La configurabilità del dolo omissivo in caso di silenzio o reticenza di uno dei contraenti

Affinché possa configurarsi dolo omissivo e possa giungersi all’annullamento del contratto, è necessario che l’inerzia o il silenzio di uno dei contraenti s’inserisca in un comportamento complesso, preordinato, con malizia ed astuzia, ad ingannare la controparte.

Il semplice silenzio o reticenza, viceversa, anche se afferenti a situazioni che risultino d’interesse per la controparte, non sono di per sé sufficienti a costituire il dolo omissivo e ad invalidare il contratto. Ciò perché essi non mutano la realtà, ma si limitano a non contrastarne la percezione, cui la controparte sia autonomamente pervenuta. Questo è il principio affermato dalla Corte Suprema di Cassazione, Sesta Sezione Civile, con l’ordinanza n. 11009/18, depositata l’08 maggio. Il fatto. La Suprema Corte si è pronunciata su un ricorso proposto da una società immobiliare, avverso la sentenza della Corte d’Appello che, riformando la decisione di primo grado, aveva rigettato la domanda di annullamento per dolo, della proposta di acquisto, preliminare e definitivo di vendita, di un immobile uso ufficio, avanzata nei confronti di un’altra società. Secondo l’attrice, la società venditrice le avrebbe taciuto che la banca conduttrice dell’immobile, oggetto della compravendita, sarebbe di lì a poco receduta dal contratto di locazione, seppur essa fosse certamente a conoscenza del fatto che il reddito derivante da tale locazione, fosse un elemento determinante per il consenso dell’acquirente. I Giudici di secondo grado avevano accolto il motivo di gravame della società venditrice, ritenendo che il suo comportamento, costituito da semplice silenzio s’una circostanza ad essa nota, non essendo inserito in un comportamento preordinato con malizia ed astuzia, non era stato tale da trarre in inganno l’acquirente e che comunque esso non era stato determinante né per la conclusione del contratto, né per la definizione delle relative condizioni. Avverso tale decisione, veniva proposto ricorso per Cassazione. Il peso del silenzio nella formazione della volontà a contrarre. La Corte di Cassazione, con la pronuncia in esame, prende posizione sul tema della configurabilità del dolo omissivo e sulla possibilità che essa possa viziare la volontà di uno dei contraenti e determinare l’annullamento del contratto. Affinché ciò accada, secondo la Suprema Corte, è necessario che l’inerzia o il silenzio di uno dei contraenti s’inserisca in un comportamento complesso, preordinato, con malizia ed astuzia, ad ingannare la controparte. Il semplice silenzio o reticenza, viceversa, anche se afferenti a situazioni che risultino d’interesse per la controparte, non sono di per sé sufficienti a costituire il dolo omissivo e ad invalidare il contratto. Ciò perché essi non mutano la realtà, ma si limitano a non contrastarne la percezione, cui la controparte sia autonomamente pervenuta. La valutazione del silenzio nel quadro del contegno complessivo. La Corte di Cassazione, tuttavia, non intende con ciò escludere che i detti comportamenti possano avere rilevanza giuridica, ma piuttosto vuole chiarire che la valutazione della loro incidenza deve necessariamente tener conto di tutte le circostanze e del contegno assunto dalle parti, al fine d’indagare se silenzio e reticenza possano inserirsi in un disegno volto a realizzare, con malizia ed astuzia, un inganno ai danni della controparte. Secondo la Suprema Corte, nel caso di specie, la società acquirente non ha provato tutti gli elementi necessari ad integrare il preteso dolo omissivo della venditrice, con riferimento sia al contesto, nel quale il silenzio avrebbe dovuto inserirsi, per risultare rilevante, sia alla sua idoneità ad incidere sulla sua volontà. La ricorrente, inoltre, non poteva essere all’oscuro del fatto che, nel contratto di locazione, a suo tempo stipulato fra la venditrice e la banca, a quest’ultima fosse stata riconosciuta la facoltà di recesso ad nutum con preavviso di sei mesi, dal momento che tale possibilità era espressamente contenuta nel detto contratto e che questo era stato mostrato all’acquirente, in fase di trattative. Ciò significa che quest’ultima era stata comunque messa a conoscenza del fatto che il reddito scaturente dalla locazione fosse tutt’altro che sicuro. L’aver taciuto una circostanza che risultava da documenti messi nella disponibilità dell’acquirente, secondo la Suprema Corte, non può considerarsi un comportamento contrario alla buona fede, non potendo certo equipararsi il silenzio alle dichiarazioni consapevolmente menzognere.