Il preliminare di compravendita non fa venir meno gli obblighi ripristinatori in capo al promissario venditore

Nel caso di esecuzione di lavori non autorizzati dal Condominio, quest’ultimo può ottenere la condanna del proprietario dell’immobile alla cessazione delle opere e al ripristino dalla situazione precedente anche se l’immobile era in possesso del promissario acquirente dello stesso.

Sul tema si è pronunciata la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 5915/18, depositata il 12 marzo. Il caso. Il Tribunale di Milano accoglieva la domanda presentata da un Condominio per la cessazione di opere edili di ristrutturazione di un negozio sito al primo piano di un condominio, condannando il proprietario dell’immobile alla demolizione delle stesse e il ripristino della situazione precedente. Il convenuto aveva inutilmente affermato di non aver dato inizio alla ristrutturazione che era invece stata avviata dal promissario acquirente dei locali che era stato immesso nel possesso dell’immobile e che chiamava in garanzia. Avverso la sentenza d’appello, che confermava la decisione di prime cure, il soccombente ricorre in Cassazione deducendo la mancata considerazione del fatto che al momento della proposizione della domanda egli non aveva più la detenzione di fatto o di diritto dell’immobile in virtù del contratto preliminare. Legittimazione passiva. La Corte nega ogni fondamento alla censura. I giudici territoriali hanno infatti correttamente considerato il rapporto tra il ricorrente e l’immobile valutando l’eccezione processuale relativa alla carenza di legittimazione passiva e conformandosi al principio secondo cui la qualità di possessore del bene non viene meno con la stipula di un contratto preliminare di compravendita e ciò vale anche in dipendenza del’immissione in possesso di altri soggetti, scindendo poi il profilo del difetto di legitimatio ad causam del ricorrente dalla diversa questione della titolarità degli obblighi ripristinatori e risarcitori e quindi non soltanto ripristinatori come affermava invece M. nel ricorso facenti a lui capo . In conclusione, il ricorso viene rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 19 settembre 2017 – 12 marzo 2018, n. 5915 Presidente Bianchini – Relatore Marcheis Fatto e diritto Premesso che M.N. propone ricorso in cassazione contro la sentenza della Corte d’appello di Milano 4 marzo 2014, n. 922, che aveva respinto gli appelli, riuniti, dello stesso M. e della società Quattrodì, così confermando la pronuncia del Tribunale di Milano n. 8808/2006. Il ricorrente era stato convenuto, ex art. 703 c.p.c., dal Condominio omissis , che aveva chiesto al Tribunale di ordinare alla società Quattrodì la cessazione di opere edili in corso una ristrutturazione dell’interno e della facciata , opere iniziate da M. , già proprietario del negozio, chiedendo che fosse accertata l’illegittimità delle opere e ordinata la loro demolizione con ripristino della situazione precedente. M. , costituendosi, aveva affermato di non aver dato inizio alle opere, cominciate a sua insaputa da F.A. , al quale egli si era impegnato a vendere l’immobile e che era stato immesso nel possesso dell’immobile, F. che egli chiamava in garanzia. Il Tribunale aveva accolto la domanda del Condominio e condannato i convenuti a demolire le opere illegittime e a ripristinare lo stato preesistente, fissando in sei mesi dalla notificazione della sentenza il termine per l’esecuzione dei lavori di ripristino, autorizzando l’attore, in difetto di esecuzione, a provvedervi a proprie cure e a spese dei convenuti. Il Condominio resiste con controricorso, con cui chiede di dichiarare l’inammissibilità e comunque rigettare il ricorso, con eventuale correzione della motivazione. Gli intimati società Quattrodì e F.A. non si sono difesi. Il ricorrente ha depositato memoria. considerato che Il ricorso è formalmente articolato in due motivi. Il primo motivo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti . Il secondo lamenta violazione ed errata applicazione delle norme di diritto . Il secondo è inammissibile. Alla genericità della rubrica del motivo, non segue nell’esposizione successiva poi alcuna individuazione di quali siano le norme violate o falsamente applicate. Circa il primo motivo, il ricorrente contesta alla Corte d’appello di non avere, come il giudice di primo grado, valutato che al momento della proposizione della domanda egli non aveva più la detenzione di fatto o di diritto dell’immobile in quanto in ottemperanza al contratto preliminare, e poi definitivo di compravendita, i locali erano stati consegnati alla società Quattrodì, il che avrebbe dovuto portare i giudici di merito a escludere ogni sua legittimazione e/o titolarità passiva. Il motivo è infondato. Il rapporto tra M. e l’immobile, lungi dall’essere stato omesso, è infatti stato considerato dalla Corte d’appello che - appunto valutando la eccepita carenza di legittimazione passiva di M. - ha osservato cfr. in particolare le pp. 13-15 del provvedimento che la qualità di possessore del bene non viene meno con la stipula di un contratto preliminare di compravendita e che ciò vale anche in dipendenza dell’immissione in possesso di altri soggetti, scindendo poi il profilo del difetto di legitimatio ad causam del ricorrente dalla diversa questione della titolarità degli obblighi ripristinatori e risarcitori e quindi non soltanto ripristinatori come afferma invece M. nel ricorso facenti a lui capo. Il ricorso va pertanto rigettato. La liquidazione delle spese, effettuata nel dispositivo, segue la soccombenza. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in Euro 5.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali 15% e accessori di legge. Sussistono, ex art. 13, comma 1-bis del d.p.r. n. 115/2002, i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.