Sposi insoddisfatti per il banchetto: va comunque pagato il ristoratore

Sacrosanta la pretesa del titolare della struttura che ha ospitato il ricevimento nuziale egli dovrà percepire l’intera cifra pattuita cogli sposi. Irrilevanti le lamentele della coppia per la scarsa qualità del cibo e del servizio tale elemento non basta per parlare di danno esistenziale. Peraltro, aggiungono i Giudici, moglie e marito avrebbero dovuto essere più tempestivi e segnalare la loro insoddisfazione entro 60 giorni dal ricevimento.

La scarsa soddisfazione manifestata dai freschi sposi per il ricevimento ritenuto da loro non all’altezza non è elemento sufficiente per parlare di danno morale” e per obbligare, di conseguenza, il ristoratore a provvedere ad un adeguato risarcimento. In sostanza, serve un riscontro probatorio forte e concreto per dare corpo alla tesi avanzata dai novelli marito e moglie, che hanno addirittura lamentato un vero e proprio danno esistenziale”. E comunque la denuncia del presunto disservizio va presentata, precisano i giudici – fornendo un input alle coppie in procinto di convolare a nozze –, in tempi stretti, cioè entro sessanta giorni dall’effettuazione del banchetto matrimoniale Cassazione, ordinanza n. 26485/19, sez. II Civile, depositata oggi . Pagamento. Il giorno più bello per i freschi sposi, cioè quello del matrimonio come coronamento del loro amore, si trasforma pian piano in una guerra legale. No, nessuna improvvisa rottura tra moglie e marito. La questione è più prosaica, e riguarda il mancato pagamento del ricevimento di nozze. Il banchetto viene effettuato a fine agosto del 2003 in una bella struttura con vista sul mare. Mesi dopo però il ristoratore non ha ancora incassato la somma pattuita cogli sposi in ballo oltre 17mila euro. Ecco spiegato il decreto con cui nel 2004 viene ingiunto alla coppia di provvedere al pagamento, come stabilito nel contratto di banqueting concluso col ristoratore. I due coniugi però ribattono in maniera dura, respingono la richiesta e parlano di grave inadempimento da parte della società proprietaria della struttura che ha ospitato il ricevimento di nozze, rovinato, a loro parere, dalla pessima qualità del cibo e del servizio offerti . Così, moglie e marito chiedono ai giudici di dichiarare la risoluzione del contratto e di condannare la società al risarcimento del danno morale da loro subito. Questa visione viene in parte accolta in Tribunale, laddove i giudici ritengono accertato il parziale inadempimento da parte della società ristoratrice, che per questo può pretendere il pagamento di un terzo della somma pattuita . Tradotto in soldoni gli sposi dovranno versare solo 5mila e 900 euro. Questa piccola vittoria per moglie e marito è però effimera. In appello, difatti, il ricorso della società viene accolto, e ciò che significa che essa ha diritto all’intera cifra concordata per il banchetto, ossia 17mila e 700 euro. I giudici di secondo grado qualificano innanzitutto l’accordo tra ristoratore e sposi come contratto di banqueting , e di conseguenza dichiarano la tardività della denunzia dei vizi proposta dai coniugi , denunzia ufficializzata oltre il termine di 60 giorni fissato dal Codice Civile e previsto per i contratti di appalto. Danno. Inutile si rivela la decisione della coppia di ricorrere in Cassazione. Anche per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, il contratto di banqueting, in cui un imprenditore assume, dietro corrispettivo, la realizzazione di un evento – come un banchetto di nozze – in favore di un altro soggetto, mediante l’organizzazione dei mezzi necessari, cioè locale, personale, cibo e bevande , è catalogabile come appalto di servizi . Questa visione è ritenuta legittima anche perché gli elementi dell’accordo concluso in questo caso tra ristoratore e sposi includevano preparazione delle pietanze, servizio ai tavoli e buffet, organizzazione della serata musicale . Sacrosanta, quindi, l’applicazione del paletto fissato dal Codice Civile i due sposi avrebbero dovuto segnalare ufficialmente i vizi riscontrati nel banchetto in tempi rapidi, cioè entro 60 giorni dall’evento. Allo stesso tempo, i giudici del ‘Palazzaccio’ respingono anche l’ipotesi avanzata da moglie e marito, cioè che essi abbiano subito un danno morale , più precisamente un danno esistenziale , per la non perfetta riuscita del ricevimento nuziale. Su questo fronte, difatti, non può bastare l’insoddisfazione da loro manifestata per la scarsa qualità del cibo e del servizio .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 6 marzo – 17 ottobre 2019, n. 26485 Presidente Manna – Relatore Besso Marcheis Premesso che 1. Con atto di citazione del 9/4/2004 i coniugi Ro. Ac. e An. Fi. proponevano opposizione al decreto n. omissis /2004, con cui il Tribunale di Sassari aveva loro ingiunto il pagamento di Euro 17.700 in favore della società Scoglio Lungo s.r.l., a titolo di corrispettivo per la realizzazione del ricevimento di nozze svoltosi il 30 agosto 2003 i coniugi lamentavano il grave inadempimento della società opposta stante la pessima qualità del cibo e del servizio offerti, chiedendo con domanda riconvenzionale di dichiarare la risoluzione del contratto e di condannare la società al risarcimento del danno non patrimoniale. Scoglio Lungo s.r.l. si costituiva in giudizio, eccependo la decadenza dal diritto di garanzia per la mancata tempestiva denuncia dei vizi e in ogni caso contestando la fondatezza dell'opposizione. Con sentenza n. 608/2013 il Tribunale di Sassari accertava il parziale inadempimento della società opposta e per l'effetto condannava gli opponenti, in solido tra loro, al pagamento di un terzo della somma pattuita, ossia Euro 5.900, e rigettava la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale degli opponenti. 