Riscatto polizza assicurativa: la clausola risolutiva espressa non ha carattere vessatorio

La clausola contrattuale che prevede la risoluzione di diritto del contratto di assicurazione in caso di mancato pagamento di una sola rata del premio da parte dell’assicurato non ha carattere vessatorio, non essendo ricompresa tra quelle previste dall’art. 1341 c.c., conseguendone la facoltà della compagnia assicuratrice di trattenere i premi già corrisposti.

Questo l’oggetto dell’ordinanza della Suprema Corte n. 17912/20, depositata il 27 agosto. Il Tribunale di Vibo Valentia accoglieva l’appello proposto da una compagnia assicurativa, riformando la decisione emessa dal Giudice di primo grado, e dichiarava insussistente il diritto dell’attuale ricorrente al riscatto della polizza assicurativa conclusa con la suddetta compagnia, considerando che ella si era limitata al pagamento della sola prima rata di premio , senza corrispondere le successive. A sostegno della decisione, il Giudice sottolineava la non vessatorietà della clausola contrattuale in forza della quale, nel caso di mancato pagamento di una sola delle suddette rate, il contratto di assicurazione si sarebbe risolto di diritto con la facoltà della compagnia assicuratrice di trattenere quanto già corrisposto dall’altra parte. La ricorrente impugna tale pronuncia dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo il carattere vessatorio della clausola risolutiva espressa prevista nel contratto. I Giudici di legittimità dichiarano il ricorso manifestamente infondato , richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale che vede la clausola risolutiva espressa attribuire al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per un certo inadempimento della controparte, liberandola dall’onere di dimostrarne l’importanza. In tal senso, la Corte afferma che la clausola non ha carattere vessatorio, considerando che non può essere ricondotta alle ipotesi delineate dall’ art. 1341 c.c. , nemmeno nell’ipotesi di un eventuale aggravamento delle condizioni di uno dei due contraenti conseguente alla limitazione della facoltà di proporre eccezioni. La possibilità di chiedere la risoluzione del contratto, infatti, si collega alla posizione di parte contrattuale e la clausola risolutiva si limita soltanto a rafforzarla . A sostegno di tale argomentazione ricorre anche il testo dell’art. 1924 c.c., in base al quale se il contraente non paga i premi successivi nel termine di tolleranza previsto dalla polizza o, in mancanza, nel termine di venti giorni dalla scadenza, il contratto è risoluto di diritto, e i premi pagati restano acquisiti all’assicuratore, salvo che sussistano le condizioni per il riscatto dell’assicurazione o per la riduzione della somma assicurata . Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 4 giugno – 27 agosto 2020, n. 17912 Presidente Amendola – Relatore Dell’Utri Rilevato che, con sentenza resa in data 19/11/2018, il Tribunale di Vibo Valentia, in accoglimento dell’appello proposto dalla Carige Vita Nuova Assicurazioni s.p.a., e in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato l’insussistenza del diritto di Z.M. al riscatto della polizza assicurativa conclusa tra le parti, essendosi l’assicurata limitata al solo pagamento della prima rata di premio senza corrispondere nessuna delle successive a fondamento della decisione assunta, il giudice d’appello ha evidenziato come la clausola contrattuale contenuta nella polizza in esame - in forza della quale, in caso di mancato pagamento di una sola rata di premio, il contratto di assicurazione si sarebbe risolto di diritto, con facoltà della compagnia assicuratrice di trattenere i premi corrisposti non potesse ritenersi in alcun caso vessatoria come preteso dall’assicurata , non essendo ricompresa quale clausola risolutiva espressa tra le c.d. clausole vessatorie previste dall’art. 1341 c.c., e limitandosi, detta condizione, a riprodurre pedissequamente il contenuto dell’art. 1924 c.c., con la conseguente esclusione della relativa vessatorietà ai sensi dell’art. 1469-ter c.c., comma 3, applicabile ratione temporis avverso la sentenza d’appello, Z.M. propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione la Amissima Vita s.p.a. già Carige Vita Nuova s.p.a. resiste con controricorso a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., le parti non hanno presentato memoria. Considerato che, con il motivo d’impugnazione proposto, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, avendo la corte territoriale erroneamente escluso il carattere vessatorio della clausola risolutiva espressa convenuta tra le parti, non essendo sufficiente la mancata menzione di detta clausola tra quelle espressamente menzionate nell’art. 1341 c.c. evenienza, peraltro, non riscontrabile nel caso di specie , dovendo il giudice in ogni caso verificarne il carattere vessatorio sotto il profilo dello squilibrio delle posizioni contrattuali dei contraenti delle parti il ricorso è manifestamente infondato osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la clausola risolutiva espressa tale dovendo indubitabilmente qualificarsi la condizione contrattuale contestata in questa sede attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato inadempimento della controparte, dispensandola dall’onere di provarne l’importanza detta clausola non ha carattere vessatorio, atteso che non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dall’art. 1341 c.c., comma 2, neanche in relazione all’eventuale aggravamento delle condizioni di uno dei contraenti derivante dalla limitazione della facoltà di proporre eccezioni, in quanto la possibilità di chiedere la risoluzione è connessa alla stessa posizione di parte del contratto e la clausola risolutiva si limita soltanto a rafforzarla cfr. ex plurimis Sez. 3, Ordinanza n. 17603 del 05/07/2018, Rv. 649554 - 01 sotto altro profilo, varrà considerare come del tutto correttamente il giudice a quo abbia evidenziato la non configurabilità, in ogni caso, del carattere vessatorio della clausola contrattuale in esame ai sensi dell’art. 1469-bis c.c., comma 1, applicabile ratione temporis , trattandosi di una condizione contrattuale meramente ripetitiva di disposizioni di legge cfr. l’art. 1469-ter c.c., comma 3, applicabile ratione temporis , avuto riguardo al testo dell’art. 1924 c.c., ai sensi del quale se il contraente non paga i premi successivi nel termine di tolleranza previsto dalla polizza o, in mancanza, nel termine di venti giorni dalla scadenza, il contratto è risoluto di diritto, e i premi pagati restano acquisiti all’assicuratore, salvo che sussistano le condizioni per il riscatto dell’assicurazione o per la riduzione della somma assicurata al riscontro della complessiva manifesta infondatezza delle censure esaminate segue la pronuncia del rigetto del ricorso, con la condanna della ricorrente al rimborso, in favore della società controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 900,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso art. 13.