Compravendita e denuncia dei vizi: per interrompere la prescrizione è sufficiente un atto stragiudiziale di messa in mora

L’art. 1495, comma 3, c.c. deve essere interpretato nel senso che, al fine di interrompere la prescrizione in materia di diritto al risarcimento nell’ambito di un contratto di compravendita, non è necessario istaurare un giudizio, essendo sufficiente una manifestazione della volontà stragiudiziale in forma scritta.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 18672/19, depositata l’11 luglio. Il caso. Un vivaio agiva giudizialmente avverso un’azienda agricola, lamentando come una fornitura di un gran numero di piante comprata dalla stessa fosse affetta da un grave vizio. A detta della compratrice, difatti, più della metà delle piante consegnate erano affette da una grave malattia che ne aveva cagionato la morte. Alla luce di tale grave difetto la compratrice aveva scritto in varie istanze alla venditrice, domandando un rimborso, senza ottenerlo. Stante l’impossibilità di conciliare la questione in via stragiudiziale, il vivaio agiva in giudizio presso il giudice di pace al fine di ottenere il ristoro del danno subito. Il giudice di pace accoglieva la domanda della parte attrice. Il giudizio approdava quindi al Tribunale per una valutazione in grado d’appello. In modo non dissimile dal primo giudice, il Tribunale accoglieva le ragioni della parte acquirente, sancendo il diritto della stessa a percepire un risarcimento per la fornitura delle piante affetta dai predetti vizi. Stante la duplice soccombenza, l’azienda agricola agiva in Cassazione. Il ricorso in cassazione. Il ricorso depositato in Cassazione era fondato su tre motivi di diritto. In prima battuta secondo la parte ricorrente rilevava come il giudice d’appello avesse applicato in modo non corretto il disposto dell’art. 1495 c.c. e l’art. 2697 c.c. in quanto la parte avversa non avrebbe provato di avere correttamente e tempestivamente interrotto la prescrizione vigente in materia di contratti di compravendita. Con la seconda doglianza, invece, la ricorrente denunciava la falsa applicazione dell’art. 1495, comma 3, c.c., nella misura in cui i giudici di merito avevano ritenuto sufficiente ai fini dell’interruzione della prescrizione del diritto del compratore, il mero invio di comunicazioni. La norma in oggetto affermava infatti che L'azione si prescrive, in ogni caso, in un anno dalla consegna ma il compratore, che sia convenuto per l'esecuzione del contratto, può sempre far valere la garanzia, purché il vizio della cosa sia stato denunziato entro otto giorni dalla scoperta e prima del decorso dell'anno dalla consegna”. A parere della ricorrente, tale disposizione avrebbe dovuto essere interpretata in modo da considerare prescritta l’azione risarcitoria se non azionata entro un anno, a nulla valendo eventuali interruzioni della prescrizione stragiudiziali. Il Tribunale adito, invece, aveva ritenuto l’idoneità di preventivi atti di costituzione in mora di carattere stragiudiziale e in ragione di ciò aveva considerato utilmente interrotta la prescrizione del diritto azionato. Il terzo e ultimo motivo afferiva invece a un secondo vizio in merito all’interpretazione dell’art. 2697 c.c. nella parte in cui la compratrice non avrebbe correttamente fornito prova dei vizi delle piante. La seconda sezione della cassazione rinvia la questione alle Sezioni Unite. La Corte di Cassazione, analizzato il ricorso, rilevava un importante contrasto nella propria giurisprudenza e rinviava il giudizio alle Sezioni Unite. Il contrasto, inerente al secondo motivo di ricorso come sopra descritto, riguardava l’attitudine o meno di un atto stragiudiziale di interrompere il termine legale di prescrizione descritto dall’art. 1495, comma 3, c.c. in tema di contratti di compravendita. Secondo un primo indirizzo giurisprudenziale, difatti, la prescrizione della garanzia di cui alla norma citata è validamente interrotta mediante la manifestazione stragiudiziale da parte del compratore alla parte venditrice in merito alla volontà di esercitare l’azione in seguito. Spetta poi al danneggiato la decisione di agire in giudizio per ottenere la risoluzione del contratto o il rimborso del minor valore del bene affetto da vizi la scelta diverrebbe quindi irrevocabile solo a seguito dell’istaurazione dell’azione giudiziale . Questa interpretazione era stata espressa, ad esempio, dalle sentenze Cass. Sez. II, 10 settembre 1999, n. 9630 Cass. Sez. II, 6 giugno 1977, n. 2322 Cass. Sez. II, 8 luglio 2010, n. 18035 e Cass. Sez. II, 10 novembre 2015, n. 22903. Di differente avviso era un’altra corrente giurisprudenziale, la quale, in buona sostanza, considerava come il compratore avesse la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo e come ciò fosse un diritto potestativo, a fronte del quale la posizione del venditore sarebbe di mera soggezione. Alla luce di questo secondo orientamento, il termine prescrizionale per l’esercizio di tali azioni avrebbe potuto essere interrotto unicamente con la costituzione in giudizio, e non anche atti di costituzione in mora ai sensi dell’art. 1219, comma 1, c.c. Questa interpretazione era stata seguita dalle sentenze della Cassazione, Sezione II, numeri 18477 del 2003, 20332 del 2007 e 20705 del 2017. Secondo l’ordinanza interlocutoria della II Sezione della Cassazione, inoltre, tale ricostruzione non distingue tra prescrizione della garanzia e prescrizione delle azioni edilizie e condurrebbe a ritenere inidoneo ai fini interruttivi l’impegno del venditore di eliminare i vizi, e ciò senza indagare se detto atto, in quanto idoneo a interrompere la prescrizione della garanzia, impedisca pure la prescrizione delle azioni edilizie a valle”. Le Sezioni Unite, quindi, si trovavano di fronte ad un chiaro contrasto giurisprudenziale, che risolvevano con la sentenza 18672 dell’11 luglio 2019, in commento. La cassazione a sezioni unite statuisce il principio in ragione del quale è sufficiente una manifestazione stragiudiziale al fine di interrompere la prescrizione nell’ambito di un’azione per vizi della cosa venduta. Con la sentenza in commento le Sezioni Unite della Cassazione sposavano la prima interpretazione giurisprudenziale descritta nel paragrafo precedente. Il principio espresso dalla Suprema Corte era infatti il seguente nel contratto di compravendita costituiscono - ai sensi dell’art. 2943 c.c., comma 4, c.c. – idonei atti interruttivi della prescrizione dell’azione di garanzia per vizi prevista dall’art. 1495, comma 3, c.c. le manifestazioni extragiudiziali di volontà del compratore compiute nelle forme di cui all’art. 1219, comma 1, c.c. con la produzione dell’effetto generale contemplato dall’art. 2945, comma 1 c.c.”