita la causa, il Tribunale accertava che il vizio dell’auto dipendeva dal cattivo funzionamento del programma di gestione della valvola EGR, e pertanto riteneva la D. responsabile per il difetto di conformità, nonché per la mancata riparazione del bene viziato entro tempi congrui e per il diniego opposto alla richiesta di sostituzione dell’autovettura. Data l’impossibilità di sostituire il bene, in quanto fuori commercio, il Tribunale dichiarava risolto il contratto di compravendita e condannava il rivenditore alla restituzione del prezzo. Infine, in accoglimento delle domande di manleva formulate dalla D. e dalla , dichiarava la Renault Italia s.p.a. tenuta a manlevare gli altri convenuti. Quest’ultima appellava la sentenza dinanzi alla Corte di Cagliari sul presupposto di una duplice violazione dell’art. 1519 quater c.c., sia con riferimento al comma 9, posto che l’U. , avendo accettato il rimedio della riparazione dell’auto ed essendo i vari rimedi tra loro alternativi, aveva sostanzialmente rinunciato ad avvalersi degli ulteriori rimedi previsti dalla norma, sia con riferimento al comma 8, nei termini in cui il Tribunale, nel condannare il venditore alla restituzione del prezzo, non aveva tenuto conto dell’uso che del bene era stato fatto. Peraltro, assumeva un’errata valutazione del materiale istruttorio, in quanto da esso era desumibile che l’ultima riparazione era stata effettuata dopo che il veicolo aveva percorso ventimila chilometri, e dunque, in tempi congrui rispetto a quanto ritenuto dal giudice di primo grado. Si costituiva in appello U.M. per chiedere il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza appellata si costituivano altresì la s.p.a. e la D. Auto 2 s.r.l., rilevando, la prima, che l’appellante non aveva impugnato la statuizione della domanda relativa all’accoglimento della domanda di manleva e, la seconda, che lo stesso non aveva impugnato la statuizione relativa alla domanda di regresso entrambe chiedevano l’accoglimento dell’appello. A seguito del fallimento della s.p.a. il giudizio veniva interrotto e, quindi, riassunto dalla Renault s.p.a. il fallimento non si costituiva e rimaneva, dunque, contumace. Esaurita la trattazione della causa, la Sezione distaccata di Sassari della Corte d’appello di Cagliari, con sentenza n. 114/2018 respingeva l’appello della Renault Italia s.p.a. e confermava integralmente la sentenza del giudice di primo grado. Dagli atti di causa emergeva, infatti, che a più di un anno e mezzo di distanza dall’acquisto il problema perdurava, ragion per cui non era imputabile alcun addebito all’attore, il quale ritenendo di non poter più confidare nelle soluzioni prospettate dal venditore, aveva fondatamente agito in giudizio d’altra parte prima di esercitare la propria azione, aveva richiesto la sostituzione del bene, ma questa era stata negata dalla Renault Italia s.p.a. Considerata la considerevole somma spesa dall’attore e le numerose riparazioni non risolutive apportate al veicolo senza che venisse individuata la causa del guasto, ben poteva considerarsi il bene come presentante un difetto di conformità non lieve, tale da giustificare la risoluzione del contratto. Prive di pregio erano poi le censure relative all’alternatività dei rimedi dalla semplice lettura della norma era facilmente ricavabile come i rimedi previsti a tutela del consumatore fossero rimedi formulati in modo progressivo tali da garantire, in un primo momento, la conservazione del contratto e, quando ciò sia impossibile, da permettere al consumatore di ottenere la riduzione del prezzo o la risoluzione. La Corte giudicava altresì infondate le affermazioni relative alla congruità temporale entro cui le riparazioni erano state effettuate, statuendo che la norma non fissava un termine oltre il quale i rimedi primari non potessero più considerarsi congrui, ma stabiliva solo i parametri per valutare tale congruità, tra cui la necessità di non arrecare notevoli inconvenienti al consumatore e la presa in considerazione della natura del bene e dello scopo per cui è stato acquistato. Sulla base di ciò non poteva definirsi congruo il tempo impiegato per riparare il difetto del veicolo, dal momento che l’auto è un bene che serve normalmente a far fronte ad esigenze quotidiane e che la riparazione più duratura - ma non definitiva - si era avuta solo nel 2005, quando la controversia aveva già avuto inizio ed in via stragiudiziale era stata già richiesta la sostituzione, a distanza di quasi tre anni dall’acquisto, il che induceva a ritenere che fosse stato superato ogni limite di ragionevolezza , tenuto conto degli intuibili disagi sopportati dall’acquirente . Da ultimo, con riferimento alla doglianza relativa alla pretesa violazione dell’art. 1519 quater c.c., comma 8, la Corte disattendeva le censure della Renault richiamando la normativa comunitaria e la sentenza del 17 aprile 2008 della CGUE secondo cui in presenza di una non conformità al prodotto di grado rilevante che richieda la sostituzione del bene, resta escluso per il venditore di pretendere dal consumatore una indennità per l’uso di tale bene . Nel caso di specie, trascorso più di un anno senza che il problema fosse risolto e senza che fosse stata accettata la richiesta di sostituzione fatta dall’U. , alcuna responsabilità era a lui imputabile sicché l’uso che egli aveva fatto dalla macchina non poteva essere posto a suo carico mediante la diminuzione di prezzo. Confermata integralmente la sentenza di primo grado, dunque, la Corte rigettava l’appello e condannava la Renault Italia s.p.a. e la D. auto 2 s.r.l. al pagamento delle spese di lite. Propone oggi ricorso per cassazione la Renault Italia s.p.a. affidandosi a due motivi di ricorso. Ha resistito con controricorso U.M. , mentre la D. Auto 2 s.r.l. e il Fallimento . non hanno svolto difese in questa fase. Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’artt. 1519 quater c.c., comma 5 e comma 9, lett. a in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere ritenuto l’accettazione da parte del consumatore del rimedio alternativo proposto dal professionista per l’eliminazione del difetto di conformità del bene di consumo, estintivo del diritto del consumatore di esigere altri rimedi, oltre quello ricevuto . Sostiene la Renault Italia s.p.a. che il consumatore, avendo accettato la proposta del venditore di una nuova riparazione che avrebbe portato all’eliminazione del difetto e al ripristino della conformità, avrebbe esaurito i rimedi a propria disposizione, ma nonostante ciò, la Corte territoriale, nell’addivenire alla risoluzione del contratto, avrebbe disatteso le disposizioni dell’art. 1519 quater c.c., commi 5 e 7, ritenendo non vincolante la circostanza dell’accettazione della riparazione. La norma, che stabilisce i rimedi distinguendoli in primari e secondari, limita la pretesa del consumatore nel senso che quando il consumatore accetta il rimedio offerto dal professionista esaurisce i rimedi a propria disposizione senza possibilità di avvalersi anche degli altri. L’U. pertanto, tenendo una condotta contraria al principio di buona fede, avrebbe chiesto la risoluzione dopo aver accettato la riparazione offerta dal professionista, solo perché questa era stata eseguita oltre il termine congruo. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’artt. 1519 quater c.c., comma 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere tenuto conto, nella determinazione dell’importo da restituire a seguito della risoluzione del contratto, dell’uso che è stato fatto del bene di consumo, ritenendo invece che la norma vada interpretata nel senso che andrebbe esclusa un’indennità per l’uso di tale bene quando sullo stesso si siano manifestati difetti di conformità di grado tale da richiedere la sostituzione . Parte ricorrente ritiene del tutto errata la decisione della Corte d’appello nella parte in cui si è fondata sull’interpretazione dell’art. 1519 quater c.c., comma 8 resa dalla Corte Eurounitaria, secondo cui ogni volta che il difetto di conformità del bene sia di entità tale da giustificarne la sostituzione resterebbe precluso al giudice di tenere conto dell’uso dello stesso nella determinazione della somma da restituire o ridurre. Alla luce del considerando 15 della direttiva n. 44 del 1999 e del tenore letterale del comma 8, anche alla luce della dottrina che parte ricorrente richiama, il riferimento a quanto affermato dalla Corte di Giustizia sarebbe del tutto inconferente nel caso di specie. I principi affrontati dalla Corte di Giustizia attenevano al rimedio della sostituzione del bene e dunque non potevano essere mutuati all’ipotesi della risoluzione del contratto peraltro, la stessa Corte riteneva pacifico che l’indennità si applicasse all’ipotesi della risoluzione del contratto. Condividendo le statuizioni del giudice del merito si perverrebbe a una sistematica negazione dell’applicazione dell’art. 1519 quater c.c., comma 8, in quanto in tutte le ipotesi in cui il vizio del bene legittimi il consumatore a chiedere la risoluzione, lo stesso vizio lo legittimerebbe a chiedere anche la sostituzione. Il primo motivo di ricorso non è fondato. Nella disciplina consumeristica il legislatore, nell’ottica di dare risalto al principio di conservazione del contratto, ha optato per una gerarchia