L’assoluzione dal reato di furto di certificati di deposito non ne rende legittimo il possesso

La sentenza di assoluzione dal reato di furto di certificati di deposito al portatore non è idonea a fondare la legittimità del possesso dei medesimi in capo all’accipiens, in quanto questi deve provare di aver ricevuto i titoli dal de cuius nell’ipotesi in cui gli eredi dimostrino l’esistenza di una valida ragione giustificativa della propria pretesa restitutoria.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 8488/18, depositata il 6 aprile. Il caso. Le eredi legittime del de cuius agivano innanzi al Tribunale di Civitavecchia per l’ottenimento della sentenza di condanna, nei confronti della convenuta, alla restituzione dei certificati di deposito al portatore, rivendicandone la proprietà in qualità di eredi. Nonostante l’eccezione, da parte della convenuta, dell’estinzione del giudizio per rinuncia agli atti ex art. 75 c.p.p., nonché dell’infondatezza della domanda poiché tali titoli costituivano il corrispettivo dell’obbligo dalla stessa assunto di assistenza e cura del de cuius , il Tribunale e, successivamente, la Corte d’Appello di Roma accoglievano la domanda proposta dalle eredi. Avverso la sentenza della Corte distrettuale la convenuta ricorre per cassazione denunciando la violazione degli artt. 1994 e 2003 c.c., per aver il Giudice d’Appello escluso il raggiungimento della prova della consegna dei titoli al portatore, circostanza idonea al trasferimento dei titoli di credito al portatore oggetto di controversia. Inoltre, la ricorrente si duole del fatto che l’intervenuta sentenza di assoluzione, pronunciata in suo favore, per il reato di furto dei certificati medesimi, avrebbe implicitamente dato prova della legittimità dell’acquisizione. Il possesso di titoli di credito. Il Supremo Collegio sottolinea la corretta applicazione, da parte della Corte distrettuale, della disciplina di cui all’art. 1994 c.c Difatti, secondo un consolidato orientamento, in materia di certificati di deposito al portatore il trasferimento si perfeziona con la consegna del titolo e produce l’effetto di costituire, in capo all’ accipiens , la legittimazione a riscuotere le somme relative , spettando alla controparte dimostrare l’esistenza di una valida ragione giustificante la propria pretesa restitutoria , sempre se l’ accipiens sia in grado di provare di aver effettivamente ricevuto i titoli dal soggetto al quale erano stati rilasciati . Ciò posto, successivamente alla denuncia allegata dalle eredi del mancato rinvenimento dei titoli all’interno dell’abitazione del defunto, nonostante in passato li avessero rinvenuti in un armadio presso l’abitazione del defunto , la convenuta non ha dimostrato di aver acquisito i certificati con una legittima modalità, avendo eccepito che l’assoluzione penale escludesse per implicito un atto furtivo o comunque illecito . Alla luce di ciò, secondo la Suprema Corte, la Corte d’Appello ha correttamente applicato il suddetto orientamento, accertando l’illegittimo possesso dei titoli . Inoltre, indimostrata resta, la prova della consegna, non potendo tale prova essere ravvisata nella mera disponibilità materiale dei certificati di deposito . La Corte quindi rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 4 dicembre 2017 – 6 aprile 2018, numero 8488 Presidente Giancola – Relatore Caiazzo Fatto e diritto RILEVATO CHE S.M. e D. citarono in giudizio, innanzi al Tribunale di Civitavecchia, V.A. , chiedendo che fosse accertato e dichiarato che esse, quali uniche e legittime eredi di Sc.Fe. , erano proprietarie dei certificati di deposito al portatore emessi dalla Banca di Roma - come descritti in domanda - e dei relativi importi di denaro, oltre interessi previa revoca del provvedimento di sequestro emesso, a norma dell’art. 263 c.p.p., dal gip della Pretura di Civitavecchia, fosse emessa condanna della convenuta alla restituzione dei titoli e delle corrispondenti somme di denaro, oltre interessi dichiarare, per la sola ipotesi di formulazione dell’eccezione, la nullità della donazione perché non stipulata nella forma prescritta dalla legge. Si costituì la