. Tale orientamento, secondo le Sezioni Unite, sarebbe stato da prediligere in quanto non sussisterebbero motivazioni per impedire al compratore di giovarsi dell’ordinario regime delle prescrizioni, con conseguente applicazione dell’art. 2943, comma 4, c.c. e quindi consentire non solo alle domande giudiziali, ma anche agli atti stragiudiziali di costituzione in mora di impedire il decorso della prescrizione interrompendo i termini dell’azione. Questa interpretazione della norma, inoltre, aveva il pregio di consentire alle parti di perseguire una risoluzione stragiudiziale della controversia senza rendere indispensabile per il compratore di promuovere un giudizio, impedendo il possibile svolgimento di una conciliazione antegiudiziale, resa di fatto impossibile dalla necessità di interrompere i termini mediante la proposizione di un giudizio. L’effetto derivante dal principio espresso dalle Sezioni Unite è quello di comportare che, ogni volta che il compratore decida di mettere in mora il venditore – anche stragiudizialmente – inizia a decorrere un nuovo periodo di prescrizione di un anno ai sensi del principio generale espresso dall’art. 2945 c.c. favorendo come detto una soluzione conciliatoria e lasciando la possibilità al compratore di agire all’esito fallimentare della stessa.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 9 aprile – 11 luglio 2019, n. 18672 Presidente Mammone – Relatore Carrato Fatti di causa 1. Con atto di citazione notificato il 2 gennaio 2006, l’Azienda Agricola San Donato conveniva in giudizio dinanzi al giudice di pace di Lizzano la Vivai Cooperativi Rauscedo scarl, per sentir pronunciare - ai sensi degli artt. 1490 e 1492 c.c. - la riduzione del prezzo di una partita di piante acquistate dalla convenuta il 29 febbraio 2004, salvo il risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio. L’attrice esponeva, al riguardo, di aver provveduto alla restituzione di una parte delle piante in data 8 marzo 2004, in quanto palesemente affette da virosi, e di aver reiterato la denuncia per vizi con quattro raccomandate, cui la venditrice non aveva dato alcun riscontro, procedendo esecutivamente per il recupero del credito residuo. La convenuta, costituitasi in giudizio, eccepiva la tardività della denuncia e la conseguente decadenza dalla garanzia per vizi e, in ogni caso, la prescrizione dell’azione. L’adito giudice di pace - con sentenza n. 118/2009 - accolse la domanda di riduzione del prezzo. La sentenza fu confermata - con sentenza n. 1449/2013 - dal Tribunale di Taranto che respinse le eccezioni di decadenza e prescrizione riproposte in appello dalla venditrice, ritenendo, quanto alla decadenza, che l’acquirente aveva avuto piena contezza dei vizi nel corso del tempo, e che, per effetto delle note inviate nel 2004 e 2005, poteva ritenersi osservato il termine decadenziale quanto alla prescrizione, rilevò che l’azione di garanzia poteva ritenersi utilmente interrotta dalle diverse comunicazioni, con le quali l’acquirente aveva manifestato per iscritto alla venditrice l’inidoneità delle piante all’innesto, prospettando, in tali missive, il ricorso alla tutela giudiziaria poi concretamente attuato. 2. Avverso detta sentenza di appello, la Vivai Cooperativi Rauscedo scarl ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, resistito con controricorso dall’Azienda Agricola San Donato. Il difensore della società controricorrente ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c 2.1. Con il primo motivo la ricorrente Vivai Cooperativi Rauscedo scarl ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 1495 c.c., nonché, sotto diverso profilo, degli artt. 2697 e 1491 c.c., congiuntamente all’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che avevano costituito oggetto della controversia, avuto riguardo all’esclusione - nell’impugnata sentenza - della fondatezza della formulata eccezione di decadenza dal diritto alla garanzia. 2.2. Con il secondo motivo la stessa ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 1495 c.c., comma 3, in uno alla prospettazione del vizio di omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che avevano costituito oggetto della controversia, con riferimento alla statuizione contenuta nella sentenza del Tribunale di Taranto con la quale era stata ritenuta l’idoneità di preventivi atti di costituzione in mora quali atti utili ad interrompere la prescrizione annuale di cui alla norma ritenuta violata, non rilevandosi l’indispensabilità - a tal fine - di dover ricorrere all’esercizio dell’azione giudiziale in senso proprio. 2.3. Con il terzo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., sotto diverso profilo, ancora congiuntamente all’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che avevano costituito oggetto della controversia, in ordine all’asserita confusione dei vizi originari delle piante oggetto della compravendita con il pregiudizio subito dal compratore ritenuto riconducibile a tali vizi, con la mancata valutazione di circostanze che avrebbero potuto condurre ad una diversa decisione. 3. Con ordinanza n. 23857/2018, depositata il 31 gennaio 2018, la Seconda Sezione civile ha rilevato l’emergenza di una questione di massima di particolare importanza riferita all’istituto della garanzia per vizi nel contratto di compravendita e, specificamente, sull’aspetto se siano configurabili idonei atti interruttivi della prescrizione prevista dall’art. 1495 c.c., comma 3, ai sensi dell’art. 2943 c.c. e segg., diversi dalla proposizione dell’azione giudiziale, e se, ed in quale misura, detti atti interruttivi inibiscano il decorso della prescrizione in relazione alle azioni edilizie. Il Primo Presidente ha disposto - ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2, - la decisione sul ricorso, implicante la risoluzione della prospettata questione di massima di particolare importanza, da parte delle Sezioni unite. Ragioni della decisione 1. Rileva il collegio che, prima di esaminare la questione di massima di particolare importanza, posta con l’ordinanza interlocutoria n. 23857/2018 della Seconda Sezione in riferimento al secondo motivo, occorre farsi carico della valutazione del primo motivo formulato dalla ricorrente siccome attinente al profilo preliminare della prospettata erroneità dell’impugnata sentenza circa la ritenuta tempestività della denuncia dei vizi operata dalla società Azienda Agricola San Donato oggi controricorrente . 