Rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie: le lancette della prescrizione

La prescrizione del diritto di ripetizione delle somme corrisposte dal correntista in eccedenza per interessi usurari e anatocistici è un tema cruciale nel tormentato contenzioso bancario.

Con l’ordinanza in commento n. 14958 del 14 luglio 2020, la Sesta Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione si sofferma sui versamenti solutori e ripristinatori, individuando il punto di partenza per verificare o meno il prodursi della prescrizione. Stabilisce la Corte di Legittimità che i versamenti solutori possono considerarsi pagamenti ai sensi dell’art. 2033 c.c. con la conseguenza che la prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito decorre dal momento in cui le singole rimesse abbiano avuto luogo . I versamenti ripristinatori non soddisfano, invece, il creditore ma ampliano o ripristinano la facoltà d'indebitamento del correntista sicché di pagamento potrà parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia percepito dal correntista il saldo finale, in cui siano compresi interessi non dovuti. Per essi la prescrizione decorre dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. La questione dibattuta in giudizio. Una società conveniva innanzi al Tribunale di Catania la propria banca formulando domanda di ripetizione delle somme asseritamente corrisposte in eccedenza, rispetto al dovuto, a titolo di interessi ultra legali, usurari e anatocistici in riferimento al contratto di conto corrente. La banca, costituitasi in giudizio, eccepiva preliminarmente la nullità dell'atto di citazione e la prescrizione del diritto fatto valere dal correntista, contestando la fondatezza delle contestazioni rivolte al proprio operato. Il Tribunale di Catania condannava la banca con pronuncia che veniva confermata anche dalla Corte di Appello di Catania. Questa riteneva che la domanda attrice fosse ben individuata per petitum e causa petendi . Osservava, inoltre, che il decorso della prescrizione decennale , operante con riferimento all'azione di ripetizione delle somme corrisposte in eccesso dal correntista, era stato validamente interrotto con l’atto di messa in mora pervenuto alla banca. A detta del giudice del gravame, non poteva rilevare la data dell'ultima registrazione annotata in conto difatti non assumeva rilevanza la distinzione tra rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie dal momento che, nella fattispecie, si trattava soltanto di individuare la data di inizio per il decorso del termine di prescrizione dell’azione di ripetizione. Poiché ritenuta domanda nuova e pertanto inammissibile in appello, non era mai entrata nel processo la distinzione delle rimesse sotto il profilo della diversa decorrenza del termine di prescrizione. Ricorreva per cassazione la banca avanzando due motivi. Il primo concernente la nullità dell’atto introduttivo del giudizio il secondo relativo all’eccezione di prescrizione. La banca ricorrente, sul tema che qui rileva dell’eccepita prescrizione del diritto alla ripetizione, ha lamentato sia il mancato apprezzamento della circostanza per cui la Corte di Catania avrebbe omesso di considerare l'ultima operazione contabile posta in atto dalla correntista, sia la violazione della disciplina della prescrizione delle rimesse in conto corrente, avendo riguardo alla nota pronuncia delle Sezioni Unite n. 24418/10. La decisione della Cassazione. Il primo motivo viene ritenuto inammissibile perché la banca avrebbe dovuto sconfessare quanto esposto nella pronuncia impugnata attraverso rilievi specifici e circostanziati, basati sul preciso tenore degli atti di causa. Il secondo motivo della banca viene, invece, accolto poiché ammissibile e fondato. Osserva la Corte di Cassazione che, dalla sentenza impugnata, emerge che l'ultima operazione posta in essere, con riferimento al conto corrente, risale al 14 marzo 1996. La Corte di merito ha tuttavia ritenuto irrilevante che quel giorno abbia avuto luogo la estinzione del conto sostenendo, in proposito, come non potesse invocarsi quanto affermato nella sentenza delle Sezioni Unite del 2010 con riferimento alla prescrizione delle rimesse bancarie sul presupposto del carattere di novità del tema. Ciò posto, la Suprema Corte ricorda l’insegnamento delle citate Sezioni Unite e cioè se il correntista, nel corso del