Operazioni finanziarie: la banca non può sottrarsi all’onere informativo

L’obbligo di informazione e trasparenza che grava sull’intermediario finanziario non viene meno nel caso in cui l’operazione sia adeguata al profilo di rischio dell’investitore e al suo livello di conoscenza del mercato finanziario.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 8333/18, depositata il 4 aprile. Il caso. La Corte d’Appello di Catania, in riforma della sentenza di prime cure, respingeva la domanda di un investitore diretta alla risoluzione del contratto con cui un istituto di credito gli aveva erogato un finanziamento finalizzato all’acquisto di quote di fondi d’investimento gestiti da una società controllata dalla medesima banca. In particolare, la Corte riconosceva, come sostenuto dall’attore, l’inadempimento della banca rispetto agli obblighi di informazione e trasparenza, ma negava la gravità dell’inadempimento stesso circostanza necessaria per giustificare la risoluzione in virtù dell’art. 1455 c.c. , posto che il cliente si sarebbe comunque determinato ad attuare l’operazione anche laddove la banca avesse adempiuto a quegli obblighi trattandosi di operazione adeguata al suo profilo di rischio e al suo buon livello di conoscenza del mercato finanziario. La sentenza viene impugnata con ricorso in Cassazione dall’investitore. Onere informativo. Il Collegio, dopo aver ripercorso l’iter motivazionale adottato dalla Corte territoriale, precisa che l’adeguatezza del profilo di rischio del cliente e la sua conoscenza del mercato sono totalmente privi di valore inferenziale quanto alla circostanza che il cliente stesso, se informato, avrebbe comunque proceduto all’acquisto . È infatti evidente che anche un investitore propenso al rischio valuta i diversi profili di investimento scegliendo quello a suo parere più promettente grazie alle informazioni che l’intermediario deve fornirgli, informazioni necessarie anche per muoversi in un mercato finanziario di cui magari già conosce le caratteristiche. La motivazione della sentenza impugnata sul punto si rivela dunque meramente apparente per aver trascurato il rilievo essenziale del dovere di informazione dell’intermediario nei confronti di tutti gli investitori, senza distinzione alcuna in base alla propensione al rischio. In conclusione, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 13 ottobre 2017 – 4 aprile 2018, n. 8333 Presidente Tirelli – Relatore De Chiara Fatti di causa La Corte d’appello di Catania, in riforma della sentenza di primo grado su gravame della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., ha respinto la domanda del sig. O.R. di risoluzione, per inadempimento degli obblighi di informazione e trasparenza della banca, del contratto con cui questa gli aveva erogato un finanziamento finalizzato all’acquisto di quote di fondi d’investimento gestiti da una società controllata dalla stessa banca, che le tratteneva in pegno a garanzia del rimborso del finanziamento operazione risoltasi, a causa del cattivo andamento dei fondi acquistati, in una perdita per il cliente, della quale questi chiedeva quindi il rimborso. La Corte ha confermato l’inadempimento, da parte della banca, a tutti gli obblighi di informazione su di essa gravanti quale intermediaria, ai sensi dell’art. 28 reg. Consob n. 11522 del 1998, essendosi limitata a consegnare al cliente un documento sui rischi generali, senza aggiungere le informazioni sulla natura, i rischi e le implicazioni della specifica operazione, la cui conoscenza sarebbe stata necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento nonché all’obbligo informativo concernente il conflitto di interesse, ai sensi dell’art. 27 reg. cit., essendo oggetto dell’investimento fondi emessi e gestiti da società del medesimo gruppo bancario. Tuttavia ha escluso la sussistenza del requisito della gravità dell’inadempimento idonea a giustificare la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1455 cod. civ., essendo i prodotti finanziari negoziati adeguati al profilo del cliente, del quale era appurata la elevata propensione al rischio e la buona conoscenza del mercato finanziario sicché doveva ritenersi, secondo un principio di normalità , che, nonostante l’assenza di precise informazioni sui prodotti acquistati, il sig. O. avrebbe comunque ordinato l’esecuzione dell’investimento di cui trattasi, con conseguente non configurabilità di un danno risarcibile causalmente collegato all’inadempimento della banca. Tanto la Corte ha statuito dopo aver