1.1. La censura è inammissibile perché - diversamente dall’indicazione delle violazioni assunte in rubrica - essa si risolve, in effetti, nella sollecitazione a sindacare le valutazioni di merito compiute dal Tribunale di Taranto in ordine alla denuncia tempestiva dei vizi della partita di piante oggetto di compravendita, su cui, invece, detto Tribunale ha motivato adeguatamente ed in conformità al dettato di cui all’art. 1495 c.c., comma 1, avuto in particolare riguardo all’individuazione della decorrenza del previsto termine di otto giorni per procedere alla relativa denuncia con riferimento all’accertata condizione della effettiva scoperta dei vizi. A tal proposito il giudice di appello - conformemente a quello di primo grado ha ritenuto, con adeguato apprezzamento di fatto immune da vizi logici o giuridici e, perciò, non sindacabile in sede di legittimità , che tale tempestività avrebbe dovuto farsi decorrere dal momento in cui la società acquirente aveva acquisito la certezza oggettiva dell’esistenza del vizio per gradi ed in tempi diversi e che, solo all’esito degli accertamenti eseguiti dal proprio perito, era stato possibile avere piena contezza del vizio medesimo. In particolare, il Tribunale tarantino ha sul punto attestato che la società acquirente, anche per effetto dei contrasti valutativi che avevano riguardato l’eziologia delle caratteristiche negative che afferivano alle piante per come emerso dagli esiti dell’espletata prova orale , aveva avuto una completa ed effettiva cognizione dei vizi in concreto incidenti sulla qualità e sull’idoneità del prodotto alla specifica funzione cui era preposto nel corso del tempo, in ragione dei tempi colturali e degli accertamenti compiuti dal proprio tecnico. In tal modo il suddetto Tribunale si è uniformato alla pacifica giurisprudenza di questa Corte, alla stregua della quale, in tema di compravendita, il termine di decadenza dalla garanzia per vizi occulti decorre solo dal momento in cui il compratore abbia acquisito la certezza oggettiva dell’esistenza e della consistenza del vizio lamentato, non essendo sufficiente il semplice sospetto cfr., ad es., Cass. n. 8183/2002, relativa ad una fattispecie simile in tema di acquisto di piantine di vite rivelatesi inidonee all’uso dopo alcuni mesi dall’acquisto v., anche, Cass. n. 5732/2011 . Ed è importante puntualizzare come sia anche stato condivisibilmente affermato il principio secondo cui il termine di decadenza per la denunzia dei vizi della cosa venduta ai sensi dell’art. 1495 c.c., pur dovendo essere riferito alla semplice manifestazione del vizio e non già alla sua individuazione causale, decorre tuttavia solo dal momento in cui il compratore abbia acquisito la piena cognizione sul piano oggettivo dell’esistenza del vizio, con la conseguenza che ove la scoperta avvenga in via graduale ed in tempi diversi e successivi, in modo da riverberarsi sull’entità del vizio stesso, occorre fare riferimento al momento in cui sia effettivamente e compiutamente emersa la relativa scoperta v. Cass. n. 1458/1994 e Cass. n. 12011/1997 . 2. A questo punto si può passare all’esame del secondo motivo che involge propriamente la questione di massima di particolare importanza sottoposta al vaglio di queste Sezioni unite. 2.1. L’ordinanza interlocutoria. La Seconda sezione - nell’affrontare, con la richiamata ordinanza interlocutoria, la questione implicata dal secondo motivo di ricorso, con il quale si contestava che le comunicazioni con cui l’acquirente aveva manifestato alla venditrice l’esistenza di vizi dei beni venduti, prospettando, mediante tali atti, il ricorso alla tutela giudiziaria, poi effettivamente esperito, costituissero atti idonei ad interrompere, la prescrizione della garanzia del venditore, di cui all’art. 1490 c.c., e delle azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo che da essa derivano ex art. 1492 c.c. - ha osservato come su tale questione si siano essenzialmente formati due orientamenti contrastanti nella giurisprudenza della Corte. Secondo un primo indirizzo, la prescrizione della garanzia, stabilita dall’art. 1495 c.c., comma 3, in un anno, è interrotta dalla manifestazione stragiudiziale al venditore della volontà - del compratore - di volerla esercitare, anche se il medesimo riservi ad un momento successivo la scelta tra la tutela alternativa di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto. Ai fini interruttivi, peraltro, non sarebbe necessaria la precisazione del tipo di tutela giudiziaria che il compratore intende richiedere né risulterebbe rilevante che egli riservi ad un momento successivo tale scelta. In tal senso si è espressa Cass., sez. 2, 10 settembre 1999, n. 9630 e, ancor prima, si era pronunciata nello stesso senso Cass., sez. 2, 6 giugno 1977, n. 2322. Tale orientamento è stato poi ripreso da Cass., Sez. 2, 8 luglio 2010, n. 18035 e da Cass., Sez. 2, 10 novembre 2015, n. 22903. L’interpretazione accolta da tali pronunce - osserva la Seconda Sezione postula la distinzione tra la garanzia, intesa quale situazione giuridica autonoma suscettibile di distinti atti interruttivi della prescrizione, e le azioni edilizie di cui all’art. 1492 c.c., che da essa derivano. Tale distinzione sarebbe alla base della sentenza di queste Sezioni unite n. 13294 del 2005, la quale ha affermato che l’impegno del venditore di eliminare i vizi della cosa venduta non costituisce una nuova obbligazione estintivo-satisfattiva dell’originaria obbligazione di garanzia, ma consente al compratore di essere svincolato dai termini di decadenza e dalle condizioni di cui all’art. 1495 c.c., ai fini dell’esercizio delle azioni di cui al citato art. 1492 c.c., costituendo riconoscimento del debito interruttivo della prescrizione. Secondo un diverso orientamento, invece, la facoltà riconosciuta al compratore di chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo ha natura di diritto potestativo a fronte del quale la posizione del venditore è di mera soggezione. Conseguentemente, si è ritenuto che il termine di prescrizione per l’esercizio di tali azioni possa essere interrotto unicamente attraverso la domanda giudiziale e non anche mediante atti di costituzione in mora ex art. 1219 c.c., comma 1, i quali si attagliano ai diritti di credito ma non ai diritti potestativi. Quale espressione di questo orientamento sono richiamate le pronunce della Seconda sezione n. 18477 del 2003, n. 20332 del 2007 e n. 20705 del 2017. Tale ricostruzione - osserva l’ordinanza interlocutoria - non