E’ nullo l’accordo traslativo degli oneri fiscali tra locatore e conduttore? La parola alle Sezioni Unite

Il nucleo della questione può identificarsi con il quesito se l’obbligo costituzionalmente rilevante di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva abbia un significato esclusivamente oggettivo – nel senso di obbligo ad adempiere a quanto è giustificato dalla capacità contributiva – oppure anche soggettivo – nel senso che l’adempimento debba essere compiuto non solo oggettivamente in modo completo, ma altresì dal soggetto che per legge ne ha l’obbligo, escludendosi quindi il trasferimento dell’obbligo ad un soggetto diverso.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 28437/17, depositata il 28 novembre. Il fatto. Una società a responsabilità limitata adiva il Tribunale territorialmente competente affinchè la propria locatrice fosse condannata alla restituzione di quanto essa le aveva corrisposto in virtù di una clausola contenuta nel contratto di locazione sottoscritto dalle parti - e di cui, contestualmente ne chiedeva la nullità per contrasto con gli artt. 53 e 2 della Costituzione e 1418, c.c. sulla scorta dei quali tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche secondo la propria capacità contributiva , a titolo di tasse, imposte ed oneri relativi al bene locato. Controparte si costituiva, resistendo mentre il Tribunale rigettava con sentenza la domanda attorea, sentenza che veniva confermata anche in sede di gravame. La società conduttrice proponeva pertanto, ricorso per Cassazione. La questio iuris. Gli Ermellini, hanno ritenuto di dover rimettere la questione alle Sezioni Unite attesa la presenza di numerosi elementi dubbi, tenuto conto della rilevanza di diversi interventi della Sezioni Unite in materia e valutata la notevole valenza nomofilattica della fattispecie, in quanto correlata alla diretta precettività dell’art. 53 Cost. – per la quale secondo i giudici – una lettura evolutiva ben potrebbe discendere pure dal nuovo quadro sistematico discendente dai tratti di recente inseriti nello statuto del contribuente ossia la l. 27 luglio 2000, n. 212 . In particolare, i Giudici di legittimità fanno riferimento ai primi due commi dell’art. 10 bis, rubricato come Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale” il primo dei quali stabilisce che l’abuso del diritto consiste in una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”, operazioni che sono quindi, inopponibili all’erario. Il secondo fornisce il contenuto delle definizioni su cui si impernia il primo, cioè le operazioni prive di sostanza economica” che sono quindi, i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”, essendone indice tra l’altro la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato” – e i vantaggi fiscali indebiti” – ovvero i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”. Concludendo. In ultima analisi, proseguono i Giudici, la questione sulla validità di un accordo di traslazione degli oneri fiscali che sia estraneo al sinallagma del contratto in cui è inserito si impernia allora sul comprendere se vi sia una compressione all’autonomia negoziale che imponga agli interessi economici un limite giuridico. E il fondamento della tematica rimane comunque nel significato dell’art. 53 Cost., avendo riguardo che S.U. 18 dicembre 1985, n. 6445, ovvero l’arresto nomofilattico che finora l’ha maggiormente governata e che è oramai ben risalente, ha comunque affermato che il principio della capacità contributiva è norma imperativa preclusiva di patti negoziali che ne comportino l’esclusione .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 29 marzo – 28 novembre 2017, numero 28437 Presidente Chiarini – Relatore Graziosi In fatto e in diritto 1. Con ricorso proposto ex articoli 447 bis e 414 ss. c.p.c. in data 23 luglio 2013 SSC Società Sviluppo Commerciale S.r.l. adiva il Tribunale di Prato perché Meteore Italy S.r.l. fosse condannata alla restituzione di quanto quale locatrice le era stato corrisposto dalla ricorrente, quale conduttrice, in forza della clausola 7.2 di un contratto di locazione avente ad oggetto un centro commerciale che le due società avevano stipulato il omissis , clausola così formulata 7.2 Tasse Nel corso dell’intera durata del presente Contratto i Il Conduttore si farà carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai Beni Locati ed al presente Contratto tenendo conseguentemente manlevato il Locatore relativamente agli stessi ii il Locatore sarà tenuto al pagamento delle tasse, imposte e oneri relativi al proprio reddito. Adduceva SSC S.r.l. la nullità della prima parte di tale clausola per contrasto con gli articoli 53 e 2 Cost., 1418 c.c., 79, 41 e 9 l. 392/1978. Controparte si costituiva, resistendo. Con sentenza numero 365/2015 il Tribunale rigettava la domanda attorea. Avendo proposto appello SSC S.r.l., ed essendosi l’appellata costituita resistendo, la Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 15 -29 ottobre 2015 respingeva il gravame, ritenendo, in ordine all’addotta nullità ex articolo 1418, primo comma, c.c. per violazione del precetto inderogabile di cui all’articolo 53 Cost. in collegamento con l’articolo 2 Cost. - per cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche secondo la propria capacità contributiva -, l’incidenza esclusiva sulla regiudicanda della normativa dettata per i contratti di affitto di immobili non abitativi, senza che abbia rilievo alcuno la traslazione dell’imposta , dal momento che con la clausola numero 7.2 i non si prevede un obbligo diretto verso il fisco della conduttrice per quanto concerne le imposte che variamente gravano sull’immobile, ma si prevede che essa si faccia carico, nei confronti della locatrice, dei relativi oneri . Tuttavia il giudice d’appello argomentava in seguito nel senso che nel contratto in esame le parti, sia pure con due distinte clausole contrattuali, hanno voluto determinare il canone locativo in due diverse componenti, rappresentate l’una espressamente qualificata come tale ed oggetto della pattuizione contenuta nell’articolo 4 e l’altra come componente integrante tale misura, costituita dalla pattuizione specificamente oggetto della domanda di nullità articolo 7.2 i , tra l’altro osservando che la fatturazione del rimborso degli oneri per imposte senza contestuale imputazione dell’Iva non sembra comportare una prova che si tratti di un mero rimborso svincolato dal canone e, quindi, costituire un ingiustificato vantaggio per il locatore . 