L’essenzialità del certificato di abitabilità nella vendita di un immobile

Nella vendita di un immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilità rappresenta un requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, a tal punto che esso è in grado di incidere sull’attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico-sociale assicurandone il godimento e la commerciabilità.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 622/19, depositata il 14 gennaio. La vicenda. L’attore conveniva in giudizio una società immobiliare e la proprietaria di un immobile affermando che aveva sottoscritto una proposta di acquisto di un appartamento nella sede della società immobiliare e successivamente di aver stipulato un contratto preliminare di compravendita dell’immobile stesso con l’ex proprietaria, convenuta nel giudizio. In particolare l’attore contestava la condotta inadempiente della convenuta, ex proprietaria dell’immobile, per non aver fornito il certificato di abitabilità ed il progetto approvato del frazionamento dell’immobile e ciò aveva impedito la stipula del contratto definitivo entro il termine concordato. Pertanto l’attore chiedeva la risoluzione del contratto per inadempimento della venditrice. Il Tribunale rigettava la domanda attorea così l’acquirente proponeva appello e la Corte territoriale accoglieva il ricorso di quest’ultimo. La promittente venditrice propone ricorso per cassazione lamentando la falsa applicazione ed estensione al preliminare delle norme disciplinanti il contratto di compravendita. Il contratto preliminare. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale il rifiuto del promissario acquirente di stipulare il contratto di compravendita definitivo di un immobile privo dei certificati di agibilità, abitabilità e di conformità alla concessione edilizia, anche se il mancato rilascio dipende dall’inerzia del Comune, è giustificato in quanto l’acquirente ha interesse ad ottenere la proprietà dell’immobile idoneo ad assolvere alla funzione economico-sociale e a soddisfare bisogni che inducono all’acquisto, per cui tali certificati risultano essenziali. Per giunta, nella vendita di un immobile destinato ad uso abitativo, il certificato di abitabilità rappresenta un requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, nel senso che esso è in grado di incidere sull’attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico-sociale assicurandone il godimento e la commerciabilità. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, ordinanza 20 novembre 2018 – 14 gennaio 2019, n. 622 Presidente D’Ascola – Relatore Criscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione M.M.C. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Velletri, C.A. e il Gruppo UNO S.r.l., affermando che in data 7/11/2002 aveva sottoscritto una proposta di acquisto di un appartamento nella sede della società immobiliare, e successivamente di aver stipulato con la C. , in data 10/12/2002, un contratto preliminare di compravendita dell’immobile, verso il corrispettivo del prezzo di Euro 59.400,00 da corrispondere nel seguente modo Euro 2.500,00 già versati prima della stipula Euro 2.500,00 da versarsi alla sottoscrizione del contratto preliminare a titolo di caparra confirmatoria Euro 54.400,00 da corrispondere alla stipula del contratto definitivo. Il M. contestava la condotta inadempiente della C. la quale, non avendo fornito il certificato di abitabilità ed il progetto approvato del frazionamento dell’immobile, aveva impedito la stipula del definitivo, entro il termine concordato del 30/04/2003. Pertanto, l’attore chiedeva la risoluzione del contratto per inadempimento della promittente venditrice con la condanna alla restituzione del doppio della caparra versata, pari a Euro 5.000,00, oltre al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata sottoscrizione del contratto definitivo. Chiedeva altresì la condanna della Gruppo UNO S.r.l. alla restituzione della somma di Euro 2.500,00 incassata a titolo di caparra confirmatoria, qualora non avesse già corrisposto detta somma alla C. . La convenuta si costituiva chiedendo il rigetto delle pretese attoree ed eccependo che era stato il M. a rendersi inadempiente, non avendo stipulato il contratto definitivo entro il termine pattuito. Si costituiva altresì la Gruppo UNO S.r.l., deducendo l’infondatezza della domanda ed affermando di aver svolto correttamente l’incarico di intermediazione immobiliare, e di avere percepito per l’opera prestata il compenso pattuito di Euro 4.000,00. Il Tribunale di Velletri, con la sentenza n. 2836/2007, rigettava la domanda attorea, non ritenendo sussistente