distingue tra prescrizione della garanzia e prescrizione delle azioni edilizie e condurrebbe a ritenere inidoneo ai fini interruttivi l’impegno del venditore di eliminare i vizi, e ciò senza indagare se detto atto, in quanto idoneo a interrompere la prescrizione della garanzia impedisca pure la prescrizione delle azioni edilizie a valle . Si pone pertanto, ad avviso della Seconda Sezione, la questione di stabilire quali atti siano idonei ad interrompere il breve termine prescrizionale previsto dall’art. 1495 c.c., e cioè se, a tal fine, valga solo l’azione giudiziale ovvero siano idonei anche altri atti e quale debba essere il loro contenuto, nonché il rapporto tra la garanzia, intesa quale autonoma posizione sostanziale e processuale, e quali i diritti e le azioni che da essa hanno origine. Tale questione postula a monte la risoluzione di altra controversa problematica relativa alla natura giuridica della garanzia per vizi e del rapporto tra le categorie generali della garanzia da una parte e delle situazioni giuridiche passive dall’altra. 2.2. La specifica questione sottoposta all’esame delle Sezioni unite. Da quanto riportato si evince, dunque, che la questione centrale - qualificata come di massima di particolare importanza - prospettata dalla Seconda Sezione previa qualificazione dell’istituto della garanzia per vizi nella compravendita con esclusione, stante la loro peculiare disciplina, delle fattispecie di compravendita disciplinate dal c.d. codice del consumo , concerne l’individuazione degli atti idonei a interrompere la prescrizione di cui all’art. 1495 c.c., comma 3, ai sensi dell’art. 2943 c.c. e segg., ed in particolare se possa riconoscersi tale effetto anche ad atti diversi dalla proposizione dell’azione giudiziale, e se, ed in quale misura, detti atti interruttivi inibiscano il decorso della prescrizione in relazione alle azioni edilizie di cui all’art. 1492 c.c., comma 1. 2.3. La disciplina della garanzia per vizi della cosa. Si rileva, in primo luogo, l’opportunità di esporre una sintesi di massima sugli aspetti generali maggiormente precipui della regolamentazione che presiede alla tutela della garanzia per i vizi dell’oggetto della compravendita. Una parte rilevante delle disposizioni codicistiche in tema di vendita concerne le garanzie cui il venditore è tenuto nei confronti del compratore e, in particolare, la garanzia per evizione, la garanzia per vizi artt. 1490 - 1496 c.c. , la mancanza di qualità art. 1497 c.c. e la garanzia di buon funzionamento art. 1512 c.c. . La riconducibilità di tutte tali ipotesi ad un medesimo fondamento è tuttora discussa in dottrina e giurisprudenza, così come non è del tutto pacifica la natura giuridica delle stesse, anche in ragione della disciplina articolata e non univoca predisposta dal legislatore. Le questioni prospettate attengono alla garanzia per il c.d. vizio redibitorio, cioè il vizio che rende la cosa venduta inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuisce in modo apprezzabile il valore art. 1490 c.c. . Tale garanzia è espressamente contemplata dall’art. 1476 c.c., n. 3, che la include tra le obbligazioni principali del venditore. Gli effetti della garanzia sono delineati dall’art. 1492 c.c., comma 1, il quale prevede che, nei casi di cui all’art. 1490 c.c., il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto azione redibitoria , ovvero la riduzione del prezzo azione estimatoria, o quanti minoris , salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione. La scelta tra le due forme di tutela può avvenire fino al momento della proposizione della domanda giudiziale e da tale momento è irrevocabile. Alla risoluzione del contratto conseguono effetti restitutori in quanto il venditore è tenuto a restituire il prezzo e a rimborsare al compratore le spese e i pagamenti sostenuti per la vendita, mentre il compratore deve restituire la cosa, a meno che questa non sia perita a causa dei vizi art. 1493 c.c. . L’art. 1494 c.c., riconosce, inoltre, al compratore il diritto al risarcimento del danno, a meno che il venditore non dimostri di aver ignorato senza sua colpa l’esistenza dei vizi. Il venditore è, altresì, tenuto a risarcire i danni derivanti dai vizi art. 1494 c.c., comma 2 . Si ritiene che, mentre la responsabilità risarcitoria del venditore presuppone che egli versi in una situazione di colpa, i rimedi di cui all’art. 1492 c.c., invece, prescindono da questa e sono azionabili per il fatto oggettivo della esistenza dei vizi. La garanzia resta esclusa se, al momento della conclusione del contratto, il compratore era a conoscenza dei vizi o questi erano facilmente riconoscibili secondo l’ordinaria diligenza, a meno che il venditore abbia dichiarato che la cosa ne era esente art. 1491 c.c. . La garanzia può anche essere esclusa o limitata pattiziamente ma tale patto non vale se il venditore abbia in malafede taciuto al compratore i vizi da cui era affetta la cosa art. 1490 c.c., comma 2 . L’esercizio delle azioni previste dall’art. 1492 c.c. cc.dd. azioni edilizie è circoscritto temporalmente attraverso la previsione di un duplice termine, di decadenza e di prescrizione. Infatti, ai sensi dell’art. 1495 c.c., comma 1, il compratore decade dal diritto di garanzia se non denuncia i vizi al venditore entro otto giorni dalla scoperta, ma le parti possono stabilire convenzionalmente un termine diverso. Nel caso in cui il venditore abbia riconosciuto l’esistenza del vizio o lo abbia occultato, la denuncia non è necessaria. L’art. 1495 c.c., comma 3, - che rappresenta la norma intorno alla quale ruota la questione rimessa a queste Sezioni unite - prevede, inoltre, un breve termine di prescrizione disponendo che l’azione si prescrive in ogni caso in un anno dalla consegna. Tuttavia, convenuto in giudizio per l’esecuzione del contratto, il compratore può sempre far valere la garanzia, purché il vizio sia stato denunciato entro il termine di decadenza e prima che sia decorso un anno dalla consegna. Agli stessi termini si ritiene soggetta anche l’azione di risarcimento del danno. L’art. 1497 c.c., contempla, altresì, in favore del compratore un rimedio per la mancanza di qualità promesse o essenziali per l’uso cui è destinata, soggetto anch’esso ai termini di decadenza e prescrizione di cui all’art. 1495. Proprio al fine di svincolare l’acquirente dai limiti imposti dall’art. 1495 c.c., ed assicurargli una tutela più ampia, la giurisprudenza ha elaborato la figura dell’aliud pro alio datum, la quale ricorre quando vi è diversità qualitativa tra la cosa consegnata e quella