2.1 SSC S.r.l. avverso la suddetta sentenza ha presentato un ricorso articolato in quattro motivi, tutti relativi alla clausola sopra riportata, il primo dei quali - che per il suo contenuto, per l’evidenza ben si può anticipare, assorbirebbe se fondato i successivi - denuncia, ex articolo 360, primo comma, numero 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 1418, primo comma, c.c. in riferimento all’articolo 53 Cost. in collegamento con l’articolo 2 Cost. la clausola 7.2 i statuirebbe una traslazione d’imposta dalla locatrice alla conduttrice, ed avrebbe errato il giudice d’appello nel ritenere che le clausole di un contratto di affitto di immobili non abitativi che non prevedano un obbligo diretto del conduttore verso il fisco di pagare le imposte gravanti sull’immobile, ma soltanto un obbligo dello stesso conduttore verso il locatore di sostenere il relativo onere, siano compatibili con il precetto costituzionale invocato. Ciò non sarebbe neppure conforme con i principi formulati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di traslazione dell’imposta nei contratti di mutuo le Sezioni Unite con la sentenza 18 dicembre 1985 numero 6445 - sovvertendo l’orientamento espresso da Cass. sez. 1, 5 gennaio 1985 numero 5 - ritennero valida una clausola di traslazione d’imposta in un contratto di mutuo, senza peraltro enunciare un principio generale relativo alla legittimità costituzionale di ogni patto che importi traslazione palese dell’onere delle imposte, gravanti sul soggetto passivo, ad altro oggetto, bensì fondando la decisione - dopo avere definito i principi espressi dalla precedente sentenza della sezione semplice come esatti in linea teorica - sullo specifico riferimento al concreto caso in esame, e cioè sulla riconducibilità nel mutuo al sinallagma ovvero all’utile del contratto dell’accordo di traslazione delle imposte sul reddito relative agli interessi dal mutuante al mutuatario. Le Sezioni Unite, pertanto, ribadirono la natura di norma imperativa preclusiva di patti negoziali comportanti l’elusione fiscale dell’articolo 53 Cost., così tra l’altro affermando Nel vigente sistema costituzionale tributario non basta oggettivamente che sia soddisfatta l’obbligazione verso il fisco, ma occorre altresì che tale obbligazione sia adempiuta dal soggetto tenuto a corrisponderla a cui carico gli artt. 53 e 2 Cost. pongono un dovere ribadito dall’articolo 1 della legge sull’accertamento tributario la prestazione imposta di carattere tributario postula che una quota di ricchezza sia sottratta a quel determinato soggetto che la legge individua come soggetto passivo del tributo con il correlato effettivo sacrificio personale . La ricorrente afferma quindi di non contestare la validità - riconosciuta poi anche da successiva giurisprudenza di legittimità - di una clausola che, inserita in un contratto di mutuo, obblighi il mutuatario a rimborsare al mutuante le imposte IRPEG e ILOR afferenti agli interessi convenuti. Ciò tuttavia non dimostrerebbe la conformità alla Costituzione di una clausola, come quella in esame, che prevede in un contratto di locazione non abitativa la traslazione di un’imposta patrimoniale - nei primi anni di esecuzione del contratto, dell’ICI, e successivamente dell’IMU comunque sempre un’imposta presupponente, in capo a determinati soggetti, diritti particolarmente incisivi sull’immobile tassato -, gravante sul locatore, ad un soggetto quale il conduttore normativamente escluso dagli obbligati nei confronti dell’erario. La corte territoriale non avrebbe verificato i requisiti - inclusione nel sinallagma e mancata sottrazione del soggetto passivo all’obbligo tributario -, individuati dalle Sezioni Unite, di compatibilità della clausola in questione con gli articoli 53 e 2 Cost., compatibilità che nei contratti diversi da quello di mutuo dovrebbe essere di volta in volta verificata esempio di verifica concreta sarebbe Cass. sez. 1, 27 novembre 1999 numero 13261 che solo al suo esito avrebbe riconosciuto la validità di un patto con cui si stabiliva un obbligo di manleva di un fiduciante nei confronti di una fiduciaria rispetto agli oneri fiscali relativi al reddito derivante da partecipazioni sociali fittiziamente a quest’ultima trasferite, perché l’effettiva proprietà del fiduciante lo rendeva effettivo beneficiario del reddito . Alla luce dell’insegnamento delle Sezioni Unite, una clausola avente ad oggetto la traslazione palese di un’imposta - sostiene la ricorrente - dovrebbe dichiararsi nulla per violazione appunto degli articoli 53 e 2 Cost. non solo se diretta a sottrarre il debitore al suo obbligo tributario, ma altresì qualora non risulti inclusa nel corrispettivo negoziale, ponendosi invece a fianco d’un sinallagma già perfetto ed avendo ad oggetto il tributo in quanto tale anziché una quota del corrispettivo sinallagmatico. La clausola in questione sarebbe proprio estranea al sinallagma del contratto di locazione commerciale, già pervenuto a perfezione mediante il canone - corrispettivo del godimento del bene -, per cui graverebbe la conduttrice di un costo, riguardante sì il bene ma distinto dal canone locatizio. Canone che, nel caso in esame, sarebbe stato predeterminato con apposita pattuizione - gli articoli 4 e 5 del contratto - e non emergerebbe una volontà delle parti di inserire la clausola denominata Tasse allo scopo di integrare il canone. La clausola de qua avrebbe ad oggetto direttamente il tributo e non una somma di pari importo , come dimostrerebbe pure la condotta della locatrice, che aveva sempre rifatturato alla conduttrice i tributi che aveva pagato come rimborso di somme meramente anticipate per suo conto - e in quanto tali non le aveva assoggettate all’Iva -, come se il tributo gravasse direttamente sulla conduttrice stessa. La clausola, pertanto, generante fatture di rimborso spese anziché fatture per ricavo o per reddito, sarebbe nulla perché porrebbe l’imposta patrimoniale, anche se corrisposta al fisco dalla locatrice, in realtà sulla conduttrice, così da garantire per tale imposta alla locatrice una neutralità fiscale. 2.2 Si è difesa con controricorso Meteore Italy S.r.l., che nell’ambito della sua contestazione della prospettazione avversa - in sintesi, nel senso che non sarebbero stati realmente tenuti in conto gli insegnamenti di S.U. 18 dicembre 1985 numero 6445, per cui l’articolo 53 Cost. non osta al fondamentale criterio, presente nell’ordinamento, della tendenziale irrilevanza giuridica della traslazione dell’imposta discendente da legge economica, e tipicamente attuabile con la traslazione occulta cioè l’aumento del corrispettivo ma comunque lecita anche se effettuata mediante la traslazione palese che si risolve nell’autonoma individuazione dell’equivalente pecuniario del carico tributario, il quale diviene una componente a sé stante del prezzo finale - ha richiamato l’articolo 8 della legge 27 luglio 2000 numero 212, Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente, che, al secondo comma, stabilisce È ammesso l’accollo del debito d’imposta altrui senza liberazione del contribuente originario , qualificandolo recepimento di S.U. 18 dicembre 1985 numero 6445 che esplicitamente ammetterebbe la negoziabilità del debito d’imposta con l’unico limite posto alla autonomia privata consistente nell’impossibilità di liberare, tramite l’accollo, l’originario contribuente l’accollo dell’imposta sarebbe valido, dunque, quando la sua efficacia rimane inter partes, poiché non potrebbe invece liberare chi ha un obbligo attribuitogli dalla legge. 