Rogito notarile e contraente sordo: quando è necessaria la lettura dell’atto?

In tema di stipula degli atti notarili, la lettura dell’atto da parte del contraente sordo è necessaria non solo quando è affetto da sordità totale, ma anche quando la minorazione sia talmente grave da impedire, pur con l’uso di apparecchiature, quella percezione uditiva che possa dargli la comprensione di ciò che è stato inserito nell’atto medesimo come manifestazione della sua volontà.

E’ quanto ribadito dalla Corte di Cassazione, con ordinanza n. 24726/19 depositata il 3 ottobre, chiamata a pronunciarsi in relazione ad una causa di nullità di un atto notarile di compravendita. La vicenda. Il Tribunale aveva dapprima accolto la domanda di nullità di una compravendita immobiliare, formulata dal venditore per violazione delle formalità previste dalla legge notarile in caso di contraente sordo come asseriva di essere l’attore, sulla scorta di certificazione rilasciata dalla competente Commissione provinciale . La Corte d’Appello aveva tuttavia ribaltato il verdetto ad esito di una CTU disposta nel corso del giudizio, secondo cui il venditore non poteva ritenersi interamente privo di udito”, ma solo in parte. Non si rendevano dunque necessarie le formalità prescritte a pena di nullità ex artt. 56 e 57 Legge notarile lettura dell’atto da parte del contraente sordo, di cui si da menzione nell’atto medesimo e l’atto in questione doveva ritenersi pienamente valido. Avverso la statuizione il venditore ricorreva in Cassazione, contestando come la propria condizione di sordomuto fosse stata esclusa in riferimento ad un criterio introdotto dalla l. n. 508/1988 - erroneamente richiamata nella consulenza tecnica – entrata in vigore due anni dopo la data del rogito in questione. Proprio ai sensi di questa Legge, il deficit uditivo del ricorrente sarebbe risultato inferiore a quello previsto per poter percepire l’indennità. Non solo in caso di sordità totale ma anche di deficit grave. La presente censura è ritenuta infondata dalla Corte Suprema, poiché con essa non si va a contestare l’esclusione della condizione di totale privazione dell’udito, bensì il parametro normativo di riferimento, ed in particolare il ricorso a leggi successive alla stipula dell’atto in esame. Invero, nella specie, i Giudici di merito hanno correttamente applicato le disposizioni della legge notarile, che per l’appunto richiede, per l’adempimento delle menzionate formalità, che la parte sia interamente sorda. Invero, l’avverbio interamente” utilizzato dal legislatore è funzionale all’esigenza che la grave sanzione della nullità dell’atto intende soddisfare l’effettiva percezione del suono da parte del soggetto pur affetto da problemi di udito. Pertanto detto avverbio non deve essere considerato restrittivamente, nel senso che la lettura dell’atto notarile può rendersi necessaria non solo in caso di sordità totale, ma anche quando il deficit uditivo sia talmente grave da impedire la percezione e la comprensione di quanto viene inserito nell’atto medesimo. Nella specie, tuttavia, il ricorrente era risultato solo parzialmente privo di udito, in una percentuale inferiore a quella richiesta per la condizione di sordomuto, secondo valutazione condotta nel merito ed incensurabile in sede di legittimità. Sulla scorta di ciò, la Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 5 giugno – 3 ottobre 2019, n. 24726 Presidente Campanile – Relatore Casadonte Rilevato che - con sentenza del 2007 il Tribunale di Palermo accoglieva la domanda di nullità dell’atto di compravendita del 16 aprile 1986 con cui A.A. e A.G. avevano venduto a A.M. le quote di comproprietà pari a 2/3 di un immobile sito in - la domanda di nullità era stata formulata dal venditore A.A. , per violazione delle formalità previste dalla legge notarile nel caso di atto compiuto da contraente sordo quale asseriva di essere l’attore sulla scorta di certificazione rilasciata dalla Commissione provinciale di Palermo in data 7 giugno 1974 - proponeva appello D.B.S. , erede di A.M. in proprio e nella qualità di esercente la potestà sulle figlie minori D.B.A. e F. , nella resistenza degli attori originari i quali interponevano appello incidentale - deduceva l’appellante, in particolare, l’inattendibilità del documento dal quale il tribunale aveva ricavato la dimostrazione della nullità dell’atto di compravendita per inosservanza delle formalità previste dalla legge notarile in caso di stipulante sordo - ad avviso dell’appellante il certificato insieme a tutta la documentazione prodotta non costituiva prova sufficiente della condizione di sordità, presupposto per l’applicazione della L. Notarile n. 89 del 2013, artt. 56 e 57 - la corte palermitana dopo avere escluso l’ammissibilità della querela di falso avverso la certificazione della Commissione provinciale, trattandosi di un atto contenente una diagnosi liberamente valutabile dal giudice, disponeva ctu medica al fine di accertare se l’A. fosse da considerarsi sordo ai fini dell’applicazione delle disposizioni sopra richiamate - all’esito della ctu e della sua integrazione, la Corte d’appello di Palermo, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda di nullità proposta e condannava parte attrice alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio - il giudice dell’appello argomentava sulla base dell’esito dell’esame oggettivo condotto dal ctu - la ravvisata condizione comporta che la stipulazione dell’atto di compravendita non richiedeva l’adozione delle formalità prescritte a pena di nullità degli artt. 56 e 57 della legge notarile e che, pertanto, il contratto di vendita deve ritenersi valido - la cassazione della sentenza chiesta da A.A. e M.G. con ricorso notificato il 1 settembre 2015 ed affidato a due motivi, cui resistono D.B.S. , A. e F. - parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 380 bis.1 c.p.c Considerato che - con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 381 del 1970, art. 1, comma 2 e della L. n. 95 del 2006 sui sordomuti e successive modifiche e della L. n. 508 del 1988 - si contesta, in particolare, la sentenza nella parte in cui ha, seguendo la conclusione prospettata dal ctu, ritenuto che andasse esclusa la condizione di sordomuto in riferimento alla L. n. 508 del 1988 poiché il deficit uditivo riscontrato era inferiore a quello dalla legge in questione ritenuto meritevole dell’ indennità di comunicazione - contesta cioè parte ricorrente che possa avere rilevanza il requisito ulteriore introdotto dalla legge nel 1988, cioè successivamente all’atto stipulato nel 1986 - con il secondo motivo si deduce l’omessa motivazione ed eccesso di potere in relazione agli elementi contenuti nella ctu che evidenziavano la sussistenza delle condizioni di sordità del signor A.A. con riferimento alla L. n. 381 del 1970, mentre erroneamente consulente aveva fatto riferimento alle previsioni della L. n. 508 del 1988 che all’epoca del rogito notarile non era neanche esistente e che prevedeva criteri differenziati per il riconoscimento di indennità connesse all’accertamento di un certo grado di sordità - i due motivi, strettamente connessi possono essere esaminati congiuntamente e vanno disattesi perché infondati - la sentenza impugnata ha, infatti, correttamente applicato le disposizioni della legge notarile per il caso di parte contraente sorda - l’art. 56 legge cit. ha come presupposto che alcuna delle parti sia interamente priva dell’udito e prevede che, in tal caso, la parte debba leggere l’atto e che di ciò si faccia menzione nell’atto stesso - nel caso di specie la corte d’appello all’esito dell’accertamento medico disposto ha ritenuto cfr. pag. 4 della sentenza che l’A. non fosse interamente privo di udito, ma che fosse affetto da ipoacusia neurosensoriale pantonale bilaterale di grado medio grave con perdita uditiva pari a 63,3 dB nell’orecchio migliore tale ipoacusia non configura lo stato di sordomuto secondo il D.M. 5 febbraio 1992, che richiede, invece, la perdita uditiva pari o superiore a 75 dB nell’orecchio migliore, se il soggetto ha superato il 120 anno di età - le risultanze oggettive della ctu sono state contestate non con riguardo all’esclusione di una condizione di totale privazione dell’udito bensì con riguardo al parametro normativo di riferimento - il ricorrente ha cioè censurato il ricorso a leggi successive alla stipula dell’atto per la valutazione della sua condizione uditiva - il vizio denunciato non attinge, tuttavia, la ritenuta infondatezza del denunciata nullità dell’atto per violazione delle richiamate disposizioni della legge notarile, la quale potrebbe essere sostenuta solo sulla scorta della prova del totale deficit dell’udito, presupposto per l’obbligo in capo al notaio di far leggere l’atto dalla parte e di darne conto nell’atto - l’esame complessivo delle due censure, fra loro intimamente collegate, conduce quindi al rilievo della loro infondatezza, in quanto, se è vero che non appare condivisibile rifarsi a una definizione normativa, per qualificare una determinata fattispecie, emanata successivamente all’epoca il cui la vicenda sottoposta a scrutinio si è verificata così dovendosi correggere ai sensi dell’art. 384 c.p.c., in parte qua, la motivazione della decisione impugnata , è altrettanto vero che la legge notarile sopra richiamata è anteriore di alcuni decenni rispetto alla norma che nel ricorso si assume violata -il realtà, l’avverbio adoperato dal legislatore interamentè è funzionale all’esigenza che la grave sanzione della nullità dell’atto intende soddisfare l’effettiva percezione da parte del soggetto pur affetto da problemi all’udito del suono delle parole pronunciate dal notaio - sotto tale profilo mette conto di richiamare un risalente, ma sempre condivisibile arresto di questa Corte, secondo cui la lettura dell’atto da parte del sordo è necessaria, non solo quando è affetto da sordità totale , ma anche quando la minorazione sia talmente grave da impedire, pur con l’uso di speciali apparecchiature, quella percezione uditiva che possa dargli la comprensione di ciò che è stato inserito nell’atto come manifestazione della sua volontà - nel caso in esame detta percezione, per altro risultante dall’atto pubblico, è stata positivamente valutata in concreto dalla corte distrettuale - sulla base degli accertamenti compiuti dal consulente tecnico d’ufficio - in virtù di una valutazione di merito ad essa riservata cfr., sempre in relazione all’accertamento della qualità richiesta ai fini della validità dell’atto notarile Cass., 2 agosto 1966, n. 2152 , e non risulta adeguatamente contestata dalla parte ricorrente, che, come sopra evidenziato, si è limitata ad invocare la valenza della certificazione rilasciata ai sensi della L. n. 371 del 1970, la cui definizione di sordità è espressamente confinata Art. 1 Ai sensi della presente legge nei limiti dell’attribuzione di un assegno mensile di assistenza - non si tratta, in definitiva, di disapplicare un atto amministrativo, come pure erroneamente si sostiene nel ricorso, ma di tener conto dei diversi ambiti - formazione dell’atto notarile e norma previdenziale - in cui la nozione di sordità acquista rilievo sotto il profilo giuridico - non può dunque che respingersi il ricorso e, in applicazione del principio di soccombenza, condannare i ricorrenti alla rifusione delle spese a favore di parte controricorrente che ha concluso per il rigetto dell’impugnazione -ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite a favore dei controricorrenti D.B.A. , F. e S. e liquidate in Euro 3200,00 di cui Euro 200,00 per spese oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.