pattuita, ovvero anche in ipotesi di vizi di particolare gravità. In tal caso la tutela del compratore è assicurata attraverso i rimedi ordinari dell’azione di risoluzione e di esatto adempimento secondo il termine di prescrizione ordinario, oltre che con il risarcimento del danno. Parte della dottrina seguita pure da un circoscritto filone giurisprudenziale , sempre al fine di garantire una tutela più ampia al compratore e ispirandosi alla normativa comunitaria relativa ai beni di consumo, si era anche orientata a riconoscere al compratore l’azione di esatto adempimento, cioè la possibilità di agire in giudizio per ottenere la riparazione o sostituzione del bene. Tale possibilità è stata, tuttavia, espressamente esclusa da queste Sezioni unite con la sentenza n. 19702 del 2012, secondo cui il compratore, per l’appunto, non dispone - neppure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica - di un’azione di esatto adempimento per ottenere dal venditore l’eliminazione dei vizi della cosa venduta, rimedio che gli compete soltanto in particolari ipotesi di legge garanzia di buon funzionamento, vendita dei beni di consumo o qualora il venditore si sia specificamente impegnato alla riparazione del bene. 2.4. Cenni sul fondamento e sulla natura giuridica della responsabilità della garanzia per vizi. Il recente intervento delle Sezioni unite con la sentenza n. 11748/2019. Così sinteticamente delineata la disciplina positiva codicistica, si rileva come la configurazione dogmatica della garanzia per vizi non sia del tutto pacifica. Essa ha costituito oggetto di ampie e diversificate tesi, che hanno spaziato tra quella che individua nella garanzia una vera e propria assicurazione contrattuale a quella che la colloca nell’ambito della teoria dell’errore, quale vizio del consenso, ovvero da quella che ha posto riferimento all’istituto della presupposizione a quella che ha ravvisato un caso particolare di applicazione delle regole sulla responsabilità precontrattuale. All’interno della dottrina - considerata prevalente - che riconduce le garanzie edilizie ad una ipotesi di responsabilità per inadempimento intesa nel senso di inesecuzione od inesatta esecuzione del contratto , risultano, poi, diversificate le opinioni in ordine all’identificazione dell’obbligazione da ritenere inadempiuta i nel caso di vizi della cosa oggetto di compravendita. È indubbio che il fondamento della responsabilità per vizi e difetti rinviene la sua causa nel fatto che il bene consegnato non corrisponde all’oggetto dovuto alla luce di quanto previsto nell’atto di autonomia privata. Orbene, il collegio, con riferimento a questa problematica presupposta nella individuazione della questione di massima di particolare importanza sollevata dalla Seconda sezione che concerne specificamente l’individuazione della natura giuridica di tale forma di responsabilità, si richiama al risolutivo inquadramento operato da queste stesse Sezioni unite con la recente sentenza n. 11748 del 3 maggio 2019. Con essa - pur dovendosi risolvere la diversa questione sul riparto dell’onere probatorio tra venditore e compratore con riferimento all’esercizio di siffatta tutela della garanzia per vizi - è stata ricondotta ad un tipo di responsabilità contrattuale ma non corrispondente del tutto a quella ordinaria, atteggiandosi come peculiare in virtù della specifica disciplina della vendita per inadempimento che deriva dall’inesatta esecuzione del contratto sul piano dell’efficacia traslativa per effetto delle anomalie che inficiano il bene oggetto dell’alienazione, ovvero che lo rendano inidoneo all’uso cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, e sempre che i vizi - ovviamente - siano preesistenti alla conclusione del contratto, tenuto anche conto che - ai sensi dell’art. 1477 c.c., comma 1, - il bene deve essere consegnato dal venditore nello stato in cui si trovava al momento della vendita. È, in altri termini, solo l’inesistenza di tali tipi di vizi che consente di realizzare oltre che il sinallagma genetico anche quello funzionale, puntualizzandosi, però, che la responsabilità relativa alla loro garanzia prescinde da ogni giudizio di colpevolezza basandosi sul dato oggettivo dell’esistenza dei vizi stessi e traducendosi nella conseguente assunzione del rischio - di origine contrattuale - da parte del venditore di esporsi all’esercizio dei due rimedi edilizi di cui può avvalersi, a sua scelta, il compratore, al quale è riconosciuto anche il diritto al risarcimento dei danni, salvo che il venditore provi di aver senza colpa ignorato i vizi. 2.5. Le conseguenze delle diverse ricostruzioni sui rimedi a tutela del compratore. Esposte le varie posizioni sul fondamento e sulla natura giuridica della garanzia per vizi, bisogna, tuttavia, osservare che la dottrina si è pure occupata - anche se in modo non del tutto approfondito - della collegata problematica relativa agli strumenti rimediali in favore dell’acquirente discendenti dalle richiamate ricostruzioni. La ratio della previsione di un ristretto termine di prescrizione viene prevalentemente rinvenuta nella esigenza di evitare che il decorso del tempo renda eccessivamente gravoso l’accertamento delle cause dei difetti e di salvaguardare la certezza delle sorti del contratto. Tuttavia, proprio la brevità di un tale termine ha posto la questione della individuazione degli atti idonei ad interrompere la prescrizione. In dottrina il dibattito è stato particolarmente intenso allorquando si è messa in evidenza la circostanza - a cui attiene propriamente la questione di massima di particolare importanza da risolvere in questa sede - che l’art. 1495 c.c., comma 3, riferisce i termini di prescrizione all’azione, a differenza dell’art. 2934 c.c., il quale rivolge la prescrizione ai diritti. Da ciò si è ritenuto, per un verso, che ad evitare la perdita della garanzia varrebbe soltanto l’esercizio dei mezzi processuali e, per altro verso ed in senso contrario, altri orientamenti hanno obiettato che il dato letterale del riferimento della prescrizione all’azione anziché al diritto sarebbe irrilevante posto che la terminologia legislativa non può ritenersi decisiva in quanto anche altre volte esprime la pretesa sostanzialmente in termine di azione nell’art. 2947 c.c., comma 3, si parla con formule equivalenti di prescrizione dell’azione e di prescrizione del danno . Ma, soprattutto, si rileva come i rimedi edilizi siano rimedi sostanziali in quanto attraverso di essi il compratore fa valere un diritto contrattuale. Conseguentemente, benché i rimedi previsti a vantaggio dell’acquirente siano indicati come azioni di risoluzione ed estimatoria , in realtà essi non coinvolgerebbero tematiche processuali ma avrebbero contenuto sostanziale di tutela del diritto. Per tale ragione sarebbero idonei a interrompere la prescrizione non solo il riconoscimento, da parte del venditore, non del vizio ma del diritto del compratore alla garanzia, ma anche, in virtù dell’art. 2943 c.c., gli atti di costituzione in mora del venditore e pure l’impegno assunto da quest’ultimo di eliminare i vizi. Meri menzione anche un ulteriore peculiare indirizzo il quale ritiene, invece, che il compratore possa valersi soltanto dell’interruzione della prescrizione derivante o dalla proposizione della domanda giudiziale, cui si equipara l’esperimento del procedimento preventivo ex art. 1513 c.c., o dal riconoscimento da parte del venditore del suo diritto alla garanzia. 