2.3 Entrambe le parti hanno depositato memorie. Nella sua memoria la ricorrente controbatte al richiamo di controparte dello Statuto del contribuente sostenendo che l’invocato articolo 8 non potrebbe che intendersi come conferente un rafforzamento delle garanzie offerte all’erario quanto all’adempimento dell’obbligazione tributaria. La norma, invero, pena un’evidente incostituzionalità, non intenderebbe svincolare le clausole di traslazione dalla necessaria compatibilità con le norme costituzionali ed esonerarle quindi dal relativo vaglio il riferimento all’accollo quale mero metodo di adempimento dell’obbligazione tributaria sarebbe sostanzialmente neutro rispetto ai principi, gerarchicamente sovraordinati, evincibili dagli articoli 2 e 53 Cost., nulla apportando in ordine alla causa dell’accollo, che pertanto potrebbe essere legittima - come nell’ipotesi in cui l’accollante si prendesse carico della prestazione tributaria di controparte in quanto suo debitore per un medesimo importo, ipotesi in cui, appunto, l’accollato subirebbe comunque il relativo sacrificio patrimoniale - oppure illegittima come nel caso in esame, in cui scopo concreto dell’accollo sarebbe consentire all’accollato la fruizione di una sostanziale neutralità fiscale in relazione a determinate imposte o, in generale, un’elusione tributaria -. 3.1.1 La questione proposta dal primo motivo del ricorso, come si è sintetizzato, concerne la sussistenza o meno di un limite all’autonomia negoziale - che, se sussistesse, sarebbe presidiato dalla nullità - in relazione ad un accordo di traslazione palese di imposta patrimoniale posto in una scrittura contenente un contratto di locazione ad uso non abitativo, cioè un contratto a prestazioni corrispettive, accordo però estraneo al sinallagma contrattuale locatizio, come oggettivamente risalta proprio dagli stessi rilievi con cui la corte territoriale mira ad evidenziare il contrario in particolare laddove osserva che nel contratto le parti hanno voluto determinare il canone locativo in due diverse componenti , l’una espressamente qualificata come tale , cioè l’articolo 4, e l’altra, cioè appunto l’articolo 7.2 i , tale perché si trova nello stesso atto e perché il contratto locatizio si è inserito in ulteriori negoziazioni , in quanto il canone è stato in modo espresso determinato, prescindendo nel suo importo dalla suddetta traslazione, mediante una clausola - l’articolo 4, appunto autonoma e distinta nel suo contenuto rispetto a quella che racchiude invece l’accordo de quo. Non può non rilevarsi che l’alternativa ipotesi di traslazione tributaria c.d. occulta - così è tradizionalmente definita nel caso in cui le parti tengono conto, per determinare l’entità di una prestazione corrispettiva pecuniaria, dell’importo che per debiti tributari si trova a carico della parte cui sarà corrisposta, così da inglobarlo nella prestazione stessa - correttamente deve definirsi traslazione economica, giacché incide esclusivamente su una valutazione, appunto, di tal genere, senza comportare alcun occultamento né alcuna fittizietà nel negozio giuridico, bensì rimanendo ad un livello anteriore - economico - rispetto a quello - giuridico dell’esercizio dell’autonomia negoziale. Se, allora, la traslazione occulta di imposta giuridicamente non esiste - poiché giuridicamente sussiste soltanto la concordata determinazione del sinallagma contrattuale -, l’unica traslazione giuridicamente esistente, ovvero rilevante, è quella che altrettanto tradizionalmente viene definita palese. 3.1.2 Il debito tributario discende dalla legge e i vari testi normativi di livello ordinario disciplinano le corrispondenti fonti del debito. A monte, cioè a livello costituzionale, l’articolo 53 Cost., stabilendo che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva - detta capacità contributiva incidendo poi sui criteri di progressività del sistema tributario -, concretizza, come da tempo si è sine dubio riconosciuto, uno dei doveri inderogabili di solidarietà di cui impone l’adempimento l’articolo 2 Cost Il nucleo della questione, allora, può identificarsi nel quesito se l’obbligo costituzionalmente rilevante di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva abbia un significato esclusivamente oggettivo - nel senso di obbligo di adempiere a quanto è giustificato dalla capacità contributiva - oppure anche soggettivo - nel senso che l’adempimento debba essere compiuto non solo oggettivamente in modo completo, ma altresì dal soggetto che per legge ne ha l’obbligo, escludendosi quindi il trasferimento dell’obbligo ad un soggetto diverso. Tenendo ben in conto l’articolo 53 Cost. - la cui natura è stata da tempo riconosciuta come imperativa, e quindi come direttamente precettiva. - occorre pertanto chiarire se, a parte le ipotesi in cui vi siano espressi divieti di traslazione da parte di specifiche norme tributarie, sull’individuazione del soggetto passivo dell’imposta possa incidere l’autonomia negoziale privata, neutralizzando così gli effetti della capacità contributiva. 3.2 Da decenni la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha esaminato il problema, da un lato dovendo considerare appunto il rilievo di norme specifiche sulla validità di simili accordi, dall’altro dovendo fronteggiare le varie ipotesi in cui l’accordo traslativo del debito d’imposta viene ad inserirsi in un più ampio quadro negoziale, in cui sussista pure un contratto tipico a prestazioni corrispettive. Il che, ineludibilmente, ha reso necessario individuare se nei casi in esame si trattava di una compresenza - e quindi di un accordo autonomo anche se materialmente racchiuso in un unico documento negoziale, accordo la cui autonomia impediva altresì la qualificazione come misto del contratto, non essendo questo unico - o di una essenza - ovvero se l’accordo traslativo costituiva un componente del sinallagma di un unico contratto, e precisamente un elemento annoverabile tra quelli realizzanti la sua corrispettività -. Un’uniformità ermeneutica non è mai stata compiutamente raggiunta neppure tra gli arresti massimati, come ora si verrà sinteticamente a illustrare. 