Quali pretese può avanzare il libero professionista nei confronti della PA con riguardo ad attività in assenza di un titolo negoziale?

In virtù del combinato disposto degli artt. 191, comma 4, e 194, comma 1, lettera e , d.lgs. n. 267/2000, se la richiesta di prestazioni o servizi provenienti da un amministratore o un funzionario dell'ente locale non è ricompresa nello schema di spesa tipizzato dal primo degli articoli citati, non nascono obbligazioni a carico dell'ente, ma dell'amministratore o del funzionario, i quali ne rispondono con il loro patrimonio, con la conseguente esclusione della possibilità di proporre l'azione di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. nei confronti dell'ente per difetto del requisito di sussidiarietà che soggiace all’esperibilità della stessa.

Quanto espresso non esclude tuttavia la facoltà dell'ente di riconoscere successivamente il debito fuori bilancio, con apposita deliberazione consiliare. Qualora tale riconoscimento non venisse effettuato, il rapporto contrattuale risulterà in modo definitivo intercorrente tra il terzo contraente e il funzionario o l'amministratore che ha autorizzato la prestazione, i quali saranno soggetti alla azione diretta e risponderanno delle obbligazioni irregolarmente assunte. È quanto stabilito, in conformità alla giurisprudenza consolidata, dalla Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione con ordinanza numero 12014/18 depositata il 16 maggio. Il caso. La Corte d’Appello di Roma con sentenza numero 5474/12 accoglieva il gravame proposto dal Comune di Cassino nei confronti degli eredi dell’ingegnere V.F., rigettando così la domanda di quest’ultimo che era stata proposta per l’ottenimento dell’indennizzo di cui all’art. 2041 c.c. per aver eseguito in favore dell’ente pubblico suddetto la progettazione di un intervento per il recupero edilizio e il collaudo di un immobile senza che alle delibere di attribuzione di tali incarichi seguisse la stipulazione di un contratto in forma scritta. In particolare, la Corte d’Appello di Roma rilevava la mancata dimostrazione del vantaggio ottenuto dall’ente e il corrispondente impoverimento del libero professionista. Avverso la sentenza de qua gli eredi del signor V.F. propongono ricorso per cassazione. Più nel dettaglio, con un unico motivo di doglianza, viene lamentata l’insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360 comma 1, numero 5, c.p.c., in quanto la Corte territoriale non avrebbe preso in considerazione l’entità delle spese vive anticipate per l’esecuzione della prestazione professionale, né la mole di lavoro alla quale si era sottoposta l’originario attore, poi defunto. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso. L’ingiustificato arricchimento e il caso del libero professionista. Gli artt. 2041 e 2042 c.c. disciplinano l’azione di ingiustificato arricchimento, la quale consente al soggetto che, senza giusta causa, abbia subito un depauperamento con correlativa locupletazione da parte di altri di conseguire, laddove non esista altra azione esperibile sussidiarietà dell’art. 2041 c.c. , un indennizzo nei limiti della diminuzione patrimoniale subita. La ragione giustificatrice dell’azione de qua va ricercata nel principio di necessaria causalità degli spostamenti patrimoniali. È bene precisare che il riferimento all’indennizzo e non al risarcimento fa emergere che il fatto generatore dell’arricchimento e lo speculare impoverimento debba essere un fatto lecito e non contra ius e non iure . In altri termini, l’azione di cui all’art. 2041 c.c. potrà essere esperita solo laddove vi sia un fatto ovvero una condotta comunque consentita dall’ordinamento e che ciononostante abbia provocato uno squilibrio patrimoniale ingiustificato in quanto non sorretto da valida giustificazione. Di indubbia importanza appare essere il caso del libero professionista che avanzi pretese nei confronti della pubblica amministrazione con riguardo ad attività da questi svolte in assenza di un titolo contrattuale. Premettendo che, all’indomani della sentenza a Sezioni Unite numero 10798/15 risolutrice del contrasto circa i requisiti dell’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti della pubblica