2.6. - Le posizioni della pregressa giurisprudenza sulla questione oggetto dell’ordinanza interlocutoria. Come rilevato nell’ordinanza di rimessione della Seconda sezione cfr. paragr. 2.1 , si rinvengono nella giurisprudenza di questa Corte sostanzialmente due distinti orientamenti circa la qualificazione giuridica della garanzia per vizi e, conseguentemente, sulla individuazione degli atti interruttivi della prescrizione. Un primo orientamento configura la garanzia per vizi come un autonomo diritto in forza del quale il compratore può, a sua scelta, domandare la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo. Ne consegue che quando il compratore comunica al venditore che intende far valere il diritto alla garanzia, egli interrompe la prescrizione inerente a tale diritto. A tal fine si ritiene che non sia necessaria la precisazione del tipo di tutela che andrà a chiedere in via giudiziaria ed è altresì irrilevante, ai fini della idoneità della interruzione, la riserva di scelta del tipo di tutela, in quanto - si afferma - non rappresenterebbe comunque riserva di far valere un diritto diverso da quello in relazione al quale si interrompe la prescrizione così Cass., Sez. 2, Sentenza n. 9630 del 1999 . Più di recente, Cass., Sez. 2, n. 22903 del 2015, richiamando il precedente del 1999, ha affermato che costituisce atto interruttivo della prescrizione della garanzia per vizi della cosa la manifestazione al venditore della volontà - del compratore - di volerla esercitare, benché lo stesso differisca ad un momento successivo l’opzione per il tipo di strumento rimediale da esercitare. A tal fine, la Corte ha valutato come idonea l’espressione con più ampia riserva di azione , contenuta nel telegramma inviato al venditore, con cui il compratore contestava i vizi dell’immobile acquistato, ritenendo sufficiente la comunicazione della volontà di avvalersi della garanzia suddetta e dovendosi escludere che la riserva di scelta del tipo di tutela sia diretta a far valere un diritto diverso da quello in relazione al quale si interrompe la prescrizione nella pronuncia qui richiamata del 2015, si è anche aggiunto che, ai fini di una valida costituzione in mora e del verificarsi dell’effetto interruttivo della prescrizione, non è necessario che il compratore, insieme con la contestazione dei vizi, eserciti la scelta dell’azione, la quale è procrastinabile fino alla proposizione della domanda giudiziale . Un secondo orientamento cfr. Cass., Sez. 2, nn. 18477/2003, 20332/2007, 8417/2016 e n. 20705/2017 ha affermato che, siccome l’esercizio delle azioni edilizie in favore del compratore di una cosa affetta da vizi implica la configurazione di una posizione del venditore di mera soggezione, dovrebbe conseguire che la prescrizione dell’azione, fissata in un anno dall’art. 1495 c.c., comma 3, può essere utilmente interrotta soltanto dalla proposizione della domanda giudiziale e non anche mediante atti di costituzione in mora. Ciò sul presupposto che gli atti al quale l’art. 2943, comma 4, c.c. connette l’effetto di interrompere la prescrizione sono infatti quelli che valgono a costituire in mora il debitore e devono consistere, per il disposto dell’art. 1219 c.c., comma 1, in una intimazione o richiesta di adempimento di un’obbligazione previsioni che si attagliano ai diritti di credito e non a quelli potestativi . È, peraltro, opportuno mettere in risalto che un tentativo di ricostruzione unitaria dei due orientamenti manifestatisi nella giurisprudenza di legittimità è stato operato da una sentenza della Seconda sezione, la n. 8418 del 2016 non mass. , la quale ha sostenuto che essi avrebbero riguardo a situazioni distinte. Si è in essa, infatti, sostenuto che la richiamata sentenza n. 9630 del 1999, nel considerare atto interruttivo della prescrizione dell’azione di garanzia la manifestazione della volontà del compratore di volerla esercitare, riguarderebbe l’ipotesi in cui il compratore abbia espresso la volontà di esercitare la garanzia e si sia riservato di effettuare successivamente la scelta tra i rimedi consentiti dall’art. 1492 c.c Diversa sarebbe, invece, l’ipotesi in cui il compratore dichiari di avvalersi direttamente dell’azione di risoluzione del contratto. In tal caso differente sarebbe la modalità di interruzione della prescrizione dal momento che la facoltà riconosciuta al compratore di chiedere la risoluzione gli conferirebbe un diritto potestativo a fronte del quale la posizione del venditore sarebbe di mera soggezione, non essendo egli tenuto a compiere alcunché ma solo a subire gli effetti della sentenza costitutiva. In tale ipotesi, per l’interruzione della prescrizione occorrerebbe dar luogo solo all’esperimento dell’azione giudiziale, non assumendo efficacia a tale scopo l’intimazione riconducibile a meri atti di costituzione in mora. 2.7. La risoluzione della questione di massima di particolare importanza sottoposta all’esame delle Sezioni unite. Ritiene il collegio che la questione individuata nell’ordinanza interlocutoria della Seconda sezione n. 23857/2018 debba essere risolta accedendo all’impostazione e al relativo percorso ermeneutico adottati, in prima battuta, con la sentenza n. 9630/1999 e poi ripresi dalla sentenza n. 22903/2015, con cui si è statuito il principio alla stregua del quale la prescrizione della garanzia per vizi è interrotta dalla comunicazione al venditore della volontà del compratore di esercitarla benché questi riservi ad un momento successivo la scelta del tipo di tutela, dovendosi escludere che la riserva concerna un diritto diverso da quello in relazione al quale si interrompe la prescrizione. Come prevede l’art. 1495 c.c., comma 3, l’azione di garanzia per i vizi e la mancanza di qualità dovute si prescrive in un anno dalla consegna. Questo termine breve di natura eccezionale - è, perciò, non estensibile al di fuori dei casi previsti - così fissato dal legislatore per garantire la stabilizzazione, in tempi circoscritti, dei rapporti economici riconducibili alle contrattazioni in tema di compravendita , che si collega all’onere della preventiva denuncia il cui assolvimento è prescritto dall’art. 1495 c.c., comma 1, concerne la tutela contrattuale del compratore per far valere l’inesatto adempimento per difettosità del bene oggetto della vendita, a prescindere dal rimedio. Il presupposto di fondo, quindi, consiste nella configurazione di tale responsabilità dell’acquirente come obbligazione derivante ex contractu nei termini precedentemente precisati v. paragr. 