3.2.1 A prescindere dall’incidenza, che qui invero non appare rilevante, dell’obbligo di rivalsa, la cui violazione è stata considerata causa di nullità di un inverso accordo di rimborso ex articolo 1418, primo comma, c.c. v. p. es. già Cass. sez. L, 16 gennaio 1981 numero 381, Cass. sez. L, 17 gennaio 1981 nnumero 406 e 407 e Cass. sez. L, 2 giugno 1982 numero 3349 , in tema di accordo traslativo dell’imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili la risalente Cass. sez. 1, 11 dicembre 1974 numero 4181 - in presenza di una norma specifica comminante nullità, l’articolo 40 l. 5 marzo 1963 numero 246 - non solo ha dichiarato la nullità dei patti diretti a trasferire a soggetti diversi dal soggetto passivo di tale imposta l’onere da questa derivante, sia nei confronti dell’erario sia inter partes, ma altresì ritenuto che detta nullità investisse non solo la traslazione dei contributi di miglioria specifica ma anche la traslazione dell’imposta sull’incremento di valore in senso proprio. Pochi anni dopo Cass. sez. 1, 6 marzo 1979 numero 1398 ha invece affermato che la nullità del patto di traslazione colpisce solo le convenzioni relative all’accollo, da parte di soggetti diversi dall’obbligato, dell’onere del contributo della miglioria specifica , non potendo invece estendersi anche ai patti traslativi dell’imposta sul plusvalore delle aree fabbricabili e questa - estratta da una interpretazione letterale della norma specifica, senza inserimento in una prospettiva sistemica - è stata la posizione eletta da S.U. 20 luglio 1981 numero 4675, cui ha aderito pure Cass. sez. 2, 28 aprile 1983 numero 5203. 3.2.2 Il filone giurisprudenziale più noto - e di cui maggiormente si sono qui avvalse le parti nel loro analitico contraddittorio - prende le mosse, invece, da Cass. sez. 1, 5 gennaio 1985 numero 5, la pronuncia che ha messo in gioco l’articolo 53 Cost., dichiarando nulla, per contrasto con esso e ai sensi dell’articolo 1418, primo comma, c.c., la clausola del contratto di mutuo, la quale, sia pure con effetti limitati al rapporto fra le parti, ponga a carico del mutuatario quanto il mutuante sia tenuto a versare all’erario per IRPEG ed ILOR afferenti gli interessi convenuti e il contrasto con l’articolo 53 Cost. viene riscontrato perché il principio del concorso di tutti alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva , che la norma detta con immediato valore vincolante , viene a tradursi nel divieto inderogabile per il debitore d’imposta, sia diretta e indiretta, di riversare il relativo onere su un altro soggetto, e quindi su un patrimonio diverso da quello rispetto al quale è contemplato il prelievo fiscale . La pronuncia, in effetti, desume dall’articolo 53 l’esclusione di un patto finalizzato al trasferimento su altri soggetti dell’onere di concorrere alle spese pubbliche, ritenendo che diversamente si sottrarrebbe la capacità contributiva del soggetto ai doveri sociali di solidarietà, nonostante il soggetto stesso continui a beneficiare i vantaggi della vita associata dunque l’articolo 53, primo comma, non si riferirebbe ad un dovere generico di pagamento delle imposte, bensì a un dovere di concorrere alle spese pubbliche, onde ad ogni capacità contributiva dovrebbe far seguito una diminuzione del patrimonio del titolare della capacità stessa, risultando precluso il concorrere alle spese pubbliche attingendo ad una capacità contributiva altrui. Inequivoca pertanto è la lettura della capacità contributiva come parametro che individua dell’obbligo tributario sia il soggetto che ne è gravato sia quel che ne è la fonte generale e primaria in relazione ad ogni specie di tributo. Tale sentenza avendo creato una forte ripercussione, anche negli ambienti dottrinali, si è poco dopo verificato l’intervento, per un caso analogo, della già richiamata S.U. 18 dicembre 1985 numero 6445, che giunge ad una decisione opposta, ritenendo una siffatta clausola nell’ambito del contratto di mutuo esente da violazione di norme imperative, incluso l’articolo 53 Cost. è infatti diretta a garantire un determinato ammontare netto degli interessi convenuti - ovvero, rientra nel sinallagma contrattuale - e, come enuncia la massima, non implica che l’imposta afferente un reddito venga corrisposta al fisco da un soggetto diverso dal suo percettore, obbligatosi a pagarla in sua vece e conto, ma configura una mera traslazione convenzionale del carico di imposta, da ritenersi in via generale consentita in mancanza di una specifica diversa disposizione di legge per finalità peculiari di singoli tributi , e si esaurisce in un incremento dei proventi del mutuante in misura pari alla somma che deve versare all’erario, senza alcun esonero né da quest’ultimo versamento, né dall’obbligo di dichiarare all’amministrazione finanziaria il maggior reddito conseguente al rimborso di tale versamento, e di pagare le ulteriori imposte dovute sullo stesso maggior reddito . Individuato il thema decidendum nella determinazione dei limiti di legittimità delle clausole negoziali comportanti il trasferimento da una parte all’altra di somme pari al carico fiscale che la seconda verrebbe a sopportare per effetto del contratto di mutuo , le Sezioni Unite - in questo non discostandosi dall’arresto precedente - hanno riconosciuto che l’articolo 53 Cost. è norma imperativa la cui violazione può comportare la sanzione della nullità delle manifestazioni di autonomia negoziale con essa confliggenti. Il che non è stato peraltro ravvisato nel caso in esame, ove il percettore del reddito corrisponde egli stesso, con sacrificio del proprio patrimonio, l’imposta dovuta. In tal modo i contribuenti realizzano non già la distrazione del carico tributario dall’uno all’altro soggetto nei confronti del fisco, ma determinano l’incremento del reddito del contribuente mutuante di somma pari al tributo versato all’erario, senza che tale reddito resti sottratto alla adeguata tassazione, rispetto alla quale si innesta un ulteriore strumento di traslazione secondo una sequenza più volte riproducibile a cascata, con progressiva diminuzione della somma coinvolta tendenzialmente riducibile a zero , sia per quanto riguarda l’imposta, sia per quanto riguarda il relativo accollo . E dunque il patto con cui taluno viene scaricato dal pagamento di un tributo gravante sul suo reddito è nullo per l’illiceità della causa contraria all’ordine pubblico, solo quando esso comporti che effettivamente l’imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito. Tale risultato illecito si realizza nelle ipotesi di rivalsa facoltativa, quando il sostituto viene a perdere la qualità tipica di mero anticipatore del tributo, non corrisposto al fisco, né recuperato dal sostituto medesimo, sicché effettivamente il dovere tributario non viene adempiuto, pur verificandosi un aumento di ricchezza del contribuente . La clausola in esame aveva invece integrato una rivalsa obbligatoria, pertanto non contrastante con il precetto costituzionale infatti, obbligando il mutuatario a rimborsare al mutuante le imposte inerenti agli interessi convenuti, così da garantire un determinato ammontare netto degli interessi medesimi, non pativa nullità per violazione della suddetta norma imperativa, in quanto non implicante che l’imposta sia versata al fisco