disatteso le eccezioni - di litispendenza, ribadita dall’appellante in relazione ad altra precedente causa tra le medesime parti e avente ad oggetto il medesimo contratto, sul rilievo che nel giudizio in corso l’attore aveva abbandonato già in limine litis le domande di nullità e annullamento del contratto proposte nel primo giudizio - di inammissibilità della domanda di risoluzione contrattuale, proposta dall’attore soltanto con la memoria di replica ai sensi dell’art. 6 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 e senza allegazione dell’inadempimento del contratto-quadro, osservando che, con la richiesta di risoluzione, l’attore si era limitato a rivestire di diversa forma giuridica la medesima doglianza spiegata con l’atto introduttivo del giudizio in punto di violazione dei doveri di informazione, e che non era necessaria alcuna allegazione di inadempimenti del contratto-quadro, essendo sufficiente a sostenere la pretesa attorea la violazione degli obblighi informativi gravanti sulla banca in relazione alla specifica operazione posta in essere, costituita dal finanziamento, dall’acquisto delle quote di fondi e dalla costituzione in pegno delle medesime. Il sig. O. ha proposto ricorso per cassazione con un motivo, cui ha resistito la banca intimata con controricorso contenente anche ricorso incidentale condizionato per tre motivi. Ragioni della decisione 1. Con l’unico motivo del ricorso principale, denunciando violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, si lamenta che la Corte d’appello, concentrandosi sulla questione del danno risarcibile, abbia mancato di considerare che il rimborso delle somme investite in perdita dal ricorrente era dovuto quale conseguenza meramente restitutoria - non già risarcitoria – della invocata risoluzione del contratto presupposto della quale è la gravità dell’inadempimento, su cui in effetti la Corte nulla ha argomentato. Ha, infatti, ingiustificatamente svalutato la pur accertata totale omissione di ogni doverosa informazione sulle caratteristiche della specifica operazione posta in essere, sull’assunto che il cliente si sarebbe comunque regolato alla stessa maniera quand’anche avesse ricevuto le informazioni cui aveva diritto assunto invece illogico e illegittimo, dato che le informazioni sulle caratteristiche dell’operazione specifica che ci si accinge a compiere servono appunto a consentire al cliente di determinarsi consapevolmente nella scelta. 1.1. Il motivo è fondato. Nel ragionamento della Corte d’appello si nota, invero, una certa confusione tra i piani - da tenere invece distinti, come giustamente chiede il ricorrente - della gravità dell’inadempimento rilevante ai fini della risoluzione contrattuale e del danno risarcibile che è indipendente dalla risoluzione . Tuttavia, al netto di ciò, il senso del ragionamento può sintetizzarsi nei seguenti termini l’inadempimento della banca ai propri obblighi informativi non è grave perché non ha inciso sull’interesse della controparte rilevante ai sensi dell’art. 1455 cod. civ. , com’è dimostrato dal fatto che il cliente si sarebbe comunque determinato a compiere l’operazione anche se la banca avesse adempiuto a quegli obblighi, dato che si trattava di un’operazione adeguata al suo profilo di rischio ed egli aveva un buona conoscenza del mercato finanziario. Sennonché è evidente che sia l’adeguatezza al profilo di rischio del cliente, sia la buona conoscenza del mercato finanziario da parte sua sono totalmente privi di valore inferenziale quanto alla circostanza che il cliente stesso, se informato, avrebbe comunque proceduto all’acquisto. Che un investitore propenda per investimenti rischiosi non toglie, infatti, che egli selezioni tra gli investimenti rischiosi quelli a suo giudizio aventi maggiori probabilità di successo, grazie appunto alle informazioni che l’intermediario è tenuto a fornirgli o altrimenti reperite. Parimenti, la buona conoscenza del mercato finanziario è indizio, semmai, della capacità di distinguere tra investimenti consigliabili e sconsigliabili, sempre che, però, si disponga delle necessarie informazioni sullo specifico prodotto oggetto dell’operazione, che dunque si ha tutto l’interesse a ricevere. Diversamente potrebbe dirsi nel caso in cui non si parli di generica conoscenza del mercato, bensì di conoscenza personale ossia non fornita dall’intermediario delle caratteristiche dello specifico prodotto in questione, ma non è questo che afferma la Corte d’appello. Poiché, dunque, tutti gli indizi valorizzati nella sentenza impugnata sono totalmente privi di attitudine inferenziale della conseguenza tratta dalla Corte d’appello, deve concludersi che detta conseguenza - cioè che il sig. O. , anche se fosse stato informato, avrebbe ugualmente sottoscritto il contratto - è giustificata con una motivazione solo apparente cfr., per tutte, Cass. 24/10/2000, n. 13984 e dunque è censurabile ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. anche nella versione, qui applicabile ratione temporis, introdotta dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134 cfr. Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053 . Espunto dal ragionamento tale passaggio, la valutazione di scarsa gravità dell’inadempimento della banca, effettuata dalla Corte d’appello, è insostenibile in diritto, atteso il rilievo essenziale del dovere di informazione che l’intermediario ha nei confronti di tutti gli investitori, senza alcuna distinzione - non prevista da alcuna norma, né del resto giustificabile secondo i principi - in base alla loro propensione al rischio. 2. Con il primo motivo del ricorso incidentale, denunciando violazione degli artt. 112 e 88 cod. proc. civ., si censura il rigetto dell’eccezione di litispendenza osservando che la Corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità delle domande perché contraddittorie e poste in violazione del principio di lealtà processuale, e/o la nullità della sentenza per abuso del processo . 2.1. Il motivo è inammissibile perché non è dato comprendere l’attinenza dei rilievi sopra trascritti con la questione della litispendenza, oggetto della statuizione censurata. 3. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, denunciando violazione dell’art. 6 d.lgs. n. 5 del 2003 e dell’art. 112 cod. proc. civ., si censura il rigetto dell’eccezione d’inammissibilità della domanda di risoluzione contrattuale, contestando che con essa fosse stata proposta soltanto una diversa qualificazione dei fatti già dedotti, dato che era stato invece integrato il petitum, e sottolineando l’autonomia dell’operazione di investimento conclusa rispetto al contratto quadro. 3.1. Il motivo è infondato. Quanto alla integrazione del petitum, va osservato che - pur non potendo confermarsi che si sia trattato soltanto di riqualificazione giuridica dei medesimi fatti, come affermato nella motivazione della sentenza impugnata, la quale va pertanto corrette sul punto ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. - questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che nel rito societario già disciplinato dal d.lgs. n. 5 del 2003, la modificazione della domanda, ivi consentita tramite la memoria ex art. 6, può riguardare anche uno o entrambi i suoi elementi oggettivi petitum e causa petendi , sempre che la domanda così modificata riguardi la medesima vicenda sostanziale dedotta lite o sia ad essa collegata Cass. 19/01/2016, n. 816 26/01/2016, n. 1368 . Quanto alla mancata estensione della domanda di risoluzione al contratto quadro, la sottolineatura dell’autonomia, rispetto ad esso, della specifica operazione conclusa, non è idonea scalfire, ma anzi sembra rafforzare la statuizione della Corte d’appello secondo cui di tale estensione non vi era bisogno essendo sufficiente la risoluzione dell’operazione di investimento. 4. Con il terzo motivo del ricorso incidentale, denunciando violazione dell’art. 23 t.u.f. e dell’art. 28 reg. Consob n. 11522 del 1998, anche in relazione agli artt. 1218 e 2043 cod. civ., si deduce che l’attore era venuto meno all’onere di specificare quali informazioni la banca avesse omesso di fornirgli e che il solo inadempimento rilevante è quello che abbia causato dei danni, che la Corte d’appello nella specie ha invece escluso. 4.1. Il motivo è inammissibile nella prima parte, relativa al dedotto onere di specificazione delle informazioni mancate, essendo sollevata una questione nuova né la sentenza impugnata, né lo stesso ricorso ne menzionano la deduzione nei gradi di merito nella seconda parte è assorbito dalla cassazione della sentenza impugnata, conseguente all’accoglimento del ricorso principale, a proposito appunto della dannosità dell’inadempimento della banca. 5. In conclusione il ricorso principale va accolto e il ricorso incidentale rigettato. La sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, per un nuovo esame sul punto relativo alla gravità dell’inadempimento ai fini della invocata risoluzione contrattuale. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Catania in diversa composizione.