amministrazione, la regola di carattere generale secondo cui non sono ammessi arricchimenti ingiustificati né spostamenti patrimoniale ingiustificabili trova applicazione paritaria nei confronti del soggetto privato come dell’ente pubblico, senza il necessario riconoscimento da parte di quest’ultimo dell’utilità , la pubblica amministrazione nell’esercizio della sua attività volta al perseguimento di interessi pubblici può avvalersi dell’apporto di imprese ovvero di liberi professionisti per la realizzazione di quanto necessario per il raggiungimento del fine pubblico ad essa affidato dalla legge, mediante procedure ad evidenza pubblica. Accade talvolta, però, che predetta formalità non venga espletata, talché funzionari, amministratori, dirigenti affidino incarichi e prestazioni a determinati soggetti talvolta senza una verifica circa la copertura di bilancio della spesa e senza stipula di un regolare contratto. Nel panorama così descritto, la questione che si pone e che si è posta la Corte di Cassazione nell’ordinanza che si commenta, è se il privato professionista possa agire nei confronti della pubblica amministrazione e con quali strumenti, posto che, mancando appunto un contratto, non è esperibile l’azione negoziale per il pagamento dei compensi dovuti. La prova dell’espletamento della prestazione, del vantaggio e dell’impoverimento. La motivazione della Corte territoriale con la quale viene rigettata la domanda di ingiustificato arricchimento, a ben vedere, si fonda su una erronea lettura del requisito della diminuzione patrimoniale di cui all’art. 2041 c.c., che non implica affatto la prova, come invece sostenuto, da parte dell’attore in questo caso dell’ingegnere V.F. prima e dei suoi eredi poi di aver perso delle occasioni favorevoli per impiegare in termini alternativi e più redditizi le sue energie lavorative, ma impone unicamente e semplicemente di verificare se l’impegno profuso senza titolo a vantaggio di altri sia suscettibile di essere valutato economicamente. È orientamento consolidato, infatti, quello in guisa del quale l’azione di ingiustificato laddove la parte impoverita sia un libero professionista, possa essere esercitata se il vantaggio del cliente nel caso di specie un soggetto pubblico consegua ad una prestazione professionale non sorretta da valido titolo negoziale e se sussista l’utile versum a tal fine è necessario che il professionista dimostri non solo il compimento della prestazione ma altresì l’ingiustificata locupletazione del cliente con correlativo depauperamento del proprio patrimonio Cass. 17860/03 . Non è cioè sufficiente la attestazione dell’adempimento della prestazione, occorrendo anche accertare la sussistenza di un tangibile vantaggio ottenuto dalla parte, cui abbia fatto riscontro l'impoverimento del professionista. In assenza di contratto l’azione ex 2041 c.c. non può essere esperita nei confronti della pubblica amministrazione per difetto del requisito della sussidiarietà. Nonostante la Corte di Cassazione abbia esplicitamente affermato che la motivazione della Corte d’Appello di Roma risulti fondata su un’erronea lettura dell’art. 2041 c.c. circa il requisito della diminuzione patrimoniale, il dispositivo della sentenza impugnata dagli eredi del libero professionista V.F. risulta corretta. È orientamento consolidato in giurisprudenza Cass. numero 24860/15 che in tema di assunzioni di obbligazioni da parte degli enti locali, qualora le obbligazioni contratte non rientrino nello schema procedimentale di spesa, insorge un rapporto obbligatorio direttamente con l’amministratore ovvero il funzionario che abbia consentito la prestazione così l’art. 191, comma 4, d.lgs. numero 267/2000 , con la conseguenza che resta esclusa, per difetto del requisito di sussidiarietà, l’azione di indebito arricchimento nei confronti dell’ente, il quale potrà comunque riconoscere a posteriori il debito fuori bilancio ai sensi dell’art. 194 d.lgs. numero 267/2000 nei limiti degli accertati e dimostrati utilità e arricchimento per l’ente stesso. È bene precisare, tuttavia, che tale riconoscimento può avvenire solo espressamente e non può essere desunto da un mero comportamento tenuto dagli organi rappresentativi. In