2.4 . È il momento della consegna che individua il dies a quo della decorrenza di tale termine di prescrizione. È, altresì, pacifico che, ove la consegna non sia accettata, il termine prescrizionale abbreviato in questione non decorre, poiché il rifiuto dell’acquirente non consente di considerare eseguita la prestazione. Ai sensi dello stesso art. 1495 c.c., comma 3, il compratore può avvalersi della garanzia in esame anche oltre il suddetto termine prescrizionale allorquando sia il venditore ad agire per l’esecuzione del contratto. Al di là della descritta peculiarità della disciplina della prescrizione in questione, le Sezioni unite ritengono che - per quanto non espressamente previsto - trovi applicazione la disciplina generale in tema di prescrizione, con la conseguente operatività, tra l’altro, delle ordinarie cause di interruzione e di sospensione con particolare riferimento - per quel che rileva in questa sede - all’art. 2943 c.c. e, specificamente, al suo comma 4 . Il diverso indirizzo che ritiene necessario ai fini dell’interruzione del termine prescrizionale annuale l’esercizio dell’azione a cui pone formale riferimento l’incipit dell’art. 1495 c.c., comma 3, che non discorre del diritto di far valere l’azione entro detto termine ma sancisce testualmente che l’azione di prescrive . in via giudiziale non può essere condiviso. Deve, infatti, osservarsi che, in primo luogo, l’attuale formulazione diverge da quella adottata nel codice civile del 1865 che, invece, lasciava propendere per la necessità dell’esperimento dell’azione giudiziale l’art. 1505, comma 1, di detto codice prevedeva testualmente che l’azione redibitoria deve proporsi entro un anno dalla consegna . La formula ora prevista nell’art. 1495, comma 3, del vigente codice civile si richiama esplicitamente alla prescrizione e, pur discorrendosi di prescrizione dell’azione, va rilevato che il ricorso a tale terminologia non può ritenersi decisivo nel senso che debba ritenersi riferibile esclusivamente all’esercizio dell’azione giudiziale. Su un piano sistematico va, infatti, osservato che, anche in altre disposizioni normative, il legislatore ha posto riferimento - ma in senso atecnico dal punto di vista giuridico - alla pretesa sostanziale in termine di azione dove si avverte il senso concreto della tutela della posizione soggettiva nell’ordinamento cfr., ad es., l’art. 2947 c.c., comma 3, in cui si parla, indistintamente e con formule equivalenti, di prescrizione dell’azione e di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, e l’art. 132, comma 4, del c.d. codice del consumo - D.Lgs. n. 206/2005 - laddove, per un verso, si parla di azione e, per altro verso, si parla di far valere i diritti correlati ai vizi della cosa venduta . Diversamente, sempre con riferimento alla vendita, l’art. 1497 c.c. - riferito alla risolubilità del contratto per mancanza di qualità - sancisce, al comma 2, che il diritto di ottenere la risoluzione e non, quindi, l’esercizio della relativa azione è soggetto alla decadenza e alla prescrizione stabilite proprio dal precedente art. 1495. Appare, quindi, incontestabile che, con riguardo al potere di agire, viene in rilievo la pretesa sostanziale del compratore, ovvero la pretesa contrattuale all’esatta esecuzione del contratto, con la conseguenza che, alla tutela di questa pretesa ad essere garantito se insoddisfatta, soccorrono i rimedi sostanziali che non si sostituiscono al diritto primario ma ne perseguono una tutela diretta o indiretta. In sostanza, nella prospettiva generale della questione in esame, deve sottolinearsi che, in effetti, non si verte propriamente nell’ipotesi di esercitare un singolo specifico potere ma di far valere il diritto alla garanzia derivante dal contratto, rispetto al quale, perciò, non si frappongono ostacoli decisivi che impediscono l’applicabilità della disciplina generale della prescrizione e che, invece, in un’ottica sistematica, appare con esso compatibile , ivi compresa quella in materia di interruzione e sospensione. Quando si avvale della garanzia il compratore fa valere l’inadempimento di una precisa obbligazione del venditore contemplata dall’art. 1476 c.c., n. 3 e, conseguentemente, sul piano generale, deve ammettersi che lo possa fare attraverso una manifestazione di volontà extraprocessuale e ciò si inferisce anche da quanto stabilisce l’art. 1492 c.c., comma 2, il quale, prevedendo che la scelta è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale , significativamente la prefigura, riconnettendo, invero, alla domanda in sede processuale la sola impossibilità di rimeditare l’opzione tra risoluzione e riduzione del prezzo. Anche questo argomento di tipo logico-sistematico conforta, quindi, l’ammissibilità dell’interruzione della prescrizione con un atto stragiudiziale, fermo rimanendo che l’interruzione si limita a far perdere ogni efficacia al tempo già trascorso prima del compimento dell’atto, senza interferire con il modo di essere del diritto. La soluzione per la quale si propende si lascia preferire anche per una ragione di ordine generale che impatta sul piano socio-economico posto che, per effetto dell’operatività dell’interruzione della prescrizione secondo la disciplina generale e, quindi, anche mediante atti stragiudiziali , esiste una plausibile possibilità che il venditore intervenga eventualmente - a seguito della costituzione in mora - eliminando i vizi possibile, se le parti convengano, prima e al di fuori del processo, configurandosi solo in questo senso la limitazione dei rimedi stabilita dall’art. 1490 e segg. , così evitando che il compratore debba rivolgersi necessariamente al giudice esercitando la relativa azione in sede, per