Contratto d’appalto o mero preventivo? Solo una corretta interpretazione può dirlo

Per valutare se l’intesa raggiunta tra le parti abbia ad oggetto un vero e proprio regolamento definitivo del rapporto oppure un documento con funzione meramente preparatoria di un negozio futuro, il giudice può far ricorso ai criteri interpretativi dettati dagli artt. 1362 e ss. c.c L’accertamento dovrà interessare non solo il nomen iuris e la lettera dell’atto ma anche la volontà negoziale delle parti in relazione sia al comportamento tenuto, sia alla disciplina che dettata.

Lo ha ribadito la Suprema Corte con sentenza n. 14006/17 depositata il 6 giugno. Il caso. L’attore citava in giudizio dinanzi al Giudice di Pace il convenuto con il quale aveva concluso un contratto d’appalto, avente ad oggetto la realizzazione di opere di manutenzione ordinaria e straordinaria di un appartamento, a fronte di un corrispettivo economico. Il committente aveva esercitato, però, il recesso unilaterale dal contratto e la ditta chiedeva la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in ragione del 10% dell’ammontare del corrispettivo dell’appalto. Il Giudice di Pace rigettava la domanda dell’attore e dichiarava che tra le parti non era intervenuto alcun contratto di appalto. Anche il Tribunale, rigettando l’appello della ditta, confermava la natura di mero preventivo di spesa della scrittura in oggetto, escludendo che da essa ne derivasse un’obbligazione a carico delle parti. La ditta ricorre per cassazione. Qualificazione giuridica come si procede? In tema di interpretazione del contatto, Gli Ermellini affermano che il procedimento di qualificazione giuridica si compone di due fasi. La prima fase consiste nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti , ossia in un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione . La seconda fase, invece, concerne l’inquadramento della comune volontà delle parti, come appurata, nello schema legale corrispondente e si risolve nell’applicazione di norme giuridiche e con la conseguenza di essere passabile di verifica anche in sede di legittimità. Premesso ciò, valutare se l’intesa raggiunta tra le parti abbia ad oggetto un vero e proprio regolamento definitivo del rapporto oppure un documento con funzione meramente preparatoria di un negozio futuro , costituisce un accertamento riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione. Criteri interpretativi. Tuttavia, il Collegio di legittimità suggerisce che per tale valutazione il giudice di merito può giovarsi dei criteri interpretativi di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. che hanno la funzione di consentire la ricostruzione della volontà delle parti e anche quella di verificare se l’assetto di interessi espresso da queste sia vincolante oppure no. In tal senso, il giudice dovrà accertare, oltre che il nomen iuris e la lettera dell’atto , anche la volontà negoziale in relazione sia al comportamento comune delle parti, sia alla disciplina dalle stesse dettata, interpretando le clausole le une per mezzo delle altre . Nella fattispecie, data la mancanza di una descrizione analitica di tempi e modalità dell’esecuzione dell’opera e di pagamento del corrispettivo, nonché di espressioni idonee a dimostrare in modo univoco il sorgere del sinallagma contrattuale, il Tribunale ha correttamente qualificato la volontà delle parti come un mero preventivo di spesa. Pertanto, la Suprema Corte ritiene di dover rigettare il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 21 febbraio – 6 giugno 2017, numero 14006 Presidente Matera – Relatore Federico Ritenuto in fatto P.M. , in qualità di titolare della ditta Edil P. di P.M. , convenne innanzi al Giudice di Pace di Trinitapoli M.A. , esponendo che in data 16.08.2008 le parti avevano concluso un contratto di appalto, avente ad oggetto la realizzazione di opere di manutenzione ordinaria e straordinaria dell’alloggio di proprietà del M. sito in omissis , a fronte di un corrispettivo di Euro 10.200,00 oltre iva . Il committente aveva peraltro esercitato recesso unilaterale dal contratto rifiutando la corresponsione di qualsivoglia cifra. Tanto premesso, chiedeva la condanna del convenuto al pagamento di 1.122,00 Euro, equitativamente determinata ex art. 1671 c.c. in ragione del 10% dell’ammontare del corrispettivo dell’appalto. Si costituiva in giudizio M.A. , il quale deduceva che la scrittura in oggetto, compilata da parte attrice, doveva qualificarsi come semplice