definitiva, in virtù del combinato disposto degli attuali artt. 191, comma 4, e 194 comma 1 lettera e del d.lgs. numero 267/2000, se la richiesta di prestazioni o servizi provenienti da un amministratore o un funzionario dell'ente locale non è ricompreso nello schema di spesa tipizzato dal primo degli articoli citati, non nascono obbligazioni a carico dell'ente ma dell'amministratore o del funzionario, i quali ne rispondono con il loro patrimonio, con la conseguente esclusione della possibilità di proporre l'azione di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. nei confronti dell'ente per difetto del requisito di sussidiarietà che soggiace all’esperibilità della stessa. Quanto espresso non esclude tuttavia la facoltà dell'ente di riconoscere successivamente il debito fuori bilancio, con apposita deliberazione consiliare, previo accertamento e dimostrazione dell’utilità e dell’arricchimento per l'ente stesso. Qualora tale riconoscimento non venisse effettuato, il rapporto contrattuale risulterà in modo definitivo intercorrente tra il terzo contraente e il funzionario o l'amministratore che ha autorizzato la prestazione, i quali saranno soggetti alla azione diretta e risponderanno delle obbligazioni irregolarmente assunte.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 6 febbraio – 16 maggio 2018, n. 12014 Presidente Campanile – Relatore De Marzo Fatti di causa 1. Con sentenza depositata in data 5 novembre 2012 la Corte d’appello di Roma, accogliendo l’appello proposto dal Comune di Cassino nei confronti degli eredi dell’ing. F.V. , ha rigettato la domanda proposta da quest’ultimo, al fine di conseguire l’indennizzo di cui all’art. 2041 cod. civ., per avere eseguito in favore dell’ente pubblico la progettazione esecutiva di un intervento di recupero edilizio e urbano e il collaudo statico di un edificio, senza che alle delibere di conferimento di tali incarichi seguisse la stipulazione di un contratto in forma scritta. 2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato a che il F. non aveva indicato l’epoca di redazione della progettazione esecutiva e che tale informazione non era desumibile dai documenti in atti b che, peraltro, la progettazione si era svolta nel periodo intercorrente tra la data di conferimento dell’incarico 9 novembre 1990 e la data di approvazione del progetto stesso 1 ottobre 1994 c che la certificazione concernente il collaudo statico era stata trasmessa al Comune di Cassino dall’ing. F. in data 16 dicembre 1995 d che, pertanto, nel primo caso, la prestazione era stata eseguita quando l’ing. F. aveva tra i 63 e i 67 anni e, nel secondo caso, quando aveva 68 anni e che, alla luce dell’ id quod plerumque accidit e in assenza di altri elementi di prova, non era ragionevole presumere che l’ing. F. , all’epoca dell’esecuzione degli incarichi, fosse nel pieno dell’attività professionale f che la maggior durata della vita lavorativa dei liberi professionisti rappresentava elemento troppo labile per poter essere posto a base di presunzioni, anche in ragione della mancata dimostrazione, da parte dell’attore, della consistenza e dei risultati dalla attività professionale svolta g che, pertanto, difettava la dimostrazione di uno degli elementi costitutivi dell’azione di ingiustificato arricchimento, la quale presuppone non solo la prova dell’espletamento della prestazione, ma anche quella dell’effettivo vantaggio conseguito dall’altra parte, con impoverimento del professionista. 3. Avverso tale sentenza F.A. , F.G. e P.L. , quali eredi di F.V. , hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, al quale resiste con controricorso il Comune di Cassino. Nell’interesse dei ricorrenti è stata depositata memoria. Ragioni della decisione 1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., rilevando che la Corte d’appello non aveva tenuto in alcun conto, ai fini della entità della perdita patrimoniale del professionista, l’entità delle spese vive anticipate per l’esecuzione della prestazione professionale né la mole di lavoro alla quale si era sottoposto l’attore. Il ricorso è infondato. La motivazione utilizzata dalla Corte territoriale per rigettare la domanda di arricchimento ingiustificato è, in