dei rimedi a tutela del consumatore, distinguendo rimedi primari e rimedi secondari, e imponendo al consumatore di attenersi a tale gerarchizzazione, ma lasciandolo libero di scegliere il rimedio per lui più conveniente, una volta rispettato l’ordine dei rimedi in via progressiva. Come emerge innanzitutto dal dato normativo, e come pacificamente si afferma in dottrina, nel caso di non conformità del bene al contratto, il consumatore è tenuto a chiedere in un primo momento la sostituzione ovvero la riparazione del bene, e solo qualora ciò non sia possibile, ovvero sia manifestamente oneroso, è legittimato ad avvalersi dei cd. rimedi secondari, che non sono altro che la riproposizione in materia consumeristica delle tradizionali azioni edilizie. È proprio la previsione della subordinazione di una classe di rimedi ad un’altra che impedisce di ritenere che essi siano alternativi, in quanto l’unico onere imposto al consumatore è che egli debba avvalersi prima dei rimedi primari e, solo una volta che questi si rivelino inidonei a risolvere il problema, è dato ricorrere ai cd. rimedi secondari. D’altra parte, che la scelta di un rimedio non comporti la preclusione per il consumatore ad avvalersi successivamente degli altri si ricava agevolmente dalla lettura della norma in esame, la quale stabilisce al comma 7 che il consumatore può richiedere, a sua scelta, una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto ove ricorra una delle seguenti situazioni a la riparazione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose b il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro il termine congruo di cui al comma 6 c la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore , denotando in tal modo la progressività dei rimedi predisposti dal legislatore a tutela dell’acquirente. Dell’art. 1519 quater c.c., comma 5 oggi 130 cod. cons. dispone che le riparazioni o le sostituzioni debbano essere effettuate entro un congruo termine dalla richiesta e non debbano arrecare notevoli inconvenienti al consumatore, tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale è avvenuto l’acquisto. In base ad un’interpretazione estensiva della disciplina dell’art. 3, par. 3 della direttiva 1999/44, resa dal Consiglio di Stato con sentenza n. 5250/2015, e che oggi appare utile richiamare, la riparazione e la sostituzione di un bene non conforme devono essere effettuate non solo senza spese, ma anche entro un lasso di tempo ragionevole e senza notevoli inconvenienti per il consumatore. Questo triplice requisito è l’espressione della manifesta volontà del legislatore dell’Unione di garantire al consumatore una tutela effettiva. A ciò, inoltre deve aggiungersi, che nel valutare la congruità del termine la stessa norma impone di parametrarsi alla natura del bene e a llo scopo per il quale esso è stato acquistato. Alla luce di quanto esposto ritiene il Collegio che la Corte d’Appello ha fatto una corretta applicazione dell’art. 1519 quater c.c., commi 5 e 7, avendo considerato legittima la richiesta di risoluzione del contratto da parte dell’U. , non avendo la venditrice provveduto a riparare o sostituire il veicolo in un congruo termine, e ciò malgrado l’attore si fosse attivato per ottenere in via stragiudiziale la sostituzione del bene, che è stata negata dalla odierna ricorrente senza una valida giustificazione, pur in presenza di difetti che rendevano il bene inidoneo all’ordinario uso, e senza che i vari tentativi di riparazione inizialmente compiuti si fossero rivelati in grado di porre rimedio ai problemi sorti. Questa Corte ha di recente affermato che Cass. n. 10453/2020 in tema di vendita di beni di consumo affetti da vizio di conformità, ove la sostituzione o riparazione del bene non siano state impossibili nè siano eccessivamente onerose, il consumatore, scaduto il termine congruo per la sostituzione o riparazione, senza che il venditore vi abbia provveduto, ovvero se le stesse abbiano arrecato un notevole inconveniente, può agire per la riduzione del prezzo o per la risoluzione del contratto, pur in presenza di un difetto di lieve entità. In tale ottica, ed avuto riguardo al caso in esame, occorre prendere atto della circostanza che dall’acquisto del veicolo alla domanda giudiziale erano trascorsi due anni nei quali la vettura era stata sottoposta a numerosi interventi di riparazione, sicché tenuto conto della natura e dello scopo per cui era stata acquistata l’auto, la Corte di merito ha ritenuto, mediante un corretto ed esaustivo iter logico-argomentativo, e con apprezzamento in fatto, non sindacabile in questa sede, che tale situazione avesse superato ogni limite di