Il compenso dell’architetto è quello previsto dal contratto, anche se inferiore ai minimi tariffari

In tema di contratto d’opera professionale, il contratto costituisce la fonte principale per la determinazione del compenso del professionista, mentre la tariffa prevista da fonti normative, posizionandosi in via subordinata e suppletiva, trova applicazione solo in assenza di pattuizioni negoziali.

Sul tema la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 14293/18, depositata il 4 giugno. La vicenda. Il Tribunale di La Spezia accoglieva la domanda attorea proposta da una S.r.l. diretta ad ottenere il risarcimento dei danni arrecati dall’architetto convenuto nell’esercizio della sua attività professionale e relativi alla progettazione e direzione dei lavori per la costruzione di un immobile commerciale, disponendo la compensazione per i compensi come richiesto in via riconvenzionale dal professionista. La Corte d’Appello di Genova respingeva tutte le impugnazioni proposte dal soccombente che ricorre dunque in Cassazione. Pattuizione del compenso. La società ricorrente si duole per aver il giudice di merito ritenuto non derogabili con accordo tra le parti i minimi tariffari previsti per la professione di architetto dalla l. n. 340/1976. Le parti si erano infatti accordate in merito al compenso spettante al professionista all’atto del conferimento dell’incarico a quest’ultimo che, però, in sede di costituzione in giudizio aveva reclamato un compenso di gran lunga superiore rispetto a quello pattuito e corrispondente alla tariffa legale. Minimi tariffari. Il Collegio richiama il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui il compenso per le prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa ed adeguato all’importanza dell’opera solo nel caso in cui non sia stato liberamente pattuito tra le parti. L’art. 2233 c.c. Compenso infatti pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti e poi, solo in mancanza di quest’ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi ed, infine, alla determinazione del giudice . Il mancato rispetto del principio di inderogabilità dei minimi tariffari non comporta, di conseguenza, la nullità ex art. 1418 c.c. del patto, in quanto non si tratta di precetti riferibili ad un interesse generale della collettività, bensì ad un interesse della specifica categoria professionale. Secondo tale interpretazione, la fonte contrattuale assume una posizione di supremazia nell’individuare il compenso spettante per l’attività professionale posta in essere da una delle parte, in quanto elemento naturale del contratto di prestazione d’opera intellettuale al quale il professionista è pur sempre libero di rinunciare, salvo specifiche norme proibitive che rendano indisponibile il diritto al compenso. Nel caso della professione di ingegnere ed architetto, l’ordinamento non dispone però direttamente la nullità di clausole contrattuali che derogano ai minimi tariffari, né tantomeno è riscontrabile una nullità di ordine generale in quanto, come accennato, le norme sull’inderogabilità dei minimi tariffari non sono dirette a tutelare un interesse generale della collettività ma un interesse di categoria. In conclusione, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 9 febbraio – 4 giugno 2018, numero 14293 Presidente Matera – Relatore Bellini Fatti di causa Con atto di citazione la Invar srl conveniva in giudizio, davanti al Tribunale della Spezia, M.W. per sentirlo dichiarare responsabile dei danni ad essa arrecati in conseguenza di errori compiuti nell’esercizio della sua attività professionale di architetto e relativi alla progettazione e direzione dei lavori per la costruzione di un immobile da adibire a Centro commerciale in , previa demolizione di un fabbricato preesistente. Il convenuto si costituiva, domandava il rigetto della domanda attrice ed in via riconvenzionale il pagamento dei suoi compensi, nonché di essere autorizzato a chiamare in causa la Lloyd Adriatico per essere manlevato. La Lloyd si costituiva e chiedeva il rigetto della domanda risarcitoria. Il Tribunale della Spezia, istruita la causa con l’audizione di testi e l’espletamento di Ctu, con sentenza numero 786/11, accoglieva sia la domanda attrice che la riconvenzionale, disponendo, previa compensazione, che la Invar srl corrispondesse al convenuto Euro 151.700,22, oltre