rapporto, abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti , in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da formare oggetto di ripetizione ove risultino indebiti , in quanto abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Ciò accadrà ove si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'affidamento non così in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell'affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere. Rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie nel prisma della prescrizione. La Corte di Cassazione reputa necessario distinguere i versamenti solutori da quelli ripristinatori della provvista. Soltanto i primi possono considerarsi pagamenti nel quadro della fattispecie di cui all'art. 2033 c.c. con la conseguenza che la prescrizione del diritto alla ripetizione dell'indebito decorre, per tali versamenti, dal momento in cui le singole rimesse abbiano avuto luogo. I versamenti ripristinatori non soddisfano, invece, il creditore ma ampliano o ripristinano la facoltà d'indebitamento del correntista sicché, con riferimento ad essi, di pagamento potrà parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia percepito dal correntista il saldo finale, in cui siano compresi interessi non dovuti per essi, quindi, la prescrizione decorre dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Il che, puntualizza la Suprema Corte, è quanto dire che ai fini della prescrizione assumerà rilievo anche la rimessa solutoria con cui il correntista ripiana l'esposizione debitoria maturata in ragione del rapporto di affidamento oramai cessato. In considerazione di quanto sopra, viene ritenuto errato il ragionamento della corte di merito allorquando reputa che non potesse avere ingresso nel giudizio un accertamento della decorrenza della prescrizione basata sulla distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie . Ciò in quanto era la stessa proposizione dell'eccezione di prescrizione ad imporre, specifica la Suprema Corte, di prendere in esame tale profilo. Né avrebbe potuto farsi questione di una novità della questione come si legge nella sentenza impugnata ove si parla, impropriamente, di novità della domanda. Puntualizza la Suprema Corte che l’onere di allegazione gravante sull'istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l'eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l'azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell'inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare Cass. Sez. U. 13 giugno 2019, n. 15895 . Ragion per cui la Corte di merito avrebbe dovuto verificare il prodursi o meno della prescrizione avendo riguardo alla data in cui hanno avuto luogo le singole rimesse solutorie, escludendo che la prescrizione si fosse prodotta con riferimento alle rimesse ripristinatorie, e considerando, nondimeno, i versamenti posti in atto, a seguito della cessazione dell'affidamento, per l'estinzione del saldo di chiusura del conto. Qualche recente precedente di merito in materia. Sul tema, cfr. Appello Salerno, n. 457 del 4 maggio 2020, ove statuito che nel caso di specie alcuna prova è stata fornita dalla società attrice, sulla quale lo stesso gravava, circa la sussistenza di un affidamento in conto corrente e sui limiti del predetto affidamento affidamento genericamente indicato nell’atto introduttivo e nemmeno specificato nell’importo. Ne discende che solo per i versamenti aventi natura ripristinatoria l’azione di ripetizione dell’indebito proposta dal cliente di una banca il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi maturati nell’ambito di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale decorrente, nell’ipotesi in cui i versamenti effettuati abbiano avuto una funzione meramente ripristinatoria della provvista, non già dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta d’interessi illegittimamente addebitati, ma da quella di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati Cass. ord. 30.11.2017 n. 28819 . Anche la successiva giurisprudenza SSUU 24187/10 ha riconosciuto che la decorrenza del termine di prescrizione opera dalla data di appostazione in conto corrente, salvo non si tratti di rimessa ripristinatoria [ ]. Pertanto le rimesse oggetto della domanda devono ritenersi di natura solutoria [ ] La banca, al fine di poter formulare e coltivare l’eccezione di prescrizione non è tenuta ad indicare specificamente