effetti, fondata su una erronea lettura del requisito della correlativa diminuzione patrimoniale di cui all’art. 2041, primo comma, cod. civ La sentenza impugnata cita, a sostegno delle proprie conclusioni, Cass. 24 novembre 2003, n. 17860, secondo la quale, in tema di azione di ingiustificato arricchimento proposta da un professionista intellettuale per lo svolgimento di attività, in mancanza di contratto, al fine di ritenere esistenti le condizioni dell’azione, non è sufficiente la dimostrazione dell’espletamento della prestazione, occorrendo anche accertare l’esistenza di un effettivo vantaggio conseguito dalla parte, cui abbia fatto riscontro l’impoverimento del professionista. E, tuttavia, la lettura della decisione non conforta affatto l’interpretazione che la Corte territoriale ne ha fornito e che ha guidato la valutazione del materiale probatorio. Cass. 17860/2003 si limita a ribadire, in conformità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, che l’azione dell’indebito arricchimento può essere esercitata, in materia di prestazioni professionali, se il vantaggio del cliente consegua ad una prestazione effettuata dal professionista, in assenza di un titolo giuridico valido ed efficace e se sussista l’ utile versum al tal fine, non è sufficiente, per il professionista dimostrare il solo compimento dell’opera, ma è necessario accertare il verificarsi dell’ eventum utilitatis consistente nella effettiva, sebbene ingiustificata, locupletazione del cliente con correlativo depauperamento del professionista, poiché, in tema di azione generale di arricchimento, devono, per la fondatezza di essa, concorrere simultaneamente sia l’arricchimento del soggetto convenuto che la diminuzione patrimoniale dell’attore, collegati tra loro e connessi ad un unico fatto costitutivo consistente nella mancanza di giustificazione della perdita dell’uno come dell’arricchimento dell’altro. Tuttavia, la nozione di impoverimento, ossia di correlativa diminuzione patrimoniale , ai sensi dell’art. 2041 cod. civ., non implica affatto che l’attore debba dimostrare di avere perso delle favorevoli occasioni per impiegare in termini alternativi e redditizi le sue energie, ma impone, semplicemente, di verificare se l’impegno profuso senza titolo a vantaggio di altri sia suscettibile di essere valutato economicamente. Cionondimeno, il dispositivo della sentenza impugnata è corretto, in quanto trova applicazione il consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale, alle vicende che, come nella specie, si siano sviluppate successivamente all’entrata in vigore dell’art. 23, comma 4, del d.l. 2 marzo 1989, n. 66 convertito, con modificazioni nella l. 24 aprile 1989, n. 144 del 1989 oggi la previsione è contenuta nell’art. 191, comma 4 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 , in tema di assunzione di obbligazioni da parte degli enti locali, qualora le obbligazioni contratte non rientrino nello schema procedimentale di spesa, insorge un rapporto obbligatorio direttamente con l’amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione, con la conseguenza che resta esclusa, per difetto del requisito della sussidiarietà, l’azione di indebito arricchimento nei confronti dell’ente, il quale può, comunque, riconoscere a posteriori il debito fuori bilancio, ai sensi dell’art. 194 del d.lgs. n. 267 del 2000, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente stesso. Peraltro, tale riconoscimento può avvenire solo espressamente, con apposita deliberazione dell’organo competente, e non può essere desunto anche dal mero comportamento tenuto dagli organi rappresentativi, insufficiente ad esprimere un apprezzamento di carattere generale in ordine alla conciliabilità dei relativi oneri con gli indirizzi di fondo della gestione economico-finanziaria dell’ente e con le scelte amministrative compiute v., ad es., Cass. 9 dicembre 2015, n. 24860 . 2. In tali termini corretta la motivazione, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ., il ricorso va rigettato e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese di questa fase, liquidate come da dispositivo, oltre che dichiarato tenuto al raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.