da un soggetto diverso dal suo percettore, bensì configurante una mera traslazione convenzionale del carico d’imposta, consentita in via generale in mancanza di una diversa disposizione di legge. Nell’ottica di questa pronuncia, in sintesi, la riconducibilità dell’accordo traslativo nel sinallagma del contratto in cui è stato inserito lo rende compartecipe della liceità del contratto stesso, legittimandolo rispetto al principio imperativo evincibile dall’articolo 53, che non può non essere controbilanciato dagli ulteriori valori costituzionali, inclusi quelli che si manifestano nel corretto esercizio, da parte dei privati, della potestà di conformazione della propria sfera giuridica disponibile, id est nell’autonomia negoziale. Così ancora emerge dalla motivazione In verità nel nostro ordinamento, nonostante la norma dell’articolo 53 Cost., resta fermo il fondamentale criterio della tendenziale irrilevanza giuridica del fenomeno economico della traslazione dell’imposta. Il soggetto obbligato dalla legge tributaria a pagare l’imposta in quanto svolga una certa attività, o possegga determinati beni il contribuente cioè che viene percosso dall’imposta tende per legge economica a scaricare il peso tributario su coloro con cui entra in rapporto a cagione della cosa posseduta o della attività svolta Se, quindi, viene pagato indebitamente un tributo indiretto la ripetizione spetta al contribuente di diritto, indipendentemente dalla circostanza che egli sia riuscito a scaricarlo su altro soggetto il contribuente di fatto avvalendosi dello strumento della traslazione Per il diritto comunitario, che è diritto immediatamente o direttamente applicabile dai giudici italiani la traslazione delle imposte è fenomeno giuridicamente legittimo tanto da giustificare la ripetizione del tributo indebitamente versato dal soggetto che ne abbia trasferito ad altri il carico . E ancora, quanto alle imposte dirette, l’articolo 53 intende assicurare che la ricchezza venga colpita in capo al soggetto che presenta adeguata capacità contributiva, ma si disinteressa dei modi in cui il contribuente che ha pagato recupera ricchezza in misura corrispondente ed è per questo che il patto con cui il mutuatario si obbliga a rimborsare all’ente mutuante quanto da esso pagato a titolo di Irpeg e di Ilor è valido quando la sua efficacia è limitata inter partes, atteso che in tal caso l’imposta afferente al reddito viene comunque corrisposta al fisco dal soggetto che ne è percettore . Non a caso, quindi, la successiva Cass. sez. 3, 3 giugno 1991 numero 6232, che in una fattispecie del tutto analoga di mutuo segue senza oscillazioni l’appena richiamato arresto delle Sezioni Unite, in motivazione qualifica l’accordo traslativo di imposta -per quanto il suo oggetto, cioè l’imposta, di per sé non possa essere sciolto dalla sua natura pubblicistica - una pattuizione di carattere privatistico che non incide sul rapporto pubblicistico contribuente-fisco cfr. pure Cass. sez. 1, 25 marzo 1995 numero 3577, peraltro per un caso di imposta dovuta solidalmente sia da chi la corrispondeva sia da chi fruiva di un accordo di accollo . 3.2.3 Ma la linea, come già si accennava, nel corso degli anni non rimane così netta. Cass. sez. 1, 29 maggio 1993 numero 6037 ha esaminato un caso in cui una cooperativa edilizia aveva convenuto l’Inail, dal quale aveva ottenuto due mutui da estinguere con rate annue, perché, esistendo nel contratto una clausola che imponeva al mutuatario di rimborsare qualsiasi imposta, tassa e gravame fiscale che colpisse ora od in avvenire il capitale, i frutti e le annualità dovute , l’ente le aveva chiesto - ottenendolo con riserva di restituzione - il rimborso di una determinata somma versata a titolo di IRPEG e di ILOR sugli interessi dei mutui erogati. La cooperativa, ritenendo tra l’altro nulla la clausola, aveva chiesto la restituzione della somma la sua domanda era stata respinta da entrambi i giudici di merito, il giudice d’appello in particolare osservando che doveva riconoscersi la liceità della clausola mediante la quale si era attuato il trasferimento convenzionale del carico fiscale, da un soggetto all’altro, in quanto attinente alla determinazione convenzionale dell’entità del corrispettivo, in cui il carico fiscale non era dedotto come tale, bensì come espressione di un valore monetario e parametro di quantificazione della prestazione ed in quanto non alterava il collegamento, richiesto dall’articolo 53 Cost., fra soggetto tenuto a versare il tributo e presupposto della percezione del reddito inoltre il giudice d’appello non aveva ravvisato alcuna violazione delle norme concernenti la riscossione dei tributi . Nel ricorso per cassazione la cooperativa denunciava la violazione e falsa applicazione dell’articolo 53 Cost., in relazione agli articoli 1418 c.c. e 26 D.P.R. 600/1973, osservando che il thema decidendum verteva sul quesito se le imposte dirette possano essere trasferite ad altri che non sia il contribuente, attraverso il meccanismo della clausola de qua, in relazione alla quale l’INAIL, rivalendosi sul mutuatario, si esonera di fatto dall’obbligo del pagamento del tributo . Sostegno al motivo è stato ravvisato dal giudice di legittimità nella specifica disciplina di cui all’articolo 26 d.p.r. 600/1973, identificando nell’obbligo di rivalsa per l’IRPEG l’ostacolo alla liceità della clausola - questione, già sopra si accennava, in questa sede non pertinente -. Tuttavia nella pronuncia, ancora a proposito dell’IRPEG, si afferma altresì che il giudice del merito, nell’interpretare la clausola del contratto, avrebbe dovuto porsi il problema dell’aggiramento della norma e cioè dell’intento di frodare la legge imperativa in un meccanismo che maschera un rimborso di somme pari all’imposta pagata e cioè un obbligo per il mutuatario di pagare l’imposta sotto lo scopo di assicurare al mutuante un dato livello di interesse netto e cioè pure d’imposta . Meccanismo che innesta quel circolo vizioso, a torto ritenuto irrilevante dal giudice del merito, per cui il rimborso costituisce reddito a sua volta soggetto ad imposta mai pagata, perché il Fisco non è in grado di conoscere e reprimere tali pattuizioni private . E a proposito poi dell’ILOR si osserva pure che IRPEG e ILOR sono imposte dirette, intese a colpire la capacità contributiva del medesimo soggetto, l’una sulla base del reddito, l’altra in base ad una componente patrimoniale , espressione di un sistema unitario, in cui la ratio dell’imposizione esige un nesso fra il soggetto obbligato e l’imposta, che non può essere aggirato da pattuizioni private, in virtù delle quali il debito tributario faccia carico su soggetti diversi dal possessore del patrimonio che produce reddito pertanto è possibile un’applicazione anche all’ILOR del principio della nullità dei patti in deroga al divieto di traslazione . E dunque, anche se il principio di diritto dettato al giudice di rinvio viene circoscritto alla questione dell’obbligo di rivalsa Le clausole pattizie che stabiliscono obblighi di rimborsi dell’IRPEG e dell’ILOR pagate dal percettore di redditi di capitali sono nulle, per contrasto con le norme imperative sull’obbligo di rivalsa , cioè gli articoli 26 e 64 d.p.r. 600/1973 , le ragioni sulla base delle quali si fonda l’accoglimento del ricorso sono più estese, e non pienamente conformi alla impostazione delle Sezioni Unite del 1985. 