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, ordinanza 1 febbraio – 8 maggio 2018, n. 11009 Presidente D’Ascola – Relatore Scalisi Fatto e diritto Il Collegio preso atto che il Consigliere relatore dott. A. Scalisi ha proposto che la controversia in epigrafe fosse trattata in Camera di Consiglio non partecipata della Sesta Sezione Civile di questa Corte ritenendo Il ricorso infondato perché si risolve nella richiesta di un nuovo e diverso giudizio di merito improponibile nel giudizio di cassazione . La proposta del relatore è stata notificata alle parti. Letti gli atti del procedimento dai quali risulta che Il Tribunale di Modena, con la sentenza n. 1642 del 2015, accoglieva la domanda di FRAMA di annullamento per dolo della proposta di acquisto, preliminare e definitivo, di vendita di immobile uso ufficio e accessori in Pavullo, dalla stessa acquistato da JULIE SRL non costituita in primo grado , con condanna alla restituzione del prezzo di Euro 455.000 e risarcimento darmi. Secondo il Tribunale, l’incaricato di JULIE nel corso delle trattative aveva taciuto il fatto che la banca conduttrice dell’immobile sarebbe di li a poco receduta dal contratto di locazione la notizia della prossima chiusura dell’agenzia secondo i testi assunti, già circolava, e non poteva essere ignorata dalla venditrice , anzi, affermando che il reddito del 6% al riguardo prospettato da FRAMA era da considerarsi sicuro detta rendita doveva considerarsi determinante per il consenso dell’acquirente, come non ignoto alla venditrice, la quale aveva pure asserito nel corso delle trattative di voler vendere per comprare altro appartamento a Cannes, circostanza non dimostrata in giudizio stante la mancata costituzione di JULIE. Avverso questa sentenza interponeva appello la società IULIE srl venditrice e deduceva che le trattative, iniziate nel luglio 2009, erano sfociate in una proposta irrevocabile di acquisto del 16.9.2009, preliminare del 24.9.2009 e definitivo del 21.12.2009 FRAMA aveva contestato a JULIE il recesso della banca solo nel luglio 2011. Contestava che il dolo omissivo, ravvisato dal primo giudice costituito da semplice silenzio e non essendo inserito in un comportamento attivo preordinato con malizia o astuzia, potesse integrare motivo di annullamento e tale non poteva ritenersi l’affermazione di voler acquistare altro immobile. La Corte di Appello di Bologna con sentenza n. 1808 del 2016, accoglieva l’appello e rigettava le domande proposte da Frama S.r.l. contro Julie S.r.l. Secondo la Corte distrettuale il comportamento della venditrice Julie srl non era stato tale da trarre in inganno né potesse esserlo e, comunque, non era stato determinante del consenso. E, neppure il contratto sarebbe stato concluso a condizioni diverse. La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dalla società Frama con ricorso affidato ad un solo motivo. La società Julie ha resistito con controricorso. Le parti nell’imminenza della Camera di Consiglio non partecipata hanno depositato memorie, ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ 2.- Con l’unico motivo di ricorso la società Frama lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 1175 e 1337, 1439 0 1440 cod. civ. art. 360 n. 3 cod. proc. civ. Secondo la ricorrente, la Corte territoriale avrebbe ritenuto apoditticamente che le voci correnti circa la possibile chiusura della filiale della Banca fossero informazioni non rilevanti nel corso delle trattive e, quindi, apoditticamente ha risolto il giudizio, nel senso nella conclusione che al società acquirente avrebbe egualmente stipulato il contratto alle stesse condizioni anche se avesse avuto conoscenza delle voci correnti circa la possibile chiusura della filiale della banca conduttrice dei locali oggetto del contratto di compravendita di cui si dice Epperò, la regola posta dall’art. 13376 cod. civ. avrebbe valore di clausola generale il cui contenuto non può essere predeterminato in modo preciso ed implica il modo di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante conosciuto o conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto. La Corte territoriale, ancora una volta, apoditticamente, avrebbe escluso la fattispecie di cui all’art. 1440 cod. civ. escludendo che, pur mantenendo la validità del contratto, esso sarebbe stato concluso a condizioni diverse, ovvero, ad un prezzo inferiore a quello pattuito. 1.1.