accessori. La Invar srl proponeva appello. Si costituivano la Allianz ed il M La Corte di Appello di Genova, nel contraddittorio delle parti, avendo proposto M.W. appello incidentale in ordine alla sua condanna a risarcire il danno, con sentenza numero 875/14, respingeva tutte le impugnazioni. La Invar srl ha presentato ricorso per cassazione sulla base di un motivo, cui ha resistito con controricorso il solo M.W Entrambe le parti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 1. - Con un unico motivo la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della legge numero 340 del 1976, della legge numero 404 del 1977, articolo 6, degli articoli 1339, 1418 e 2233 c.c., in quanto la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che i minimi tariffari relativi alla professione di architetto non possano essere derogati con un accordo fra le parti ciò alla luce della circostanza che i detti minimi non sono dettati per tutelare un interesse generale della collettività e che l’ordinamento non prevede la sanzione della nullità in caso di patti derogatori. 1.2. - Il motivo è fondato. 1.3. - Con specifico motivo di gravame, l’appellante Invar s.r.l. aveva lamentato che il giudice di primo grado, nel riferirsi alla legge numero 340 del 1976 che stabilisce che i minimi di tariffa professionale degli ingegneri e degli architetti sono inderogabili avesse omesso di effettuare un qualsiasi vaglio della giurisprudenza in materia. Rilevava la società che le parti si erano accordate per il compenso professionale al M. con l’atto di affidamento dell’incarico allo stesso e che solo al momento della costituzione in giudizio il professionista aveva disatteso gli accordi convenuti, reclamando un compenso professionale assai superiore secondo tariffa, la quale tuttavia è considerata dalla giurisprudenza come fonte normativa residuale, applicabile ove non via sia pattuizione tra le parti. E quindi continuava l’appellante non potrebbe ritenersi nullo, in carenza di una esplicita previsione in tal senso, l’accordo elusivo del’obbligatorietà dei minimi inderogabili delle tariffe professionali, che sono dettati nell’interesse del decoro e della dignità delle singole categorie professionali, sicché il momento derogatorio potrà semmai essere adeguatamente tutelato in ambito disciplinare. La Corte territoriale, in risposta a tale motivo, ha osservato che la Corte di cassazione, con sentenza numero 6627 del 2012 ha respinto il ricorso presentato da un architetto avverso la decisione con cui i giudici di merito non avevano ritenuto operante, nel calcolo del compenso relativo ad un incarico che lo stesso aveva ricevuto da parte di un ente pubblico, il principio della inderogabilità dei minimi tariffari tra il professionista ed il cliente, così motivando l’inderogabilità dei limiti tariffari di categoria stabiliti per i professionisti è circoscritta dalla L. 1 luglio 1977, numero 404, art. 6 ai soli incarichi professionali privati e non vale, pertanto, per gli incarichi conferiti da enti pubblici, in quanto detta norma, interpretando autenticamente la L. 5 maggio 1976, numero 340, art. unico - che sancisce l’inderogabilità dei minimi delle tariffe professionali degli ingegneri e degli architetti - ne ha limitato l’applicazione ai rapporti intercorrenti tra privati, con previsione che non viola l’art. 3 Cost., poiché la derogabilità dei minimi tariffari prevista dall’art. 6 legge cit. riguarda anche i professionisti privati Cass. numero 14187 del 27/06/2011 Cass. numero 21235 del 05/10/2009 Cass. numero 18223 del 11/08/2009 . E, poiché nel caso di specie si controverte in relazione ad un incarico conferito non da un ante pubblico ma da un privato, la Corte d’appello ha confermato la correttezza della decisione di primo grado nel ritenere che la legge numero 340 del 1976 stabilisce che i minimi di tariffa professionale degli ingengneri e degli architetti sono in questi casi inderogabili. 1.4. - Costituisce principio largamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità, dal quale il Collegio non intende discostarsi di recente, Cass. numero 21235 del 2013 cass. numero 1900 del 2017 , quello secondo il quale il compenso per prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa ed adeguato all’importanza dell’opera, solo nel caso in cui esso non sia stato liberamente pattuito, in quanto l’art. 2233 c.c. