La Suprema Corte sul rapporto pertinenziale tra un bene oggetto di arredo e l’immobile da comprare

Di regola, è da escludere la natura pertinenziale dei beni mobili che arredano un immobile, a meno che essi non siano destinati durevolmente” all’ornamento di quest’ultimo.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 12731/19, depositata il 14 maggio. La vicenda. Il Tribunale di Verona, rigettando l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da un’azienda agricola, condannava questa a consegnare ad una società immobiliare 2 camini e 2 specchiere, poiché parti integranti dell’immobile venduto, per essere incorporati in esso. La Corte d’Appello, adita in secondo grado, rigettava la domanda proposta dalla società immobiliare, così questa propone ricorso per cassazione attraverso 3 motivi, i quali vertono sulla asserita natura di rapporto pertinenziale esistente tra le suddette specchiere e l’immobile oggetto di compravendita. Il vincolo pertinenziale. Per la Suprema Corte tali motivi di ricorso non possono trovare accoglimento, partendo dal fatto che, ai fini della sussistenza di un vincolo pertinenziale è necessario il concorso di 2 presupposti, ossia l’idoneità del bene a svolgere funzione di servizio o ornamento ad un altro bene e l’effettiva volontà dell’avente diritto di destinare in modo durevole il bene accessorio a servizio o ornamento del bene principale. Tale volontà di destinazione non necessita di forme particolari o solenni per essere manifestata, ma può essere tratta da qualsiasi elemento ritenuto idoneo a tal fine dal giudice di merito. Indispensabile è comunque il rapporto funzionale o strumentale che oggettivamente sussiste tra la cosa principale e la cosa accessoria. E per quanto riguarda le cosiddette pertinenze urbane, si deve escludere la natura di pertinenza delle suppellettili, degli arredi e degli immobili che riguardano esclusivamente la persona del titolare del diritto reale sulla cosa principale e non la cosa in sé considerata. La sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo. Ebbene, nel caso in esame, quanto all’elemento oggettivo, il giudice di merito ha osservato che dalle prove assunte, ossia le fotografie, è evidente che le specchiere non fossero stabilmente attaccate al muro, escludendo così che per tali suppellettili l’acquirente possa avanzare alcuna pretesa. Per quanto riguarda invece la sussistenza dell’elemento soggettivo, dall’indagine effettuata dalla Corte d’Appello emerge che l’atto di trasferimento dell’immobile aveva escluso che la vendita riguardasse anche le 2 specchiere, precludendo così il nascere di un rapporto pertinenziale tra l’immobile e le specchiere. Per tutte queste ragioni, il Supremo Collegio rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, ordinanza 7 novembre 2018 – 14 maggio 2019, n. 12731 Presidente Lombardo – Relatore Falaschi Fatti di causa e ragioni della decisione Il Tribunale di Verona, con sentenza n. 1524/2008, rigettando l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dall’Azienda Agricola Lavinia Sagramoso Polfranceschi s.a.s., condannava quest’ultima a consegnare alla Elle Immobiliare s.p.a., acquirente del complesso sito in Verona, via Seghe San Tommaso, due camini in pietra lavorata e due specchiere a muro, in quanto parti integranti dell’immobile venduto, per essere in esso incorporati. A seguito di appello interposto da Azienda Agricola L.S.P. s.a.s., la Corte d’appello di Venezia, accogliendo parzialmente il gravame, rigettava la domanda proposta da Elle Immobiliare s.p.a. limitatamente alla restituzione delle due specchiere. Avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia, la Elle Immobiliare s.p.a. propone ricorso per cassazione, fondato su tre motivi. Azienda Agricola L.S.P. s.a.s. resiste con controricorso. Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5 , su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio. In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. Atteso che con il primo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ed ex art. 65 ord. giud., l’omesso esame di un fatto dirimente per il giudizio, per non aver la Corte di appello esaminato il rapporto pertinenziale esistente tra le specchiere e l’immobile oggetto della compravendita. detta di parte ricorrente, infatti, il giudice di merito si sarebbe limitato a verificare l’assenza di un rapporto di incorporazione tra i beni, omettendo di pronunciarsi sulla pertinenzialità. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 817 e 818 c.c., in tema di pertinenze, per non aver il giudice d’appello riconosciuto l’avvenuta destinazione pertinenziale delle specchiere rispetto all’immobile oggetto di compravendita. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in combinato disposto con gli artt. 115 e 167 c.p.c In particolare, parte ricorrente ritiene viziata la sentenza nella parte in cui non ha considerato fatto non contestato che le specchiere fossero poste ad ornamento del salone nobiliare, così non pronunciandosi su tutta la domanda. I tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente, vertendo tutti sull’asserita natura di rapporto pertinenziale esistente tra le specchiere e l’immobile oggetto della compravendita, non possono trovare ingresso. Occorre premettere che ai fini della sussistenza di un vincolo pertinenziale è necessario il concorso di due presupposti l’idoneità del bene a svolgere la funzione di servizio od ornamento rispetto ad un altro, ponendosi in collegamento funzionale con questo elemento oggettivo e l’effettiva volontà dell’avente diritto di destinare durevolmente il bene accessorio a servizio od ornamento del bene principale elemento soggettivo . Con riferimento a quest’ultimo, occorre osservare che, secondo quanto disposto dagli artt. 817-819 c.c., la volontà di destinare in modo durevole una cosa a servizio o ad ornamento di un’altra, così come quella di far cessare il rapporto pertinenziale già costituito, non necessita di forme particolari o solenni, ma può essere desunta da qualsiasi elemento ritenuto idoneo a tal fine dal giudice di merito, il cui accertamento non è sindacabile in sede di legittimità, se espresso con motivazione adeguata ed immune da vizi logici Cass. n. 16914 del 2011 Cass. n. 4378 del 2012 . Dato quanto sopra, l’elemento oggettivo comunque indispensabile per la costituzione del vincolo pertinenziale presuppone un rapporto funzionale o strumentale che oggettivamente sussista tra la cosa principale e la cosa accessoria, tenuto conto della natura delle cose e della normale caratteristica oggettiva della cosa accessoria di servire o di essere da ornamento alla cosa principale cfr., da ultimo, Cass. n. 24104 del 2009 . In particolare, con riguardo alle c.d. pertinenze urbane, e specificamente ai beni mobili a servizio o ad ornamento di edifici sotto-categoria che viene in considerazione nel caso di specie, considerati beni di cui si tratta , è da escludere la natura di pertinenza delle suppellettili, degli arredi e dei mobili, che riguardino esclusivamente la persona del titolare del diritto reale sulla cosa principale e non la cosa in sé considerata di regola, è da escludere la natura pertinenziale dei mobili che arredano un immobile, a meno che non siano destinati durevolmente all’ornamento di questo come ad esempio statue od affreschi cfr. Cass. n. 3610 del 2001 . La riprova della rilevanza di tale distinzione è data dall’art. 556 c.p.c., norma da ritenersi applicabile in tutti i casi in cui i mobili che arredano un immobile non abbiano natura di pertinenza, quindi non si trovino in tale relazione giuridica con l’immobile la valutazione di opportunità è riferita al fatto che questi ne accrescano comunque il valore economico, nel senso che il valore dell’immobile arredato risulta maggiore della somma dei valori dell’immobile e degli arredi, in sé considerati. Nella specie, la Corte di merito ha fatto buon governo dei principi sopra esposti, giustificando in modo adeguato la mancanza di entrambi i presupposti. Per quanto riguarda l’elemento oggettivo, invero, il giudice di merito osserva che dalle prove assunte, quali le fotografie prodotte in giudizio, è del tutto evidente come le specchiere non fossero attaccate stabilmente al muro, o ad esso incorporate , così escludendo che per tali suppellettili, o componenti di arredo, l’acquirente possa avanzare alcuna pretesa, non trattandosi di beni inseriti stabilmente nella struttura muraria si veda p. 6 della sentenza impugnata . Per quanto concerne l’elemento soggettivo, premesso che per l’attribuzione della proprietà di un bene conteso tra due soggetti la base primaria dell’indagine del giudice di merito è costituita dall’esame e dalla valutazione del titolo di acquisto della proprietà, dall’indagine interpretativa effettuata dalla Corte di appello emerge che l’atto di trasferimento dell’immobile aveva consapevolmente escluso che la vendita riguardasse anche le due specchiere, così precludendo in radice il sorgere di un eventuale rapporto pertinenziale tra l’immobile e le specchiere si veda p. 6 della sentenza impugnata . In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 11, all’art. 13, il comma 1-quater - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente che liquida in complessivi 3.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario e agli accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.