Rinnovazione tacita del contratto: necessaria una condotta attiva di entrambe le parti del contratto

La rinnovazione tacita del contratto di locazione postula la continuazione della detenzione della cosa da parte del conduttore dopo la scadenza e la mancanza di una manifestazione di volontà contraria da parte del locatore, cosicché, qualora questi abbia manifestato con la disdetta la volontà di porre termine al rapporto, la rinnovazione non può desumersi dalla permanenza del locatario nell'immobile locato dopo la scadenza o dal fatto che il locatore abbia continuato a percepire il canone senza proporre tempestivamente azione di rilascio, occorrendo, invece, un comportamento positivo idoneo ad evidenziare una nuova volontà, contraria a quella precedentemente manifestata per la cessazione del rapporto.

Con la pronuncia del 4 aprile 2017, n. 8670, il S.C. interviene sul tema del rinnovo tacito del contratto di locazione successivamente alla seconda scadenza, precisando che la rinnovazione tacita del contratto non può aversi per il solo fatto che il conduttore continua a detenere l’immobile e che il locatore ne percepisce i relativi canoni, essendo per contro necessaria una positiva manifestazione di volontà in tal senso. Il caso. La vicenda decisa dalla Cassazione con la sentenza in commento prende avvio dall’azione di sfratto per morosità promossa nell’ambito di un contratto di locazione. Il conduttore, peraltro, contestava gli addebiti di inadempienza mossi nei suoi confronti sostenendo che tra le parti si era attuata una rinnovazione tacita del contratto di locazione, con un canone aumentato, con conseguente allungamento del contratto originariamente pattuito. Sia in primo che in secondo grado tale tesi viene rigettata, dando invece credito alla tesi del locatore. Il S.C. conferma tale ricostruzione, affermando, secondo quanto riferito nella massima, che la rinnovazione tacita del contratto presuppone non solo la detenzione continuata dell’immobile ma anche la volontà delle parti da desumersi da indici inequivocabili. Rinnovazione tacita del contratto di locazione come e perché. Secondo la prevalente giurisprudenza, ripresa dalla sentenza in commento, la rinnovazione tacita del contratto di locazione non può desumersi dal solo fatto della permanenza del conduttore nella detenzione della cosa locata oltre la scadenza del termine, né dal pagamento e dall'accettazione dei canoni e neppure dal ritardo con il quale sia stata promossa l'azione di rilascio, occorrendo che questi fatti siano qualificati da altri elementi idonei a far ritenere in modo non equivoco la volontà delle parti di mantenere in vita il rapporto locativo con rinuncia tacita, da parte del locatore, agli effetti prodotti dalla scadenza del contratto. Rinnovazione e disdetta elementi a confronto. Alla luce di quanto sopra esposto, deve osservarsi che, qualora il locatore abbia manifestato con la disdetta la volontà di porre termine al rapporto, la rinnovazione non può desumersi dalla permanenza del locatario nell'immobile locato dopo la scadenza o dal fatto che il locatore abbia continuato a percepire il canone senza proporre tempestivamente azione di rilascio, occorrendo, invece, un comportamento positivo idoneo ad evidenziare una nuova volontà, contraria a quella precedentemente manifestata per la cessazione del rapporto. Rinnovazione e onere probatorio. Sotto il profilo probatorio, invece, la rinnovazione tacita del contratto di locazione deve essere sostenuta da elementi idonei a far ritenere in modo non equivoco la volontà delle parti di mantenere in vita il rapporto locativo con rinuncia tacita, da parte del locatore, agli effetti prodotti dalla scadenza del contratto. Rinnovazione tacita quale condotta per il locatore? Riprendendo un esempio tratto dalla casistica giurisprudenziale, si è affermato che, laddove il locatore, a fronte della comunicazione della disdetta e della effettiva scadenza della locazione, faccia seguire un congruo periodo di inerzia, lasciando il conduttore nella detenzione dell'immobile senza dare inizio ad alcuna procedura nei suoi confronti, si è in presenza di una condotta che, se accompagnata dalla riscossione dei canoni, può essere considerata come manifestazione tacita di rinnovazione del contratto. Serve la condotta di entrambe le parti. La rinnovazione tacita del contratto di locazione presuppone necessariamente, come visto in precedenza, che dal comportamento tenuto da entrambe le parti, dopo la scadenza del contratto medesimo, possa desumersi la loro implicita ma inequivoca volontà di mantenere in vita il rapporto locativo. Consegue a quanto innanzi che il pagamento dei canoni ed il lungo tempo intercorso dalla data di scadenza contrattuale e l'attivazione del procedimento di sfratto, di per sé e in assenza di ulteriori elementi, non costituiscono elementi idonei a provare la rinnovazione del contrattodi locazione. Novazione o rinnovazione del contratto di locazione? Da ultimo, può osservarsi – come anche riferito dalla S.C. nella sentenza in commento – che ad integrare novazione del contratto non è sufficiente la variazione della misura del canone o del termine di scadenza, trattandosi di modificazioni accessorie, essendo invece necessario, oltre al mutamento dell'oggetto o del titolo della prestazione, l' animus e la causa novandi , consistenti, il primo, nella manifestazione inequivoca dell'intento novativo e, la seconda, nell'interesse comune delle parti all'effetto novativo. L'accertamento se, in relazione al mutamento di taluni elementi del vecchio contratto, le parti abbiano voluto o meno stipulare un nuovo contratto è compito del giudice di merito, la cui valutazione e insindacabile in Cassazione se logicamente e correttamente motivata.