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso, attribuendo rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti e poi, solo in mancanza di quest’ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice, mentre non operano i criteri di cui all’art. 36 Cost., comma 1, applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato. La violazione dei precetti normativi che impongono l’inderogabilità dei minimi tariffari non importa, secondo il richiamato orientamento, la nullità, ex art. 1418 c.c., comma 1, del patto in deroga, in quanto trattasi di precetti non riferibili ad un interesse generale, cioè dell’intera collettività, ma solo ad un interesse della categoria professionale Cass. numero 21235 del 2009 Cass. numero 17222 del 2011 Cass. numero 1900 del 2017 . A questa conclusione si giunge alla luce dei principi espressi da questa Corte a sezioni unite Cass. sez. unumero numero 18450 del 2005 , che, pur applicati in una fattispecie nella quale il committente era una pubblica amministrazione, sono pienamente applicabili anche nel caso in cui il committente sia un soggetto privato. Occorre premettere che l’articolo unico della legge numero 340 del 1976 stabiliva che i minimi di tariffa per gli onorari a vacazione, a percentuale ed a quantità, fissati dalla legge 2 marzo 1949, numero 143, o stabiliti secondo il disposto della presente legge, sono inderogabili. L’inderogabilità non si applica agli onorari a discrezione per le prestazioni di cui all’articolo 5 del testo unico approvato con la citata legge 2 marzo 1949, numero 143. L’art. 6 L. 404 del 1977 ha poi stabilito che L’articolo unico della legge 5 maggio 1976, numero 340, deve intendersi applicabile esclusivamente ai rapporti intercorrenti tra privati . Peraltro, nel richiamato precedente di questa Corte a sezioni unite, si riafferma che, nella disciplina delle professioni intellettuali, il contratto costituisce la fonte principale per la determinazione del compenso, mentre la relativa tariffa rappresenta una fonte sussidiaria e suppletiva, alla quale è dato ricorrere, ai sensi dell’art. 2233 c.c., soltanto in assenza di pattuizioni al riguardo e pertanto le limitazioni al potere di autonomia delle parti e la prevalenza della liquidazione in base a tariffa possono derivare soltanto da leggi formali o da altri atti aventi forza di legge riguardanti gli ordinamenti professionali. Il primato della fonte contrattuale impone di ritenere che il compenso spettante al professionista, ancorché elemento naturale del contratto di prestazione d’opera intellettuale, sia liberamente determinabile dalle parti e possa anche formare oggetto di rinuncia da parte del professionista, salva resistenza di specifiche norme proibitive che, limitando il potere di autonomia delle parti, rendano indisponibile il diritto al compenso per la prestazione professionale e vincolante la determinazione del compenso stesso in base a tariffe. Nella normativa concernente le professioni di ingegnere ed architetto manca una disposizione espressa diretta a sanzionare con la nullità eventuali clausole in deroga alle tariffe e, sul piano logico, le norme sull’inderogabilità dei minimi tariffari sono contemplate non a tutela di un interesse generale della collettività ma di un interesse di categoria, onde per una clausola che si discosti da tale principio non è configurabile - in difetto di un’espressa previsione normativa in tal senso - il ricorso alla sanzione della nullità, dettata per tutelare la violazione d’interessi generali. Il principio d’inderogabilità è diretto ad evitare che il professionista possa essere indotto a prestare la propria opera a condizioni lesive della dignità della professione sicché la sua violazione, in determinate circostanze, può assumere rilievo sul piano disciplinare , ma non si traduce in una norma imperativa idonea a rendere invalida qualsiasi pattuizione in deroga, allorché questa sia stata valutata dalle parti nel quadro di una libera ponderazione dei rispettivi interessi Cass. numero 15786 del 2013 . 1.5. - Sulla base di tali principi, il motivo di ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata e rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Genova, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la stessa alla Corte d’appello di Genova, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.