preventivo e non anche come contratto. Con la sentenza numero 859/2009 del 5.12.2009 il Giudice di Pace di Trinitapoli dichiarava che tra le parti non era intervenuto alcun contratto di appalto avente ad oggetto l’esecuzione di lavori di manutenzione di un appartamento e, per l’effetto, rigettava la domanda dell’attore, condannandolo al pagamento delle spese processuali. Il Tribunale di Foggia, con la sentenza numero 166/13 dell’8.8.2013, ha rigettato l’appello proposto dal P. , confermando la natura di mero preventivo di spesa della scrittura in oggetto, ed escludendo, conseguentemente, che da essa derivasse alcuna obbligazione a carico delle parti. Il Tribunale dava rilievo anzitutto alla stessa intestazione del documento, espressamente qualificato dalle parti come mero preventivo di spesa . Rilevava inoltre che in esso non risultavano indicati la data di inizio e la durata dei lavori, né gli elementi necessari ad identificare il sinallagma contrattuale, né versati acconti, dovendo ritenersi irrilevante la mera sottoscrizione del committente, che non recava la dicitura per accettazione , o altra equivalente, idonea ad attestare l’intenzione di accettare una proposta contrattuale, assumendo le relative obbligazioni. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso P.M. , sulla base di nove motivi. M.A. non ha svolto difese. Considerato in diritto Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c. con riferimento all’art. 360, numero 3, c.p.c. , per aver il giudice d’appello omesso di considerare, nella lettura del preventivo-contratto per lavori edili del 16.8.2008, che nelle penultime parole era indicata l’espressione Il Committente e che la firma del M. era posizionata esattamente sotto le parole il Committente , in tal guisa manifestando l’accettazione del preventivo. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione degli artt. 116 c.p.c. e 1363 c.c. con riferimento all’art. 360, numero 3, c.p.c. , per aver il tribunale omesso di interpretare complessivamente le clausole contrattuali, escludendo, per l’effetto, che la sottoscrizione apposta dal M. esattamente sotto la dizione Il Committente da intendersi per appellante esprimesse la volontà di accettare il preventivo. Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione degli artt. 116 c.p.c. e 1340 e 2078 c.c. con riferimento all’art. 360, numero 3, c.p.c. , per non aver il tribunale considerato che, in base all’uso negoziale avente valore di legge e confermato dall’indirizzo della Corte di cassazione, la firma pura e semplice di un preventivo, da parte del destinatario, esprime accettazione del preventivo stesso, pur in assenza della dizione per accettazione . Con il quarto motivo il ricorrente denunzia la violazione degli artt. 116 c.p.c. e 1326 e 1342 c.c. con riferimento all’art. 360, numero 3, c.p.c. , per aver il tribunale negato che la firma del preventivo da parte del destinatario, introducendo la clausola di accettazione , abbia provocato la sua trasformazione in contratto d’appalto. Con il quinto motivo si lamenta la violazione degli artt. 116 c.p.c., 1657 e 1665, ult. co., c.c. con riferimento all’art. 360, numero 3, c.p.c. , per aver il tribunale ritenuto che la mancata indicazione delle modalità di determinazione del corrispettivo e di esecuzione dei lavori precludesse la commutazione del preventivo in contratto d’appalto, nonostante esistano norme suppletive per determinare la misura del corrispettivo art. 1657 c.c. ed il momento della sua corresponsione art. 1665, ult. co., c.c. e senza considerare che, da un lato, il corrispettivo complessivo delle opere era stato determinato nella misura di Euro 10.200,00 oltre IVA e che, dall’altro, le modalità di esecuzione ed il riparto dei compiti tra appaltante ed appaltatore fossero stati specificati. Con il sesto motivo si denunzia la violazione degli artt. 116 c.p.c. e 1183 c.c. con riferimento all’art. 360, numero 3, c.p.c. , per aver il tribunale escluso la configurabilità di un contratto di appalto a causa della mancata indicazione della data di inizio dei lavori, nonostante in base alla legislazione edilizia ed all’art. 1183 c.c. tale termine iniziale dovesse individuarsi, comportando detti lavori la modifica della suddivisione interna, subito dopo l’autorizzazione comunale e, in particolare, dopo aver conseguito la concessione edilizia ed il decorso del termine di legge dalla presentazione della D.I.A. . Con il settimo motivo il ricorrente si duole della