3.2.4 Passando poi oltre la fattispecie di traslazione fiscale in rapporto al contratto di mutuo, deve darsi atto che ribadisce la necessità che il tributo sia pagato dal soggetto effettivamente onerato dal relativo debito - aderendo, quindi, al riscontro nell’articolo 53 Cost. di un’incidenza non solo sul profilo oggettivo ma anche sul profilo soggettivo della capacità contributiva - la già citata Cass. sez. 1, 27 novembre 1999 numero 13261, a proposito di una intestazione fiduciaria di azioni così la massima In tema di intestazione fiduciaria di azioni, ed in base al principio secondo cui, nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, prevale l’effettiva proprietà del fiduciante rispetto alla titolarità formale del fiduciario, non può considerarsi affetta da nullità la specifica convenzione con la quale - all’interno del pactum fiduciae - il fiduciante si obblighi a tenere indenne il fiduciario dalle imposizioni fiscali gravanti su quest’ultimo in conseguenza dell’intestazione dei titoli azionari, non integrando tale traslazione dell’obbligazione tributaria gli estremi del pagamento di imposta da parte di soggetto diverso dal materiale percettore del corrispondente reddito. . Tra le doglianze dell’ivi disatteso ricorso, peraltro, era stata denunciata anche la violazione degli articoli 1229, secondo comma, c.c. e 53 Cost., sostenuta dall’asserto che il giudice d’appello avrebbe dovuto dichiarare nullo il negozio con il quale un soggetto si impegna a pagare le imposte di altro contribuente od a manlevarlo da ogni pretesa del fisco in adesione a Cass. sez.1, 5 gennaio 1985 numero 5. Ma nell’arresto in esame si replica che quest’ultima sentenza non è stata condivisa da S.U. 18 dicembre 1985 numero 6445 e si fonda poi il rigetto sul principio della prevalenza nei confronti dell’amministrazione finanziaria della proprietà effettiva sulla proprietà fiduciaria invocando S.U. 10 dicembre 1984 numero 6478, relativa all’imposta di successione prima della riforma del 1972 . Una pronuncia del tutto aderente alla linea favorevole alla legittimità, anche sotto il profilo Cas costituzionale, dell’accordo di traslazione dell’imposta si rinviene, successivamente, in Cass. sez. 5, 14 maggio 2003 numero 7440 In tema di determinazione del reddito d’impresa, ai sensi dell’articolo 74 d.p.r. 29 settembre 1973, numero 597 applicabile ratione temporis , gli oneri fiscali concernenti l’imposta sostitutiva di cui all’articolo 17 d.p.r. 29 settembre 1973, numero 601 e l’imposta in abbonamento di cui all’articolo 1 della legge 27 luglio 1962, numero 1228 che gli istituti che esercitano il credito a medio e lungo termine sono tenuti a corrispondere costituiscono, per effetto della traslazione convenzionale comunemente operata nella stipulazione dei contratti di finanziamento fiscalmente agevolati, un onere accessorio di diretta imputazione al costo di un servizio che dà luogo a ricavi tassabili. Detti oneri, pertanto, dovendo essere considerati componenti negativi riferibili ad attività da cui derivano ricavi che concorrono a formare il reddito d’impresa, devono ritenersi deducibili in misura integrale. Si tratta ancora di mutuo, e si condivide espressamente una risoluzione ministeriale per cui la traslazione non comporta la sostituzione di un soggetto ad un altro, nella corresponsione dell’imposta, ma semplicemente un aumento del corrispettivo della prestazione , ancora rifacendosi, comunque, a S.U. 18 dicembre 1985 numero 6445. Ripropone una netta affermazione di liceità dell’accordo di traslazione, sempre in un contratto di mutuo ma ancora a proposito della tematica tributaria della deducibilità, la recente Cass. sez. 5, 25 febbraio 2015 numero 3770, peraltro in specifico riferimento alla normativa governante il tipo di imposta Ai sensi dell’articolo 17 d.lgs. 29 settembre 1973, numero 601, il costo sostenuto dal mutuatario, rappresentato dalla traslazione economica dell’imposta sostitutiva sui finanziamenti nella specie, l’imposta sostitutiva sui mutui a lungo termine , deve essere qualificato non come imposta ma come parte del corrispettivo del finanziamento deducibile secondo l’ordinario principio di competenza ex articolo 74 ora 108 d.p.r. 22 dicembre 1974, numero 917 . E, in motivazione, si afferma comunque che una mera traslazione convenzionale del corrispondente carico d’imposta è da ritenersi in via generale consentita, in mancanza di una specifica diversa disposizione di legge , trattandosi di una pattuizione di carattere privatistico che non incide sul rapporto pubblicistico contribuente-fisco . Ancor più recente è Cass. sez. 1, 8 febbraio 2016 numero 2412, che, invece, di nuovo rimarca come necessario il profilo della soggettività. Così la massima, per quanto qui interessa È ammissibile, in carenza di diversa disciplina legislativa, la convenzione tra privati che preveda la traslazione del carico dell’imposta, purché non comporti il versamento al fisco da parte di un soggetto diverso dal percettore del corrispondente reddito, stante l’inderogabilità del presupposto soggettivo del tributo. . La questione riguardava una traslazione, nell’ambito di un rapporto concessorio per la gestione di parchimetri, dell’IRAP in capo alla concedente e in motivazione si afferma proprio che la cosiddetta traslazione convenzionale del carico dell’imposta è da ritenere in via generale consentita, in mancanza di una specifica diversa disposizione di legge per finalità peculiari di singoli tributi , purché non si traduca nella pretesa che l’imposta afferente un reddito venga corrisposta al fisco da un soggetto diverso dal suo percettore, stante l’inderogabilità del presupposto soggettivo del tributo . Inequivoca, sempre tra gli arresti più recenti, è Cass. sez. 2, 31 marzo 2014 numero 7501, che non sacrifica, pur in presenza di una norma specifica dichiarante la nullità, la connessione sistemica con l’articolo 53 Cost. Massimata nel senso che in tema di imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili, la nullità del patto di traslazione dell’imposta è comminata dall’articolo 27 d.p.r. 26 ottobre 1972, numero 643, non solo per il rapporto con l’amministrazione finanziaria, ma anche per quello tra i contraenti, attesa l’inderogabilità del presupposto soggettivo del tributo, rappresentato dal godimento della plusvalenza immobiliare , la pronuncia in motivazione precisa che il suddetto articolo 27 ha recepito il principio discendente dall’articolo 53 Cost. in ordine alla necessaria correlazione tra l’obbligo generale di contribuzione economica e la capacità contributiva dei singoli , così formulando, in sintonia con una linea di tendenza del diritto tributario che a tale principio si ricollegava, il divieto di traslazione dell’imposta e la nullità di ogni fatto diretto a trasferire a terzi l’onere impositivo , qui citando proprio Cass. sez. 1, 5 gennaio 1985 numero 5. L’arresto, in realtà, aderisce pienamente come emerge anche dal riferimento, presente nelle motivazioni di entrambe, al principio costituzionale alla precedente Cass. sez. 2, 6 novembre 2006 numero 23615 e ancora sull’INVIM, ma fondandosi solo sulla norma specifica di cui all’articolo 27 d.p.r. 26 ottobre 1972 numero 643, cfr. Cass. sez. 1, 14 settembre 1991 numero 9608, Cass. sez. 1, 10 maggio 1994 numero 4556 e Cass. sez. 5, 27 gennaio 2010 numero 1660 . 