un’ipotesi d’inadempimento della promittente venditrice, dal momento che nel contratto preliminare non era stabilito alcun obbligo di consegna dei documenti richiesti, a carico della promittente venditrice, entro la data prevista per il definitivo. Peraltro, ritenendo correttamente svolto l’incarico della società di intermediazione, rigettava anche la domanda proposta avverso quest’ultima. Proponeva appello il M. nei confronti di entrambe le convenute, assumendo l’erronea valutazione delle prove testimoniali espletate in primo grado, dalle quali era invece emerso che esso promissario acquirente aveva più volte sollecitato la C. alla consegna della documentazione, ma che le richieste erano rimaste senza esito, sebbene le avesse inviato due telegrammi nel giorno precedente e in quello fissato per la stipula del definitivo con i quali la preavvertiva che la mancanza dei documenti avrebbe impedito la conclusione del contratto definitivo. L’appellante, inoltre, deduceva il vizio derivante dall’erronea interpretazione delle norme di legge, avendo il primo giudice ritenuto che la mancata assunzione nel preliminare dello specifico obbligo di consegnare il certificato di abitabilità non avrebbe potuto determinare alcun adempimento. Infine, affermava l’incongruità della motivazione circa il rigetto della domanda proposta nei confronti della Gruppo UNO S.r.l. Si costituiva la C. che chiedeva il rigetto del gravame l’appello. Dichiarato improcedibile l’appello nei confronti della società Gruppo UNO S.r.l., per la mancata produzione in giudizio della notifica dell’appello alla stessa, il che non consentiva di ritenere correttamente instaurato il contraddittorio, la Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 1828/2016 riformava la decisione di primo grado, dichiarando risolto il contratto preliminare di vendita, condannando la promittente venditrice alla restituzione della somma di Euro 5.000,00, oltre interessi legali dal 10/12/2002, nonché al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese del doppio grado. Secondo i giudici di appello la C. aveva garantito la totale regolarità urbanistica dell’immobile in sede di conclusione del contratto preliminare, con la conseguenza che, per consentire la stipula del contratto definitivo, avrebbe dovuto fornire al promissario acquirente la documentazione attestante tale regolarità, ed in particolare, il certificato di abitabilità, il quale era stato più volte richiesto dal promissario acquirente, con l’avvertimento che senza di essi non si sarebbe potuti addivenire alla stipula del contratto definitivo. Tale inadempimento contrattuale, dunque, comportava la risoluzione del contratto e, di conseguenza, faceva sorgere gli obblighi restitutori delle somme ricevute a vario titolo dall’appellata. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la C. con un unico motivo. L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa fase. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta la falsa applicazione ed estensione al contratto preliminare delle norme disciplinanti il contratto di compravendita, in particolare degli artt. 1470 e 1477 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Afferma la ricorrente che la Corte territoriale ha errato nell’applicare al caso di specie le predette norme che, in quanto dettate per il contratto di compravendita, possono operare solo a seguito della stipulazione del definitivo, e non anche per effetto della conclusione del contratto preliminare. Le obbligazioni gravanti sul venditore, tra le quali rientra anche quella della consegna della cosa oggetto della compravendita, dei titoli e dei documenti relativi alla proprietà della cosa venduta, vanno eseguite al momento della stipula del definitivo, non potendosene esigere l’adempimento nella fase precedente. Il ricorso deve essere rigettato. In tal senso rileva che, con accertamento in fatto i giudici di appello hanno ritenuto che la ricorrente avesse garantito la totale regolarità urbanistica dell’immobile, e che quindi avrebbe dovuto fornire al promissario acquirente la documentazione attestante tale regolarità , documentazione in cui rientra inequivocabilmente anche il certificato di abitabilità, ritenendo che tale obbligo fosse consequenziale all’assunzione della garanzia quanto alla regolarità urbanistica del bene. Peraltro è consolidato orientamento di questa Corte quello per cui il rifiuto del promissario acquirente di stipulare la compravendita definitiva di un immobile privo dei certificati di abitabilità o di agibilità e di conformità alla concessione edilizia, pur se il mancato rilascio dipende da inerzia del Comune - nei cui