le rimesse solutorie, spettando invece al Giudice, sulla base degli estratti conto prodotti dal correntista, determinare anche a mezzo del CTU per quali l’eccezione sia fondata e per quali non lo sia”. In senso analogo, App. Venezia, n. 536 del 13 febbraio 2020, secondo cui secondo la condivisibile giurisprudenza della Suprema Corte, eccepita la prescrizione del diritto alla ripetizione per decorso del termine decennale del pagamento, è onere del cliente provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito, che qualifichi quel versamento come mero ripristinatorio della disponibilità accordata” Cass. civ. 30 gennaio 2019, n. 2660 . Quindi, non è necessario che la banca indichi specificatamente le rimesse prescritte, né il relativo dies a quo, emergendo la natura ripristinatoria o solutoria dei singoli versamenti dagli estratti-conto, della cui produzione in giudizio è onerato il cliente, sicché la prova degli elementi utili ai fini dell’applicazione della prescrizione è nella disponibilità del giudice che deve decidere la questione Cass. civ. 10 luglio 2018, n. 18144 ” Trib. Torino, n. 684 del 7 febbraio 2020, ove chiarito che la Corte Suprema di Cassazione ha affermato il principio di diritto secondo cui l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale 10 anni , la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta monetaria illegittimamente addebitata, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto corrente in cui la posta monetaria contestata è stata registrata v. Cass. Sez. Unite n. 24418/2010 infatti, nell’anzidetta ipotesi versamento con funzione ripristinatoria ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del solvens” con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’ accipiens”. Dunque, solo la presenza di un versamento avente natura solutoria può comportare il decorrere la prescrizione dalla relativa annotazione in conto corrente. Invece, nei rimanenti casi di rimesse ripristinatorie, la prescrizione decorre dalla chiusura del conto corrente. La giurisprudenza successiva alla sentenza delle Sezioni Unite n. 24418/2010 ha altresì chiarito come i versamenti in conto corrente si presumano in via generale come aventi natura ripristinatoria giacché questa è la funzione tipica e ordinaria del conto corrente e delle relative rimesse cfr. Cass. n. 4518/2014 . É stato quindi affermato che l’azione di ripetizione dell'indebito proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità di clausole contrattuali con riguardo a un certo contratto di conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale che decorre, dai singoli versamenti aventi natura solutoria. Secondo detta giurisprudenza grava poi sull’attore in ripetizione dimostrare la natura indebita dei versamenti e, a fronte dell’eccezione di prescrizione dell’azione proposta dalla banca, dimostrare l’esistenza di un contratto di apertura di credito idoneo a qualificare il pagamento come ripristinatorio ed a spostare l’inizio del decorso della prescrizione al momento della chiusura del conto v. Cass. 27704/2018 . Nel caso in esame parte attrice non ha evidenziato peculiare pagamenti di poste monetarie idonee a spostare il dies a quo nei termini suddetti”.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 6 marzo – 14 luglio 2020, n. 14958 Presidente Scaldaferri – Relatore Falabella Fatti di causa 1. - Con atto di citazione notificato il 29 giugno 2006 LA.SE.A. s.r.l. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Catania Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a., oggi Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., domandando la ripetizione di somme asseritamente corrisposte in eccedenza, rispetto al dovuto, per interessi ultralegali, usurari e anatocistici con riferimento a un contratto di conto corrente. La banca convenuta, costituendosi in giudizio, eccepiva preliminarmente la nullità dell’atto di citazione e la prescrizione del diritto fatto valere svolgeva, poi, le proprie deduzioni nel merito. Il Tribunale di Catania, in esito al giudizio di primo grado, condannava Banca Monte dei Paschi di Siena al pagamento della somma di Euro 480.318,18, oltre interessi. 