l’appunto, giudiziale. Questa possibilità è idonea ad perseguire - in termini certamente più ristretti rispetto a quelli fisiologici di un giudizio - un’efficace tutela delle ragioni dell’acquirente, senza tuttavia penalizzare eccessivamente il venditore, poiché dal momento dell’interruzione della prescrizione ricomincia a decorrere il termine originario in tal modo è, altresì, assicurato alle parti un congruo spatium deliberandi e si evita la conseguenza di una inutile proliferazione di giudizi, così rimanendo realizzato un ragionevole bilanciamento tra tutti gli interessi coinvolti. In definitiva, il collegio ritiene che non sussistano ragioni impeditive determinanti per negare al compratore di avvalersi della disciplina generale in tema di prescrizione - con correlata applicabilità anche dell’art. 2943 c.c., comma 4, - e, quindi, per imporgli di agire necessariamente in via giudiziale al fine di far valere la garanzia per vizi in tema di compravendita. Da ciò consegue che non solo le domande giudiziali ma anche gli atti di costituzione in mora ai sensi dell’appena citato art. 2943 c.c., comma 4, che si concretano - in relazione al disposto di cui all’art. 1219 c.c., comma 1, - in qualsiasi dichiarazione formale che, in generale, esprima univocamente la pretesa del creditore all’adempimento da parte del compratore costituiscono cause idonee di interruzione della prescrizione l’effetto che ne deriva è che, una volta che si faccia ricorso a tali atti entro l’anno dalla consegna, inizia a decorrere un nuovo periodo di prescrizione di un anno ai sensi della norma generale di cui all’art. 2945 c.c., comma 1 e l’idoneità interruttiva di tali atti persegue, come già evidenziato, anche lo scopo - in presenza, peraltro, di un termine così breve - di favorire una risoluzione stragiudiziale preventiva della possibile controversia rispetto all’opzione, a tutela delle ragioni del compratore, per la scelta di vedersi riconosciuto il diritto alla garanzia e di ottenere uno degli effetti giuridici favorevoli previsti dalla legge solo mediante l’esercizio dell’azione in via giudiziale. In definitiva, quale principio di diritto risolutivo della prospettata questione di massima di particolare importanza, deve affermarsi che nel contratto di compravendita, costituiscono - ai sensi dell’art. 2943 c.c., comma 4, - idonei atti interruttivi della prescrizione dell’azione di garanzia per vizi, prevista dall’art. 1495 c.c., comma 3, le manifestazioni extragiudiziali di volontà del compratore compiute nelle forme di cui all’art. 1219 c.c., comma 1, con la produzione dell’effetto generale contemplato dall’art. 2945 c.c., comma 1. 2.8. Sulla base, quindi, dell’argomentato percorso logico-giuridico fin qui compiuto, il secondo motivo, nella parte in cui con lo stesso risulta denunciata la violazione dell’art. 1495 c.c., comma 3, specificamente interessato dalla risolta questione di massima di particolare importanza , deve essere respinto, risultando corretta l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la prescrizione dell’azione di garanzia per vizi in discorso poteva essere interrotta con atto stragiudiziale. Il motivo è, invece, inammissibile con riferimento alla seconda parte in cui è stato dedotto l’omesso esame circa fatti decisivi in ordine alla circostanza che dalle missive indicate nella stessa censura non sarebbe stata desumibile l’inequivocabile manifestazione di volontà dell’acquirente di far valere il proprio diritto alla garanzia necessaria per riconoscere alle stesse efficacia interruttiva. Osserva il collegio che per questa parte il mezzo ha inteso, in effetti, porre in discussione l’interpretazione del contenuto delle citate missive quali atti di autonomia privata , la cui attività costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità ove adeguatamente e logicamente motivato, come verificatosi nel caso di specie. In particolare, con riferimento al prospettato vizio formalmente ricondotto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è certamente insussistente l’omesso esame del fatto decisivo in questione, essendo il nucleo centrale della motivazione adottata dal Tribunale di Taranto incentrato proprio sull’esame di tale aspetto. Peraltro, nell’articolazione della censura qui in discorso, la ricorrente non ha precisato nemmeno quali canoni ermeneutici non sarebbero stati osservati e non ha neanche riportato adeguatamente ed in modo integrale il contenuto delle due contestate missive, finendo, in sostanza, con il censurare inammissibilmente il risultato ermeneutico in sé, che appartiene pacificamente all’ambito dei giudizi di fatto riservati dal giudice di merito. 3. Rileva, poi, il collegio che il terzo complessivo motivo è anch’esso inammissibile, poiché si risolve - all’evidenza - in una sollecitazione ad una globale rivalutazione di merito sul nesso eziologico tra i vizi originariamente constatati e la successiva accertata deficienza vegetativa della partita di piante barbatelle oggetto della compravendita e, perciò, delle inerenti risultanze istruttorie, con particolare riferimento agli esiti dell’esperita prova testimoniale, senza che - nella fattispecie - si sia comunque venuta a configurare la supposta violazione dell’art. 2697 c.c., avendo la parte acquirente assolto all’onere probatorio - sulla medesima gravante - di riscontrare l’esistenza dei vizi e la loro idoneità a rendere inservibile ed inutilizzabile allo scopo per il quale era stato comprato il quantitativo di piante fornitogli in conformità al principio in proposito affermato da queste Sezioni unite con la recente sentenza n. 11748/2019, già richiamata in precedenza . Quanto all’omesso esame del fatto decisivo attinente alla suddetta circostanza sulla individuazione della causa determinatrice dei vizi è fin troppo palese osservare che, in effetti, con esso la ricorrente ha inteso - ancora una volta inammissibilmente - contestare l’apprezzamento di merito svolto, invece adeguatamente, dal giudice di appello in ordine alle complessive emergenze istruttorie acquisite al processo. 4. In definitiva, il ricorso deve essere integralmente respinto. Sussistono, tuttavia, in virtù della obiettiva controvertibilità della esaminata questione di massima di particolare importanza riferita al secondo motivo, idonei e giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità. Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della soccombente ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le spese del presente giudizio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.