ragionevolezza anche in relazione agli intuibili disagi sopportati dall’acquirente , il che conforta la valutazione di infondatezza del mezzo di gravame. Va pertanto affermato il seguente principio di diritto. In tema di vendita di beni di consumo affetti da vizio di conformità, ove l’acquirente abbia inizialmente richiesto la riparazione del bene, non è preclusa la possibilità di agire per la risoluzione del contratto, ove sia scaduto il termine ritenuto congruo per la riparazione, senza che il venditore vi abbia tempestivamente provveduto, ovvero se la stessa abbia arrecato un notevole inconveniente. Anche il secondo motivo di ricorso non è fondato. Non ignora il Collegio che di recente questa Corte ha affermato il principio secondo cui, in virtù del nesso sinallagmatico che connota il contratto di vendita nella specie di un’autovettura ed in dipendenza degli effetti retroattivi riconducibili alla risoluzione contrattuale ai sensi dell’art. 1458 c.c. in correlazione con l’art. 1493 c.c. nella determinazione del prezzo da restituire al compratore dell’autovettura che abbia agito vittoriosamente in redibitoria si deve tenere conto dell’uso del bene fatto dal medesimo, dovendosi, sul piano oggettivo, garantire l’equilibrio anche tra le reciproche prestazioni restitutorie delle parti ed evitare un’illegittima locupletazione dell’acquirente, ove lo stesso abbia continuato ad utilizzare il bene ancorché accertato come viziato e non completamente idoneo al suo uso determinandone una progressiva e fisiologica perdita di valore Cass. n. 16077/2020 . Nè risulta pienamente pertinente il richiamo all’interpretazione dell’art. 3 direttiva 1999/44/CE, in attuazione della quale è stata emanata la norma in esame, autorevolmente data dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha statuito che risulta in contrasto con la corretta interpretazione che permetta al venditore che abbia alienato un bene di consumo viziato da un difetto di conformità, di pretendere dal consumatore un’indennità per l’utilizzo del bene fatto fino alla data della sua sostituzione Corte Giustizia UE, 17 aprile 2008, Euro 404-06 , atteso che nel caso esaminato dai giudici di Lussemburgo si faceva riferimento all’uso avvenuto sino alla sostituzione, senza quindi potersi pianamente estendere il principio anche alla diversa ipotesi della risoluzione. Tuttavia, nella fattispecie, la conclusione sfavorevole alla ricorrente è stata supportata dalla sentenza impugnata con un puntuale riferimento alla concreta situazione di fatto, nella quale il malfunzionamento dell’autovettura si era manifestato con un’intensità ed una frequenza tali da richiedere reiteratamente il soccorso stradale e, quindi, da non permettere di arrivare autonomamente in officina. È stato altresì ricordato come nel solo primo anno dall’acquisto si fossero resi necessari circa cinque interventi di riparazione, che già nel dicembre del 2002 era stata richiesta, ma senza esito la sostituzione del veicolo, essendosi resi necessari, sino alla data di inizio della controversia nel 2004 a circa due anni dall’acquisto altri due interventi in officina. Alla luce della situazione di fatto, come emersa dall’istruttoria è stato pertanto reputato che, in assenza di adesione alla richiesta di sostituzione, fosse risultato impossibile per l’U. un uso regolare del veicolo, in quanto disturbato dai continui malfunzionamenti. Tale accertamento fattuale impedisce di ritenere che sia stato fatto un uso proprio del bene, alla luce di quanto affermava l’art. 1519 ter c.c., oggi trasposto nell’art. 129, comma 2, uso che legittimerebbe il versamento di un’indennità compensativa. In particolare, la non conformità della vettura dell’U. emerge dalla lettura delle lettere a e c di tale comma, che parametrano la conformità del bene acquistato dal consumatore all’idoneità all’uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo e alla presentazione delle qualità e prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo, che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi , elementi che entrambi, ad avviso della Corte distrettuale difettavano. Il motivo in definitiva dev’essere disatteso in quanto ancorché denunzi una violazione dell’art. 1519 quater c.c. da parte della Corte d’appello, in realtà investe prevalentemente le valutazioni di fatto della vicenda, aspirando ad ottenere un nuovo esame dei fatti di causa che, tuttavia, non è ammesso dinanzi a questa Corte. Il ricorso dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Nulla per le spese per gli intimati che non hanno svolto attività difensiva. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.