2. Avverso la sentenza proponeva appello Scoglio Lungo s.r.l., anzitutto lamentando il mancato rilievo della tardiva denuncia dei vizi, con conseguente decadenza dei coniugi Ac. dal diritto di garanzia ex art. 1495 c.c I coniugi Ac. proponevano a loro volta appello incidentale, impugnando la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva respinto la domanda di risarcimento del danno. Con sentenza 9 gennaio 2015, n. 11, la Corte d'appello di Sassari, dopo avere preliminarmente qualificato il contratto intervenuto tra le parti come contratto di banqueting, in accoglimento dell'appello principale dichiarava la tardività della denunzia dei vizi, proposta dai coniugi oltre il termine di sessanta giorni di cui all'art. 1667, comma 2 c.c., ritenuto applicabile al caso di specie e, per l'effetto, confermava il decreto opposto rigettava l'appello incidentale. 3. Contro la sentenza ricorrono per cassazione Ro. Ac. e An. Fi Resiste con controricorso la società Scoglio Lungo s.r.l. Considerato che I. Il ricorso è articolato in due motivi. a Il primo motivo lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per avere la Corte d'appello erroneamente applicato l'art. 1667 c.c., ritenendo che l'oggetto della prestazione ricadesse nell'ambito del contratto di appalto il contratto concluso tra le parti, di banqueting, è invece contratto atipico disciplinato dall'art. 1322, comma 2 c.c., a cui non può che applicarsi la disciplina generale dei contratti e non anche quella dei contratti tipici, quali il contratto d'appalto o la vendita di cose, così che l'unico rimedio poteva essere la risoluzione del contratto per inadempienza grave ed esclusiva dell'altro contraente, con diritto dei ricorrenti di non corrispondere il prezzo e di essere risarciti dei danni. Il motivo è infondato. Come precisa il giudice d'appello, il contratto concluso tra le parti costituisce un esempio di contratto di cd. banqueting, diffuso nella prassi, nel quale un imprenditore, di solito un ristoratore, dietro corrispettivo, assume, mediante organizzazione dei mezzi necessari locali, personale, cibo e bevande e a proprio rischio, la realizzazione di un evento - nel caso in esame un banchetto in occasione delle nozze - in favore di un altro soggetto. Si tratta, come deducono i ricorrenti, di un contratto atipico la cui conclusione è prevista dall'ordinamento, cfr. l'art. 1322, comma 2 c.c. , dal carattere misto, che presenta elementi propri di più contratti tipici, anzitutto l'appalto e la vendita. Il carattere atipico-misto del contratto in esame non comporta però - come sostengono i ricorrenti - che nessuna disciplina dei contratti tipici trovi ad esso applicazione. Come hanno sottolineato le sezioni unite di questa Corte, in tema di contratto misto, la relativa disciplina giuridica va individuata in quella risultante dalle norme del contratto tipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti cosiddetta teoria dell'assorbimento o della prevalenza Cass., sez. un., n. 11656/2008 . Correttamente, pertanto, il giudice d'appello ha ritenuto, in base appunto alla teoria dell'assorbimento, applicabile la disciplina giuridica del contratto, l'appalto di servizi, al cui schema causale erano in prevalenza riconducibili gli elementi del contratto concluso tra le parti preparazione delle pietanze, servizio ai tavoli e buffet, organizzazione della serata musicale . b Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c, per avere la Corte d'appello negato la sussistenza in re ipsa del danno non patrimoniale lamentato dai ricorrenti, quando invece, nel caso in esame, la prova del danno non patrimoniale sarebbe intrinseca alla dimostrazione dell'inadempimento, analogamente a quanto si afferma per il danno da cd. vacanza rovinata, ipotesi questa rispetto alla quale, in via subordinata, i ricorrenti chiedono a questa Corte di sollevare questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 2 e 3 Cost. Il motivo è infondato. Il giudice d'appello, nel confermare la decisione di primo grado di rigetto della domanda risarcitoria perché infondata e priva di riscontro probatorio nell'an e nel quantum, ha seguito l'orientamento di questa Corte secondo cui il danno non patrimoniale, con particolare riferimento a quello cd. esistenziale, non può essere considerato in re ipsa, ma deve essere provato secondo la regola generale dell'articolo 2697 c.c., dovendo consistere nel radicale cambiamento di vita, nell'alterazione della personalità e nello sconvolgimento dell'esistenza del soggetto ne consegue che la relativa allegazione deve essere circostanziata e riferirsi a fatti specifici e precisi, non potendo risolversi in mere enunciazioni di carattere generico, eventuale e ipotetico così, da ultimo, Cass. 28742/2018 . Manifestamente infondata è poi la questione di legittimità costituzionale prospettata dai ricorrenti, dato che il danno non patrimoniale da vacanza rovinata , secondo quanto espressamente previsto in attuazione della direttiva n. 90/314/CEE, costituisce uno dei casi previsti dalla legge, ai sensi dell'art. 2059 c.c., di pregiudizio risarcibile, rispetto al quale, comunque, spetta al giudice di merito procedere alla valutazione della domanda risarcitoria alla stregua dei generali precetti di correttezza e buona fede e alla considerazione dell'importanza del danno, fondata sul bilanciamento, per un verso, del principio di tolleranza delle lesioni minime e per l'altro, della condizione concreta delle parti Cass. 17724/2018 . II. Il ricorso va quindi rigettato. Le spese, considerata la novità della tipologia di contratto oggetto di causa, vengono compensate tra le parti. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell'importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio. Sussistono, ex art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115/2002, i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell'importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.