- Il motivo è infondato ed, essenzialmente, perché si fonda su una valutazione dei fatti e delle risultanze istruttorie, diversa da quella compiuta dalla Corte distrettuale, la quale, risultando priva di vizi logici e/o giuridici, non è suscettibile di sindacato nel giudizio di cassazione. D’altra parte, deve assumersi, in diritto, che, pur potendo il dolo omissivo viziare la volontà e determinare l’annullamento del contratto, tuttavia, esso rileva a tal fine solo quando l’inerzia della parte contraente si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia od astuzia, a realizzare l’inganno perseguito. Il semplice silenzio, anche su situazioni di interesse della controparte, e la reticenza, non immutando la rappresentazione della realtà, ma limitandosi a non contrastare la percezione di essa alla quale sia pervenuto l’altro contraente, non costituiscono causa invalidante del contratto. Piuttosto, la reticenza ed il silenzio non sono sufficienti a costituire il dolo, se non in rapporto alle circostanze ed al complesso del contegno che determina l’errore del deceptus , che devono essere tali da configurarsi quali malizia o astuzia volte a realizzare l’inganno perseguito Cass. 12.2.2003 n. 2104 . Ora, nel caso in esame, la Corte distrettuale ha evidenziato che la società Frama, cui incombeva il relativo onere probatorio, non ha dedotto tutti gli elementi necessari ad integrare il preteso dolo omissivo dei venditori con riferimento sia al contesto nel quale il silenzio da essi tenuto avrebbe dovuto inserirsi per essere rilevante, sia alla idoneità del silenzio stesso ad incidere sulla determinazione volitiva dell’acquirente. Come ha avuto modo di specificare la Corte distrettuale Dirimente appare la circostanza che nei contratto di locazione fra la venditrice e la banca fosse prevista clausola 5.4. la facoltà di recesso ad nutum del conduttore con un preavviso di sei mesi. La società Trama non poteva e non doveva essere all’oscuro di tale circostanza essendo, per altro una società che, secondo l’appellante, tratta la compravendita di immobili con sede in provincia limitrofa. La società Julie deduce, senza specifica contestazione, che il contratto fu mostrato all’acquirente in fase di trattative, e d’altronde è la stessa FRAMA a fondare la sua difesa sull’essenzialità del rapporto locativo sulla cui base FRAMA si era determinata all’acquisto , comparsa di costituzione cfr. anche p. 14 in cui si deduce che nonostante la facoltà di recesso da parte della banca, ciò non significa che non vi fosse una ragionevole aspettativa del riporto locativo , per una cifra anche di importo piuttosto cospicuo . Sicché . tale clausola documentale sottoponeva l’acquirente, in caso di acquisto, al rischio di veder cessare da un momento all’altro col preavviso , quel reddito che sicuro non era e non poteva essere fermo restando che nulla impediva o avrebbe impedito al proprietario di cercare un nuovo conduttore alle normali condizioni di mercato. Altro elemento dirimente è la datazione delle determinazioni della banca l’esibizione è stata ottemperata, e la delibera dell’istituto si colloca all’1.12.2009, quindi, dopo il preliminare che già obbligava le parti, e solo pochi giorni prima del rogito . Di più, nella mail del 18 dicembre 2009 in cui si circolarizzava all’interno dell’istituto la disposta chiusura di 110 sportelli si specificava anche, che la data ultima per modifiche condivise all’elenco delle chiusure allegate era il 14 gennaio 2010 dopo il rogito , sicché detta decisione non poteva neppure ritenersi definitiva, sino a quel termine, la disdetta, in effetti successiva è del 27 gennaio 2010 . . 1.2.- A sua volta, tenuto conto che, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, le parti devono comportarsi secondo buona fede, intesa nella sua accezione oggettiva, quindi come regola di condotta che si sostanzia nel principio della solidarietà contrattuale, articolandosi nei due aspetti della lealtà e della salvaguardia, la Corte distrettuale ha anche escluso che la venditrice non si fosse comportata secondo buona fede, tanto è vero che ha specificato . di fronte a tali risultanze non si può davvero affermare sussistente la prova che Julie avesse fatto dichiarazioni consapevolmente menzognere . In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 cod. proc. civ., condannata a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo . Il Collegio dà atto che, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 10.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali pari al 15% del compenso ed accessori come per legge dà atto che, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.