violazione degli artt. 116 c.p.c. e da 1655 a 1677 c.c. con riferimento all’art. 360, numero 3, c.p.c. , per aver il tribunale ritenuto che il preventivo del 16.8.2008 non fosse commutabile in contratto d’appalto per la mancanza di una fase precontrattuale, la quale, invece, esisteva come era desumibile dalle deduzioni in fatto contenute nei nnumero da 1 a 11 della scrittura e non era, comunque, necessaria. Con l’ottavo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 116 c.p.c. e da 1655 a 1677 c.c. avuto particolare riguardo agli artt. 1665, ult. co., e 1666 c.c. , con riferimento all’art. 360, numero 3, c.p.c., per aver il tribunale ritenuto che il preventivo del 16.8.2008 non fosse commutabile in contratto d’appalto per l’omessa corresponsione di un acconto e per la mancata indicazione dei termini di pagamento, nonostante nessuna norma del codice civile condizionasse la validità del contratto al versamento di acconti e gli artt. 1665, ult. co., e 1666 c.c. rimediassero alla mancanza di convenzione sul momento del pagamento. Con il nono motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 116 c.p.c. e 1326 e 1342 c.c. con riferimento all’art. 360, numero 3, c.p.c. , per aver il tribunale ritenuto la inconvertibilità in contratto del preventivo lavori, senza considerare che le firme apposte dai due soggetti del negozio giuridico fossero tipiche del contratto ed incompatibili con il mero preventivo. I motivi, che, per la loro intima connessione, vanno trattati congiuntamente, sono infondati, in quanto tendono, in sostanza, ad un riesame dell’accertamento di fatto riservato al giudice del merito, che con statuizione fondata su argomentazione logica ed adeguata ed in applicazione dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c., ha qualificato il documento per cui è causa quale semplice preventivo dei lavori e non anche come atto avente contenuto negoziale. Si osserva al riguardo che, in tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima - consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti - è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione, in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ., mentre la seconda - concernente l’inquadramento della comune volontà, come appurata, nello schema legale corrispondente - risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità Cass. 420/2006 . Del pari costituisce accertamento riservato all’apprezzamento del giudice di merito, che non è sindacabile in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione, valutare se l’intesa raggiunta abbia ad oggetto un vero e proprio regolamento definitivo del rapporto ovvero un documento con funzione meramente preparatoria di un futuro negozio. Per tale valutazione, ben può il giudice far ricorso ai criteri interpretativi dettati dagli artt. 1362 e segg. cod. civ., i quali mirano a consentire la ricostruzione della volontà delle parti, operazione che non assume carattere diverso quando sia questione, invece che di stabilirne il contenuto, di verificare anzitutto se le parti abbiano inteso esprimere un assetto d’interessi giuridicamente vincolante, dovendo il giudice accertare, al di là del nomen iuris e della lettera dell’atto, la volontà negoziale con riferimento sia al comportamento, anche successivo, comune delle parti, sia alla disciplina complessiva dettata dalle stesse, interpretando le clausole le une per mezzo delle altre Cass. 2720/2009 . Orbene, nel caso di specie il Tribunale non si è limitato a dare rilievo al nomen iuris di preventivo attribuito dalle parti alla scrittura, ma ha evidenziato la mancanza di una descrizione analitica di tempi e modalità dell’esecuzione dell’opera e di pagamento del corrispettivo, nonché di espressioni idonee ad evidenziare, in modo univoco, il sorgere del reciproco sinallagma contrattuale, ritenendo al riguardo irrilevante la mera sottoscrizione del preventivo da parte del committente, non accompagnata da alcuna espressione da cui potesse desumersi l’assunzione di una vera e propria obbligazione. Il ricorso va dunque respinto e, considerato che l’intimato, nel presente giudizio, non ha svolto difese, non deve provvedersi sulle spese. Sussistono i presupposti, ex art. 13 comma 1 quater dpr 115/2002, per il versamento da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Dà atto della sussistenza dei presupposti ex art. 13 comma 1 quater dpr 115/2002 per il versamento da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.