Contratto di locazione: clausola risolutiva espressa e tolleranza del locatore

La tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine stabilito rende inoperante la clausola risolutiva espressa prevista dal contratto, la quale riprende però efficacia se il creditore provveda con una nuova manifestazione di volontà a richiamare il debitore all’esatto adempimento delle sue obbligazioni.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 14508/18, depositata il 6 giugno. Il caso. I locatori d un terreno convenivano in giudizio la società conduttrice intimando sfratto per morosità. Il Tribunale accoglieva la domanda dichiarando la risoluzione di diritto del contratto per effetto della clausola risolutiva espressa secondo cui il mancato pagamento del canone entro il termine stabilito implicava, appunto, la risoluzione del contratto esonerando il locatore dell’onere di provare la gravità dell’inadempimento. Inutile per la società l’eccezione relativa alla prassi della tolleranza serbata dai proprietari del terreno, invocata anche in appello, dove la decisione di prime cure trovava una piena conferma. La società ricorre dunque in Cassazione. Risoluzione del contratto. Il Collegio ricorda che, in tema di locazione, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che la tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine stabilito rende inoperante la clausola risolutiva espressa prevista dal contratto, la quale riprende però efficacia se il creditore provveda con una nuova manifestazione di volontà a richiamare il debitore all’esatto adempimento delle sue obbligazioni. Ciò posto, prosegue l’ordinanza, non può essere imposto al locatore, in virtù del principio generale di buona fede e divieto dell’abuso del processo, di agire in giudizio avverso ogni singolo ed analogo inadempimento al fine di escludere la sua tolleranza. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha correttamente applicato tali principi sottolineando la portata della raccomandata inviata dai locatori alla controparte con la quale intimavano il tempestivo pagamento del canone, con l’avvertenza che, in caso contrario, avrebbe trovato applicazione la clausola risolutiva espressa prevista dal contratto. In conclusione la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 17 aprile – 6 giugno 2018, n. 14508 Presidente Amendola – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. M.G. , S. e A.C. intimarono sfratto per morosità alla Società canottieri Trinacria in relazione ad un contratto di locazione di un appezzamento di terreno e la citarono per la convalida ed i conseguenti provvedimenti davanti al Tribunale di Palermo. Precisarono i ricorrenti che l’art. 8 del contratto prevedeva che il mancato pagamento del canone entro il termine stabilito implicava la risoluzione di diritto del contratto stesso. Si costituì in giudizio la società convenuta, opponendosi alla convalida e sostenendo che il ritardo nel pagamento era conseguente alla normale prassi di tolleranza da parte del locatore. Il Tribunale accolse la domanda, dichiarò risolto di diritto il contratto per effetto della clausola risolutiva espressa e condannò la società convenuta al rilascio dell’immobile ed al pagamento dell’indennità di occupazione, con il carico delle spese di lite. 2. La pronuncia è stata impugnata dalla Società canottieri Trinacria e la Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 29 dicembre 2016, ha rigettato l’appello ed ha condannato l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado. Ha osservato la Corte territoriale che l’esistenza di una prassi di tolleranza del ritardo nei pagamenti non era stata provata e che la clausola risolutiva espressa imponeva al conduttore l’obbligo di pagamento del canone entro il giorno primo di ogni mese, esonerando il locatore dall’onere di provare la gravità dell’inadempimento. Nella specie, il canone era stato corrisposto in ampio ritardo, giacché quello in scadenza alla data del 1 luglio 2012 era ancora insoluto alla data di notifica dell’intimazione di sfratto 8 agosto 2012 . 3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Palermo propone ricorso la Società canottieri Trinacria con atto affidato a due motivi. Resistono M.G. , S. e A.C. con un unico controricorso. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e non sono state depositate memorie. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1455, 1456 e 1367 cod. civ., nonché degli artt. 1218, 1256 e 1351 cod. civ., oltre ad omessa o almeno insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio. 1.1. Il motivo non è fondato. La giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni affermato che la tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine stabilito rende inoperante la clausola risolutiva espressa prevista in un contratto di locazione, la quale riprende la sua efficacia se il creditore, che non intende rinunciare ad avvalersene, provveda, con una nuova manifestazione di volontà, a richiamare il debitore all’esatto adempimento delle sue obbligazioni. Tuttavia, non può essere imposto al locatore, in applicazione del generale principio di buona fede nell’esecuzione del contratto e del divieto dell’abuso del processo, di agire in giudizio avverso ciascuno dei singoli analoghi inadempimenti, al fine di escludere una sua condotta di tolleranza sentenza 14 febbraio 2012, n. 2111, confermata dalle sentenze 31 ottobre 2013, n. 24564, e 27 settembre 2016, n. 18991 . Nella specie la Corte d’appello ha fatto buon governo di tali principi. Essa ha accertato che i locatori avevano intimato alla società conduttrice, già con lettera raccomandata del 23 novembre 2010, di adempiere tempestivamente all’obbligo di pagamento del canone, con l’avvertimento che, in difetto di tale adempimento, il contratto si sarebbe risolto di diritto ai sensi dell’art. 1456 cod. civ., come previsto dall’art. 8 dell’accordo. Tale circostanza è addotta dalla parte ricorrente ad ulteriore conferma della tolleranza nel ritardo, sul rilievo che, nonostante tale sollecito, i locatori fino al 2012 avevano sempre accettato pagamenti in ritardo. Deve però essere osservato che - a prescindere da alcune considerazioni di fatto sulle abitudini di pagamento che non possono più essere accertate in questa sede - la Corte di merito ha giustamente osservato che quella lettera raccomandata non poteva essere considerata come indice di rinuncia ad avvalersi della clausola risolutiva espressa, e che l’esistenza di tale clausola era motivo che esonerava il locatore dall’obbligo di dimostrare la gravità dell’inadempimento. D’altra parte, la valutazione sull’esistenza o meno di una prassi di tolleranza del ritardo costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 420 e 426 cod. proc. civ., oltre ad omessa o almeno insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio. Si osserva che i locatori avevano introdotto, con memoria integrativa successiva all’ordinanza di mutamento del rito, ulteriori domande, volte ad ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento e l’intimazione della licenza per finita locazione. Su tali domande, peraltro ritenute nuove, la Corte d’appello, respinto il gravame, avrebbe dovuto pronunciarsi, riconoscendo che esse erano inammissibili. 2.1. Il motivo è inammissibile, per evidente difetto di interesse. Una volta affermata l’infondatezza del primo motivo, nessun interesse poteva avere la società ricorrente allo scrutinio delle ulteriori ragioni per le quali, in via di ipotesi, i locatori avevano invocato l’esistenza di altri elementi idonei alla declaratoria di risoluzione o di cessazione del contratto. 3. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale esito segue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 10 marzo 2014, n. 55. Sussistono inoltre le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.