3.2.5 Non può non rilevarsi, d’altronde, che l’incidenza soggettiva dell’articolo 53 Cost., seppure intervenendo in relazione ad una specie di tributi, cioè alle imposte dirette, era stata riconosciuta da un ulteriore arresto delle Sezioni Unite di poco posteriore a quello del 1985 cui di solito si fa riferimento a proposito dell’accordo di traslazione di imposta. S.U. 23 aprile 1987 numero 3935, invero, è stata massimata nel senso che l’articolo 53, facendo seguire alla regola che tutti devono concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva il criterio della progressività come parametro del sistema tributario nel suo complesso , rende personale ed infungibile il debito d’imposta diretta, conseguentemente non autorizzando comportamenti od accordi che lo eludano o lo trasferiscano su altri conforme S.U. 26 giugno 1987 numero 5652 in tal modo la qualifica di parametro di tutto il sistema tributario viene attribuita ad un criterio quale la progressività che ontologicamente non può svincolarsi dalla identificazione del soggetto, e ciò quindi depone in senso contrario alla liceità della sua sostituzione sostanziale discendente dagli accordi di traslazione. A ben guardare, infatti, mediante l’accordo di traslazione il contribuente, invertendo il dettato normativo relativo allo specifico onere tributario, agisce non come debitore, bensì come sostituto d’imposta, la sua controparte nel negozio privato venendo a rivestire, al di là della forma esterna, in sostanza il ruolo di sostituito, ovvero di contribuente. 3.2.6 La questione, come si è visto affrontata da due interventi tra loro non conformi delle Sezioni Unite, ambedue ormai ben risalenti, e riverberatasi poi su una variegata giurisprudenza delle sezioni semplici, rimane estranea alla normativa comunitaria - ciò è stato rilevato fin da S.U. 18 dicembre 1985 numero 6445, come sopra già si è visto - in quanto discendente esclusivamente dall’incidenza dell’articolo 53 Cost. quale norma in via diretta precettiva sull’autonomia negoziale incidenza che deriverebbe da una identificazione della voluntas legis propria della disposizione costituzionale che investa non solo l’elemento oggettivo, ma altresì l’elemento soggettivo per determinare il significato della capacità contributiva. La Corte di Giustizia della Unione Europea, invero, anche con assai recenti pronunce conferma in sostanza che l’accordo di traslazione fiscale di per sé non fa ingresso nelle questioni che sortiscono dal diritto comunitario nel suo rapporto con il diritto interno. Significativa, da ultimo, è in tal senso la sentenza del 16 gennaio 2014 numero 226 C-226/12 che ha trattato una clausola di traslazione d’imposta presente in un contratto di compravendita immobiliare tra professionista e consumatore in relazione alla direttiva 93/13/CEE sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori che all’articolo3, paragrafo 1, definisce abusiva una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale e che, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto , a seguito di sottoposizione di questione pregiudiziale dal giudice spagnolo in una controversia in cui il consumatore aveva chiesto al professionista il rimborso, tra l’altro, dell’importo da lui versato come acquirente per una clausola del contratto che poneva a suo carico l’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili di natura urbana, circostanza presa in considerazione ai fini della determinazione del prezzo . La questione pregiudiziale era la seguente Se, nel caso di una clausola contrattuale che comporta la traslazione sul consumatore di un obbligo di pagamento incombente per legge al professionista, lo squilibrio cui fa riferimento l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva debba essere interpretato nel senso che esso sussiste per il solo fatto della traslazione sul consumatore di un obbligo di pagamento che per legge incombe al professionista, o se il fatto che secondo la direttiva debba trattarsi di uno squilibrio significativo implichi che la ripercussione economica sul consumatore deve anche essere rilevante rispetto al valore complessivo dell’operazione . La Corte di Giustizia non ha ritenuto che una siffatta clausola sia di per sé in contrasto con la normativa comunitaria, bensì ha affermato che il significativo squilibrio richiesto dall’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva suddetta non può limitarsi ad una valutazione quantitativa di valore, potendo invece risultare dal mero fatto di un pregiudizio sufficientemente grave alla situazione giuridica in cui il consumatore, quale parte del contratto , viene collocato in forza delle disposizioni nazionali applicabili , invitando quindi il giudice nazionale a valutare la eventuale abusività della clausola in rapporto alla disciplina interna. Sempre tra gli arresti più recenti della Corte di Giustizia merita richiamo pure la sentenza del 6 settembre 2011 numero 398, C-398/09, che, esaminando come il rimborso di un tributo illecito in quanto contrario al diritto della Unione ad un operatore che ne ha traslato l’importo alla controparte acquirente possa costituire arricchimento senza causa dell’operatore, lascia peraltro intendere che la traslazione del contributo mediante l’aumento del corrispettivo è un legittimo strumento economico, a ben guardare, prima ancora che giuridico di cui può comunque avvalersi l’operatore che sia debitore d’imposta allo Stato. Su un piano più ampio, peraltro, è il caso di rammentare che la giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia ha comunque elaborato il - tutt’altro che eccentrico, rispetto alla tematica in questa sede considerata - concetto dell’abuso del diritto, anche in materia fiscale sentenza 21 febbraio 2006, C-255/02 , conducendo la giurisprudenza di questa Suprema Corte a negare che si possano trarre benefici da operazioni che, seppur realmente volute e magari anche immuni da invalidità, vengano a costituire un insieme di elementi obiettivi diretto essenzialmente ad ottenere un indebito vantaggio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili diverse - ed è questo che qui offre sponda, mutatis mutandis - dalla mera aspettativa del suddetto vantaggio fiscale cfr. ex multis, Cass. sez. 5, 29 settembre 2006 numero 21221 Cass. sez. 5, 4 aprile 2008 numero 8772 Cass. sez. 5, 21 aprile 2008 numero 10257 Cass. sez. 5, 15 maggio 2008 numero 12237 S.U. 23 dicembre 2008 numero 30055 Cass. sez. 5, 9 dicembre 2009 numero 25726 Cass. sez. 5, 22 ottobre 2010 numero 21390 Cass. sez. 5, 30 novembre 2012 numero 21390 Cass. sez. 5, 19 febbraio 2014 numero 3938 Cass. sez. 5, 26 febbraio 2014 numero 4603 Cass. sez. 5, 30 dicembre 2015 numero 26057 Cass. sez. 5, 28 febbraio 2017 numero 5090 Cass. sez. 6-5, ord.13 aprile 2017 numero 9610 . 