2. - Tale pronuncia era confermata in sede di gravame dalla Corte di appello di Catania. Per quanto qui rileva, questa riteneva che la domanda attrice fosse ben individuata sia sotto il profilo del petitum che della causa petendi essendo stato peraltro precisato l’importo richiesto in ripetizione ed essendo stata allegata anche una consulenza tecnica contabile di parte . Il giudice del gravame osservava, poi, che la chiusura del conto aveva avuto luogo il 30 marzo 1996, giacché la società aveva manifestato la volontà di recedere dal rapporto in data 14 marzo 1996 e il recesso aveva prodotto i propri effetti trascorso il termine di 15 giorni previsto dall’art. 1855 c.c. rilevava che, in conseguenza, il decorso della prescrizione decennale, operante con riferimento all’azione di ripetizione delle somme corrisposte in eccesso dal correntista, era stata validamente interrotta con l’atto di messa in mora pervenuto alla banca il 24 marzo 2006. Precisava, in argomento, non poter rilevare la data dell’ultima registrazione annotata in conto difatti, secondo il giudice distrettuale, non assumeva rilevanza la distinzione tra rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie, di cui alla sentenza n. 24418 del 2 dicembre 2010 delle Sezioni Unite di questa Corte, dal momento che nella fattispecie si trattava di individuare la data di inizio per il decorso del termine di prescrizione dell’azione di ripetizione non essendo mai entrata nel processo una distinzione delle rimesse sotto il profilo della diversa decorrenza del termine di prescrizione, domanda inammissibile in appello poiché nuova . 3. - La sentenza della Corte etnea, pubblicata il 18 giugno 2018, è impugnata per cassazione da Banca Monte dei Paschi di Siena, la quale svolge due motivi di censura. Resiste con controricorso LA.SE.A., che ha depositato memoria. Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata. Ragioni della decisione 1. - Col primo motivo sono denunciate violazione e falsa applicazione degli artt. 163 e 164 c.p.c., nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Viene lamentato che la Corte di appello abbia respinto l’eccezione di nullità dell’atto introduttivo del giudizio, proposta dalla banca si osserva che il predetto atto introduttivo costituirebbe neutra rappresentazione comparativa degli argomenti delle pronunce giurisprudenziali che hanno interessato l’argomento per cui è causa negli ultimi decenni e che sarebbe mancato alcun riferimento al thema decidendum, se non per brevi rinvii all’elaborato di parte prodotto in uno alla citazione . Il motivo è inammissibile. La Corte di merito ha spiegato, nei termini che si sono sopra riassunti, le ragioni per le quali la citazione introduttiva del giudizio non poteva ritenersi nulla. Competeva alla ricorrente sconfessare quanto esposto nella pronuncia impugnata attraverso rilievi specifici e circostanziati, basati sul preciso tenore degli atti di causa. Infatti, La deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo implica che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale Cass. Sez. U. 25 luglio 2019, n. 20181 la deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo, in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude, infatti, che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali così Cass. 13 marzo 2018, n. 6014 cfr. pure Cass. 29 settembre 2017, n. 22880 Cass. 8 giugno 2016, n. 11738 Cass. 30 settembre 2015, n. 19410 . 2. - Il secondo mezzo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 1855 c.c., e t.u.b., art. 120 bis, artt. 2934, 2935 e 2946 c.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. La censura investe la decisione assunta dalla Corte di appello sull’eccezione di prescrizione. Viene rilevato che il rapporto di conto corrente risultava chiuso alla data del 14 marzo 1996, con la contabilizzazione del versamento attraverso cui la società correntista aveva estinto il proprio debito con la banca. Osserva l’istante che, anche a voler ritenere che il rapporto di conto corrente fosse pendente alla data del 31 marzo 1996, la Corte di merito avrebbe dovuto applicare il principio enunciato da Cass. Sez. U. 2 dicembre 2010, n. 24418, verificando quanto fosse in concreto ripetibile e ciò avendo riguardo proprio al momento in cui era stata posta in atto la rimessa di cui si è detto. Il motivo è anzitutto ammissibile. La ricorrente, sul tema della eccepita prescrizione del diritto alla ripetizione, ha nella sostanza lamentato sia il mancato apprezzamento della circostanza per cui la Corte di Catania avrebbe mancato di considerare che l’ultima operazione