convenuta eccependo in via preliminare, l’estinzione del giudizio per la rinunzia agli atti, ex art. 75 c.p.p., atteso l’esercizio delle azioni civili di restituzione in sede penale l’infondatezza della domanda, in quanto i titoli costituivano il corrispettivo dell’obbligo dalla stessa assunto, nei confronti di Sc.Fe. , di accudirlo, assisterlo e curarlo per l’intera sua vita, soggiungendo che i titoli le erano stati consegnati da quest’ultimo, con l’intesa che il relativo rendimento sarebbe stato incassato dallo Sc. . Dopo lo svolgimento della fase istruttoria - durante la quale furono acquisiti documenti ed assunte prove orali - il Tribunale adito accolse la domanda, dichiarando le attrici proprietarie dei certificati di deposito e condannando la convenuta al pagamento delle spese di lite. La V. propose appello, formulando vari motivi, quali la violazione dell’art. 75 c.p.p. l’omessa valutazione degli effetti del giudicato penale la violazione dell’art. 1994 c.c., anche con riferimento all’art. 2003 c.c. l’inefficacia dell’accertamento contenuto in sentenza, atteso che i titoli per cui è causa erano stati trasferiti a terzi l’errata valutazione degli elementi probatori acquisiti. La Corte d’appello di Roma rigettò l’appello. In particolare, la Corte rilevò che l’eccezione d’estinzione del giudizio era infondata, in quanto l’oggetto del giudizio riguardava la restituzione dei titoli e delle relative somme, mentre l’oggetto dell’azione civile promossa nel processo penale conclusosi con l’assoluzione della V. riguardava il risarcimento del danno da illecito penale tale assoluzione non impediva l’esame della domanda, non sussistendo alcuna preclusione la convenuta non aveva provato il valido acquisto dei titoli, non risultando che la stessa avesse concluso con lo Sc. un contratto di vitalizio. V.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Resistono S.M. e D. con controricorso, eccependo l’infondatezza del ricorso la V. ha depositato memoria. CONSIDERATO CHE Con il primo motivo è stata denunziata la violazione dell’art. 2003 c.c., con riferimento all’art. 1994 c.c., e il vizio di contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, 1 c. nnumero 3 e 5, c.p.c Al riguardo, la ricorrente ha lamentato che il giudice d’appello, muovendo dalla corretta premessa che il trasferimento dei titoli di credito al portatore si perfeziona con la sola consegna e che non incombe al possessore l’onere di provare l’acquisizione dei titoli, spettando alla controparte di dimostrare la sussistenza di una valida ragione giustificativa della propria pretesa, è però pervenuto ad erronea conclusione ritenendo che era mancata la prova della consegna dei certificati, mentre la stessa V. era legittimata dal mero possesso dei titoli stessi. Pertanto, la ricorrente ha dedotto sia la violazione degli artt. 1994 e 2003, c.c. - avendo la Corte applicato ai titoli al portatore la normativa relativa ai titoli all’ordine - sia il vizio di motivazione, lamentando la contraddittoria motivazione in quanto il giudice di merito, da un lato ha affermato che spettava agli eredi dello Sc. dimostrare l’eventuale acquisto in mala fede da parte dell’attuale portatore, e dall’altro che, invece, incombeva sull’accipiens provare di aver ricevuti i titoli dal soggetto a cui erano stati rilasciati dall’istituto bancario emittente. Con il secondo motivo è stata denunziata la violazione dell’art. 2697 c.c., con riferimento all’art. 99 c.p.c., e il vizio di motivazione, in relazione all’art. 360, 1 c. nnumero 3 e 5, c.p.c In particolare, la ricorrente ha lamentato che il giudice d’appello aveva violato le norme sull’onere probatorio, ritenendo che la V. avrebbe dovuto dimostrare di aver ricevuto i titoli dal soggetto cui li aveva rilasciati l’istituto emittente, non considerando che il giudicato penale di assoluzione - per non aver commesso il fatto - in ordine all’imputazione di furto degli stessi certificati, escludendo l’acquisizione illecita, ne aveva affermato, implicitamente, l’acquisizione legittima. Inoltre, è stata denunziata la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, avendo la corte di merito