3.2.7 La dottrina, a sua volta, non è compatta in modo assoluto. In massima sintesi, si deve dare atto che l’opinione maggioritaria è orientata nel senso di escludere che a livello costituzionale vi sia compressione alcuna dell’autonomia negoziale dei privati sulle modalità di reperimento dei mezzi finanziari per adempiere all’obbligo di solidarietà di cui all’articolo 2 Cost, e che comunque lo stesso articolo 53 Cost. non abbia alcuna incidenza sui rapporti privatistici, in quanto tali appunto rimessi all’autonomia negoziale delle parti, insindacabile sotto il profilo della regolamentazione economica, salvi i limiti previsti da specifiche norme. Altra opinione, peraltro, avverte che in tal modo si ridimensionerebbe la ratio dell’articolo 53, riducendo il concorso delle spese pubbliche in base alla capacità contributiva ad una regola meramente formale diretta a stabilire il presupposto e il contenuto delle obbligazioni tributarie, rimettendo alle libere regole del mercato l’individuazione del sacrificio economico effettivo dei singoli contribuenti anche in quest’ottica, peraltro, nulla quaestio per la traslazione occulta, ovvero meramente economica. 3.2.8 A tutto ciò si aggiunga che è sceso in campo come fonte di norma generale il cosiddetto Statuto del contribuente, cioè la legge 27 luglio 2000 numero 212, sul cui articolo 8, secondo comma, come si è visto hanno argomentato in controricorso e in memoria le parti norma, peraltro, che, pur senza dubbio applicabile ratione temporis il contratto è stato stipulato nel 2003 , è di evidentemente discutibile pertinenza, tant’è vero che la diatriba davanti ai giudici di merito si è imperniata da un lato - cioè nella prospettazione attorea - sull’asserita nullità della clausola in riferimento ai principi costituzionali dei quali per di più il ricorrente ha rimarcato la natura sovraordinata , e dall’altro - ovvero nella difesa della controparte - sulla non incidenza dell’articolo 53 Cost. e sulla riconducibilità del pagamento delle imposte al canone locatizio. Ancora per completezza, si rammenta che da ultimo il d.lgs. 5 agosto 2015 numero 128 ha inserito nello Statuto del contribuente l’articolo 10 bis, rubricato come Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale . Dei tredici commi che lo compongono sono comunque interessanti, per tenere in conto ai fini interpretativi l’evoluzione del sistema, i primi due. Il primo comma, invero, stabilisce che l’abuso del diritto consiste in una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti , operazioni che sono quindi inopponibili all’erario. Il secondo fornisce il contenuto delle definizioni su cui si impernia il primo, cioè le operazioni prive di sostanza economica - che sono quindi i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali , essendone indice tra l’altro la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato - e i vantaggi fiscali indebiti - ovvero i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario -. 3.3 La questione, in ultima analisi, sulla validità di un accordo di traslazione degli oneri fiscali che sia estraneo al sinallagma del contratto in cui è inserito si impernia allora sul comprendere se vi sia una compressione all’autonomia negoziale che imponga agli interessi economici un limite giuridico. E il fondamento della tematica rimane comunque nel significato dell’articolo 53 Cost., tenendo conto che S.U. 18 dicembre 1985 numero 6445, ovvero l’arresto nomofilattico che finora l’ha maggiormente governata e che è ormai ben risalente, ha comunque affermato che il principio della capacità contributiva è norma imperativa preclusiva di patti negoziali che ne comportino l’esclusione , sul punto pertanto non discostandosi da Cass. sez. 1, 5 gennaio 1985 numero 5 per cui l’articolo 53 Cost. si pone come fonte immediata e imperativa la cui valutazione può comportare la sanzione della nullità delle manifestazioni di autonomia negoziale con esso confliggenti . Entrambe le sentenze sono state infatti criticate da certa dottrina per non avere chiarito le ragioni di tale affermazione a parte la discussione che si è svolta sull’applicazione nel diritto tributario dell’articolo 1344 c.c., si è inoltre osservato che, pur nel caso in cui si riconosca l’articolo 53 come norma imperativa rivolta anche ai comportamenti dei privati, resterebbe dubbia l’applicabilità dell’articolo 1418, primo comma, c.c. ai patti di traslazione dell’imposta per impossibilità di desumere dall’impianto costituzionale un divieto generalizzato al trasferimento dell’onere del tributo a terzi. Eppure, sulla tematica contigua dell’abuso del diritto, si è riconosciuto Cass. sez. 5, 21 ottobre 2005 numero 20398 che la mancanza di ragione, che investe nella sua essenza lo scambio tra le prestazioni contrattuali attuato attraverso il collegamento negoziale, costituisce, a prescindere da una sua valenza come indizio di simulazione oggettiva o interposizione fittizia, un difetto di causa generante, ai sensi degli articoli 1418, secondo comma, e 1325 numero 2 c.c., nullità dei contratti collegati perché da essi non consegue per le parti alcun vantaggio economico all’infuori del risparmio fiscale . Alla luce di quanto esposto sull’attuale presenza di elementi dubbi, tenuto conto appunto della risalenza degli interventi delle Sezioni Unite e valutata la notevole valenza nomofilattica della questione, in quanto correlata alla diretta precettività dell’articolo 53 Cost. - per la quale necessariamente evolutiva lettura ben potrebbe incidere pure il nuovo quadro sistemico come discendente dai tratti, benché ratione temporis qui non applicabili, di recente inseriti nello Statuto del contribuente -, ritiene dunque questo collegio di dovere rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite in ordine alla questione di nullità dell’accordo traslativo ad oggetto fiscale oggetto della presente controversia. P.Q.M. La Corte rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.