confronti, peraltro, è obbligato ad attivarsi il promittente venditore - è giustificato, ancorché anteriore all’entrata in vigore della L. 28 febbraio 1985, n. 47, perché l’acquirente ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la funzione economico - sociale e a soddisfare i bisogni che inducono all’acquisto, e cioè la fruibilità e la commerciabilità del bene, per cui i predetti certificati devono ritenersi essenziali Cass. nn. 10820/2009 e 15969/2000 . Nella vendita di immobile destinato ad abitazione, il certificato di abitabilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, come ricorda Cass. n. 1514/2006, al punto tale che esso è in grado di incidere sull’attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione economico - sociale, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità. D’altronde, ed anche prima della formale stipula del definitivo, si è affermato che cfr. Cass. n. 13969/2006 nel caso in cui il preliminare preveda la consegna anticipata del bene, rientra tra le obbligazioni gravanti sul promittente venditore anche quella di allegare il certificato di abitabilità dell’immobile contestualmente alla consegna dell’appartamento, nel caso in cui sia anche anticipato il pagamento del prezzo conf. Cass. n. 4513/2001 . In tale ottica, reputa il Collegio che non possa essere censurata la valutazione compiuta dai giudici di appello circa l’attualità dell’obbligo della ricorrente di dover consegnare il certificato in questione, attese le reiterate richieste di parte intimata, così come comprovate dall’istruttoria svolta, ed avvenute in prossimità proprio della scadenza del termine per la stipula del definitivo, e con il chiaro intento quindi di mettere a disposizione del notaio rogante tutta la documentazione idonea ad assicurare la verifica circa la regolarità urbanistica del bene. Trattasi di soluzione che costituisce a ben vedere una piana applicazione del principio della buona fede. Al riguardo può richiamarsi quanto ritenuto in passato da questa Corte cfr. Cass. n. 20399/2004, Cass. n. 13345/2006 , secondo cui in tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all’esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione e, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase, sicché la clausola generale di buona fede e correttezza è operante tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell’ambito del singolo rapporto obbligatorio art. 1175 c.c. , quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all’esecuzione di un contratto art. 1375 c.c. , concretizzandosi nel dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell’interesse della controparte e ponendosi come limite di ogni situazione, attiva o passiva, negozialmente attribuita, determinando così integrativamente il contenuto e gli effetti del contratto. La buona fede, pertanto, si atteggia come un impegno od obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere del neminem laedere , senza rappresentare un apprezzabile sacrificio a suo carico, siano idonei a preservare gli interessi dell’altra parte nel precedente del 2004 è stata confermata la sentenza della Corte d’Appello che, in relazione all’esecuzione di un contratto preliminare di vendita immobiliare antecedente l’entrata in vigore della L. n. 47 del 1985, aveva ritenuto inadempienti i promittenti venditori in quanto essi non avevano proceduto a sanare l’immobile, abusivamente costruito, e ad acquisire il relativo certificato di abitabilità, e ciò aveva fatto sebbene tale condotta omissiva non fosse stata esplicitamente sanzionata nell’accordo negoziale . Ad avviso del Collegio, a fronte di un’assunzione della garanzia circa la regolarità urbanistica del bene, se, come dedotto in ricorso, il certificato de quo era già esistente, l’omessa risposta alle richieste di consegna dello stesso da parte del promissario acquirente in epoca prossima alla scadenza del termine previsto per la stipula del definitivo, allorquando quindi si palesava la necessità di entrarne in possesso, costituisce comportamento evidentemente contrario ai principi di buona fede, laddove allo stesso abbia fatto poi seguito la dichiarazione di recesso della promittente venditrice sul presupposto del mancato rispetto del termine de quo, e giustifica quindi l’accoglimento della domanda di risoluzione per inadempimento della ricorrente. Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Nulla per le spese atteso che l’intimato non ha svolto attività difensiva. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, Disp. per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. Rigetta il ricorso Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.