contabile posta in atto dalla correntista datava 14 marzo 1996, sia la violazione della disciplina della prescrizione delle rimesse in conto corrente, avendo riguardo alla richiamata pronuncia n. 24418 del 2010. Una siffatta articolazione del motivo deve ritenersi conforme al diritto il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sé, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati Cass. Sez. U. 6 maggio 2015, n. 9100 cfr. pure Cass. 17 marzo 2017, n. 7009 Cass. 23 ottobre 2018, n. 26790 . Sempre in punto di ammissibilità è del resto non conferente quanto dedotto con riferimento all’assemblaggio del ricorso per cassazione pagg. 5 s. del controricorso , giacché l’atto di impugnazione della banca non è stato confezionato con tale modalità compilativa. Avendo particolarmente riguardo alla fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, il motivo è, poi, fondato. Dalla sentenza impugnata emerge che l’ultima operazione posta in essere, con riferimento al conto corrente, risale al 14 marzo 1996. La Corte di merito, come si è visto, ha ritenuto irrilevante che quel giorno abbia avuto luogo la estinzione del conto e ha osservato, in proposito, come non potesse invocarsi quanto affermato nella sentenza delle Sezioni Unite del 2010 con riferimento alla prescrizione delle rimesse bancarie, giacché il tema sviluppato in detta pronuncia, circa la differenziazione di tali rimesse, come solutorie e ripristinatorie, presentava carattere di novità e non era dunque suscettibile di essere fatto valere in appello . Ora, secondo Cass. Sez. U. 2 dicembre 2010, n. 24418, se il correntista, nel corso del rapporto, abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da formare oggetto di ripetizione ove risultino indebiti , in quanto abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. E questo accadrà ove si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’affidamento non così in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere. In base ai principi richiamati, è necessario dunque distinguere i versamenti solutori da quelli ripristinatori della provvista giacché solo i primi possono considerarsi pagamenti nel quadro della fattispecie di cui all’art. 2033 c.c. con la conseguenza che la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito decorre, per tali versamenti, dal momento in cui le singole rimesse abbiano avuto luogo. I versamenti ripristinatori, invece - come precisato dalle Sezioni Unite - non soddisfano il creditore ma ampliano o ripristinano la facoltà d’indebitamento del correntista sicché, con riferimento ad essi, di pagamento potrà parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia percepito dal correntista il saldo finale, in cui siano compresi interessi non dovuti per essi, quindi, la prescrizione decorre dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Il che è quanto dire che ai fini della prescrizione assumerà rilievo anche la rimessa solutoria con cui il correntista ripiana l’esposizione debitoria maturata in ragione del rapporto di affidamento oramai cessato. Erra, del resto, la Corte di merito, allorquando reputa che non potesse avere ingresso nel giudizio un accertamento della decorrenza della prescrizione basata sulla distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie e ciò in quanto era la stessa proposizione dell’eccezione di prescrizione a imporre di prendere in esame tale profilo. Sul punto non poteva farsi questione di una novità della questione nella sentenza si parla, impropriamente, di novità della domanda infatti, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare Cass. Sez. U. 13 giugno 2019, n. 15895 . Da quanto sopra discende che la Corte di merito avrebbe dovuto verificare il prodursi o meno della prescrizione avendo riguardo alla data in cui hanno avuto luogo le singole rimesse solutorie, escludendo che la prescrizione si fosse prodotta con riferimento 211e rimesse ripristinatorie, e considerando, nondimeno, i versamenti posti in atto, a seguito della cessazione dell’affidamento, per l’estinzione del saldo di chiusura del conto. 3. - In accoglimento del secondo motivo la sentenza è cassata. La causa è rinviata alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo e rigetta il primo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, affinché statuisca pure sulle spese del giudizio di legittimità. Motivazione semplificata.