richiesto che la V. provasse l’acquisizione dei titoli, in tal modo omettendo di considerare che la legittimazione all’esercizio del diritto incorporato nei titoli era fondata unicamente sul possesso degli stessi. Il P.M. ha depositato relazione, chiedendo il rigetto del ricorso. Il ricorso è infondato. Il primo motivo va disatteso in quanto la Corte d’appello ha correttamente applicato l’art. 1994 c.c., in tema di possesso di titoli di credito al portatore e relativa legittimazione. Al riguardo, secondo un consolidato orientamento, in materia di certificati di deposito al portatore il trasferimento si perfeziona con la consegna del titolo e produce l’effetto di costituire, in capo all’accipiens, la legittimazione a riscuotere le somme relative. Ne consegue che non incombe sul possessore la prova circa il processo acquisitivo del titolo, spettando alla controparte dimostrare l’esistenza di una valida ragione giustificante la propria pretesa restitutoria Cass., numero 22328/07 numero 19329/13 . Nel caso concreto, come altresì evidenziato nella relazione del P.M., la convenuta non ha dimostrato di aver acquisito i certificati con una legittima modalità, avendo eccepito che l’assoluzione penale escludesse per implicito un atto furtivo o comunque illecito. In realtà, nell’atto di citazione le attrici allegarono di aver rinvenuto i titoli il 13.2.98, in un armadio presso l’abitazione del defunto e di non averli più ritrovati il successivo 15.2.98, avendo poi sporto denuncia penale. Pertanto, alla luce della prospettazione della domanda, che muoveva dalla premessa che la V. non fosse venuta legittimamente in possesso dei certificati, la Corte d’appello ha correttamente applicato il suddetto orientamento, accertando l’illegittimo possesso dei titoli. Al riguardo, giova ancora rilevare che la V. ha titolato la consegna riferendola ad un contratto di vitalizio, in ordine alla sua attività di assistenza allo Sc. ma, come esposto, l’asserita consegna con giusta causa traditionis è rimasta indimostrata e non era inferibile dalla disponibilità materiale dei titoli data anche la persistenza di retribuzione mensile adeguata alla ricorrente. È parimenti infondata la doglianza afferente al vizio di contraddittoria motivazione, poiché la Corte d’appello, premesso che spetta all’erede del soggetto cui i titoli furono rilasciati dall’emittente dimostrare l’esistenza di una valida ragione giustificativa della propria pretesa, ha però precisa che ciò vale nell’ipotesi in cui l’accipiens sia in grado di provare di aver effettivamente ricevuti i titoli dal soggetto al quale erano stati rilasciati sulla base di tale premessa, la Corte d’appello ha dunque correttamente affermato che la ricorrente non aveva fornito la prova di tale consegna, non potendo tale prova essere ravvisata nella mera disponibilità materiale dei certificati di deposito. Il secondo motivo anch’esso duplice e sostanzialmente connesso al primo è parimenti infondato. Invero, non sussiste alcuna violazione dell’art. 2697 c.c., avendo la Corte correttamente applicato le norme sul riparto dell’onere probatorio, sia perché gravava sulla V. la prova dell’acquisizione di valido possesso dei titoli, sia perché il giudicato penale era irrilevante al fine di avallare la tesi del legittimo possesso della convenuta, evidenziando peraltro che l’assoluzione fosse stata pronunciata sulla contraddittorietà e sull’insufficienza delle prove raccolte contrariamente a quanto esposto dalla difesa della ricorrente . Ne consegue altresì l’infondatezza della doglianza relativa al vizio motivazionale, avendo la Corte di merito chiaramente esplicitato il percorso logico-argomentativo adottato nel rilevare che incombeva sulla ricorrente l’onere di dimostrare di aver ricevuti i titoli dal soggetto al quale li aveva rilasciati l’istituto emittente. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e rigetta, condannando la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 5200,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi e la maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. numero 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.