Il contratto “unit linked” non necessita del consenso scritto dell’assicurato che coincide con il beneficiario

Ai fini della validità di un contratto c.d. unit linked, il quale si sostanzia in un investimento finanziario in forma di polizza vita, non è richiesto il consenso in forma scritta dell’assicurato, ai sensi dell’art. 1919, comma 2, c.c., qualora questi coincida con il beneficiario.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 3707/18, depositata il 15 febbraio. Il caso. Il Tribunale di Orvieto accoglieva la domanda con cui l’attore aveva richiesto la dichiarazione di nullità di un contratto c.d. unit linked avente natura assicurativa/finanziaria stipulato dal padre deceduto con un istituto di credito. La Corte d’Appello di Perugia riformava la sentenza del Giudice di prime cure rigettando la domanda. Avverso la sentenza della Corte distrettuale l’appellato ricorre per cassazione denunciando la nullità del medesimo contratto in considerazione del fatto che, ai fini della validità dello stesso, sarebbe mancato il consenso scritto del ricorrente in qualità di assicurato ex art. 1919, comma 2, c.c. Assicurazione sulla vita propria o di un terzo . Il contratto di assicurazione sulla vita di un terzo. Il Supremo Collegio, aderendo ad un consolidato orientamento espresso dalla medesima Corte, sottolinea che il consenso scritto del terzo ai fini della validità del contratto di assicurazione sulla vita di terzo, sussiste esclusivamente nel caso in cui il terzo si venga a trovare nella posizione di mero portatore del rischio , mentre i benefici del contratto assicurativo spettano esclusivamente al contraente o a persona da questi designata nel proprio interesse . Secondo la Suprema Corte, una tale necessità di protezione e tutela del terzo, non sussiste, laddove, nella sostanza, il beneficiario dell’assicurazione non sia il contraente ma il terzo stesso, ovvero i suoi eredi, o comunque soggetti da lui indicati , difatti, nella specie, l’assicurato era il figlio del contraente . Di conseguenza, al contratto in esame risulta applicabile la disciplina di cui all’art. 1891 c.c. Assicurazione per conto altrui o per conto di chi spetta in luogo di quella prevista all’art. 1919, comma 2, c.c La Corte dunque rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 28 settembre 2017 15 febbraio 2018, n. 3707 Presidente Vivaldi Relatore Tatangelo Fatti di causa C.M. ha agito in giudizio nei confronti di CNP UniCredit Vita S.p.A. per ottenere la dichiarazione di nullità e, in subordine, l’annullamento di un contratto di natura assicurativa/finanziaria che con essa aveva stipulato il padre C.Q., poi deceduto, nonché la restituzione della somma da questi versata alla compagnia a titolo di premio. La domanda è stata accolta dal Tribunale di Orvieto, che ha condannato la compagnia convenuta a pagare all’attore l’importo di Euro 258.228,44, oltre accessori. La Corte di Appello di Perugia, in riforma della decisione di primo grado, ha invece rigettato tutte le domande. Ricorre il C. , sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso CNP UniCredit Vita S.p.A Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo si denunzia Violazione dell’art. 1919 comma 2 c.c. ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. Fattispecie di contratto di assicurazione sulla vita di un terzo nulla per mancanza di sottoscrizione del terzo . Con il secondo motivo si denunzia Manifesta illogicità della motivazione con violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. ex art. 360 comma I n. 3 c.p.c. Travisamento del principio di diritto espresso in Cass. Sez. I sent. 1883 del 13 maggio 1977 . Con il terzo motivo si denunzia Falsa applicazione dell’art. 1891 c.c. ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. Errore nell’individuazione della norma applicabile alla fattispecie . I primi tre motivi del ricorso sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente, costituendo espressione di una censura unitaria. Essi sono infondati. Il padre del ricorrente ha stipulato con CNP UniCredit Vita S.p.A. un contratto del tipo Unit Linked si tratta in sostanza di un investimento finanziario in forma di polizza vita , indicando in esso come assicurato il figlio e come beneficiari della polizza gli eredi legittimi e testamentari di quest’ultimo. Secondo il ricorrente che ha agito in giudizio dopo la morte del padre , nella fattispecie avrebbe dovuto applicarsi il disposto dell’art. 1919, comma 2, c.c., onde il contratto stipulato dal padre non poteva ritenersi valido, in mancanza del proprio consenso scritto, e non poteva essere ricondotto alla previsione di cui all’art. 1891 c.c., come erroneamente ritenuto dalla corte di appello. Orbene, la ratio della disposizione di cui all’art. 1919, comma 2, c.c. che, in caso di assicurazione sulla vita di un terzo, richiede il consenso scritto di quest’ultimo ai fini della validità del contratto, viene tradizionalmente ricollegata a ragioni di ordine pubblico, e precisamente all’opportunità di tutelare la vita del terzo e di evitare che l’assicurazione divenga incentivo all’omicidio secondo altra tesi che attribuisce funzione indennitaria anche all’assicurazione sulla vita e ravvisa quindi la necessità di un interesse del contraente alla base della relativa stipulazione, essa si spiegherebbe in quanto il consenso del terzo sostituirebbe la prova dell’interesse del contraente all’esistenza in vita del terzo stesso. In ogni caso, secondo la giurisprudenza non recente, ma mai contraddetta , di questa Corte, in sintonia con la prevalente dottrina, tale ratio sussiste esclusivamente nel caso in cui il terzo si venga a trovare nella posizione di mero portatore del rischio , mentre i benefici del contratto assicurativo spettano esclusivamente al contraente o a persona da questi designata nel proprio interesse. Tale necessità, dunque, non sussiste, laddove, nella sostanza, il beneficiario dell’assicurazione non sia il contraente ma il terzo stesso, ovvero i suoi eredi, o comunque soggetti da lui indicati in tal caso, secondo questa impostazione, sarebbe semplicemente stipulata un’assicurazione sulla vita a favore di un terzo, e la disciplina giuridica sarebbe quindi quella dettata in via generale dall’art. 1891 c.c. in tal senso Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1846 del 26/06/1973, Rv. 364854 - 01 Sez. 1, Sentenza n. 1883 del 13/05/1977, Rv. 385597 - 01 cfr. altresì, nel medesimo senso, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2393 del 10/06/1977, Rv. 386100 - 01, la quale ha espressamente escluso la necessità del consenso del terzo richiesto dell’art. 1919, comma 2, c.c., nel caso dell’assicurazione che il datore di lavoro stipuli per il caso di morte del proprio dipendente, in favore degli eredi di quest’ultimo, ritenendola valida ed efficace a prescindere dall’indicato consenso . La sentenza impugnata ha correttamente applicato i suddetti principi di diritto, osservando che nella specie l’assicurato era il figlio del contraente ed i beneficiari della somma assicurata, in caso di sua morte, erano gli eredi legittimi e testamentari di quest’ultimo quindi, in definitiva, soggetti non indicati dal contraente nel proprio interesse, bensì nell’interesse del terzo, e nella sostanza determinati da quest’ultimo, per il tramite della designazione testamentaria , ed ha concluso che il contratto era disciplinato dall’art. 1891 c.c. e non richiedeva il consenso scritto del terzo di cui all’art. 1919, comma 2, c.c Orbene, anche a prescindere dalla invero discussa applicabilità dell’art. 1891 c.c. al contratto di assicurazione sulla vita che dipende dalla ricostruzione teorica dello stesso come avente o meno natura indennitaria e quindi dal riconoscimento della necessaria sussistenza di un interesse alla sua base, con la conseguente possibilità o meno di ammettere che esso sia stipulato per conto altrui , possibilità esclusa da chi nega il rilievo di un siffatto interesse e quindi la stessa possibilità di ricostruire la figura di un assicurato in tale contratto , è assorbente il rilievo che nella specie la disposizione dell’art. 1919, comma 2, c.c., non era comunque applicabile, in quanto, come sin qui osservato, mancava in concreto il presupposto per la sua operatività, in relazione alla sua stessa ratio a prescindere dalle ricostruzioni teoriche , non essendo affatto il terzo un mero portatore del rischio , ma il sostanziale destinatario dei benefici del contratto assicurativo. La decisione impugnata si sottrae dunque certamente alle censure di cui al ricorso. 2. Con il quarto motivo si denunzia Sulle spese di giudizio Violazione dell’art. 91 c.p.c. ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. . Il motivo - che rappresenta la conseguenza dell’auspicato accoglimento dei primi tre - risulta infondato, in conseguenza del mancato accoglimento dei precedenti. 3. Il ricorso è rigettato. Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo. Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dall’art. 1, co. 18, della legge n. 228 del 2012, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, co. 17, della citata legge n. 228 del 2012. P.Q.M. La Corte - rigetta il ricorso - condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.