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 19 gennaio – 4 aprile 2017, n. 8670 Presidente Chiarini – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. Con ricorso al Tribunale di Napoli, Sezione distaccata di Portici, D.S.A. convenne in giudizio P.S. e - sulla premessa di avere locato al medesimo un proprio immobile per uso di abitazione, con contratto del 1 luglio 2003, e che questi si era reso inadempiente all’obbligo di versamento dei canoni da ottobre 2012 a gennaio 2013 intimò al convenuto lo sfratto per morosità, con contestuale citazione per la convalida e richiesta di emissione dell’ordinanza di rilascio. Si costituì in giudizio il P. , opponendosi alla convalida, fornendo una propria diversa versione dei fatti e proponendo domanda riconvenzionale per ottenere la restituzione del deposito cauzionale e della metà delle spese di registrazione del secondo contratto di locazione asseritamente intercorso tra le parti. Il Tribunale accolse la domanda principale, rigettò quella riconvenzionale, dichiarò il contratto di locazione risolto per grave inadempimento del conduttore e, fissata la data del rilascio, condannò il P. al pagamento dei canoni scaduti con il carico delle spese di lite. 2. La pronuncia è stata impugnata dal convenuto soccombente e la Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 13 giugno 2014, ha rigettato l’appello, condannando l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado. Ha osservato la Corte territoriale, richiamando le argomentazioni rese dal Giudice di primo grado e dichiarando di condividerle, che la disdetta che la locatrice aveva intimato per la scadenza del 30 giugno 2011 era da ritenere superata e posta nel nulla dal successivo comportamento delle parti, le quali avevano dato vita ad una prosecuzione di fatto dell’originario contratto del 2003. La tesi del conduttore - secondo cui la disdetta aveva avuto piena efficacia, con conseguente fine del primo contratto e stipulazione di un secondo contratto verbale, poi registrato nell’ottobre 2012 a spese del P. - era rimasta del tutto sfornita di prova. Ed infatti, pur dichiarando di condividere l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale la rinnovazione tacita del contratto di locazione deve risultare dall’univoco comportamento di entrambe le parti, la documentazione prodotta in atti portava ad escludere l’esistenza del nuovo contratto di locazione. Da un lato la locatrice aveva, con la propria lettera raccomandata del 4 dicembre 2012, negato la conclusione di tale nuovo contratto dall’altro, gli stessi elementi che la giurisprudenza ritiene non idonei a dimostrare la rinnovazione tacita della locazione permanenza del conduttore nell’immobile e percezione dei canoni da parte del locatore non potevano essere sufficienti a dimostrare la fondatezza della tesi del conduttore. Ha aggiunto la Corte napoletana che la prova dell’esistenza di un nuovo rapporto contrattuale era a carico del conduttore, che non era però riuscito a fornirla né potevano ritenersi sufficienti a tale scopo il deposito della disdetta ed il considerevole incremento del canone, passato da Euro 516 mensili nel giugno 2011 ad Euro 650 mensili a decorrere dal successivo mese di luglio. Era mancata, del resto, ogni prova anche dell’esistenza di una trattativa tra locatrice e conduttore preordinata al rinnovo del contratto ad un canone di locazione più alto. Ne conseguiva che il comportamento del P. consistito nella registrazione del presunto secondo contratto verbale , cui aveva fatto seguito la determinazione del canone da parte dell’Agenzia delle entrate nella misura di Euro 118,62 mensili ai sensi dell’art. 3 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 doveva ritenersi arbitrario. Era da confermare, perciò, l’esistenza dell’inadempimento del conduttore, da considerare in mora per aver omesso il pagamento del canone contrattualmente dovuto mentre non avevano fondamento le domande riconvenzionali del P. volte ad ottenere il rimborso della metà delle spese di registrazione e la restituzione di due mensilità di canone, a suo tempo versate a titolo di deposito cauzionale. 3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Napoli propone ricorso P.S. con atto affidato a tre motivi. Resiste D.S.A. con controricorso. Ragioni della decisione 1. Occorre preliminarmente considerare che nel controricorso c’è un’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso per tardività. 1.1. L’eccezione non è fondata. La giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che in materia locatizia la sospensione feriale dei termini è esclusa solo in relazione alla fase sommaria dei procedimenti di sfratto v., sul punto, la sentenza 27 maggio 2010, n. 12979, e l’ordinanza 12 novembre 2015, n. 23193 . All’odierno ricorso, pertanto, si applica il termine lungo per l’impugnazione che, nella specie, è di sei mesi la causa è cominciata nel 2013 cui vanno aggiunti quarantasei giorni di sospensione feriale e non trenta, perché l’accorciamento della sospensione feriale ha cominciato ad applicarsi a decorrere dall’anno 2015 art. 16, comma 3, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito in legge 10 novembre 2014, n. 162 . Pertanto, poiché la sentenza in esame è stata depositata il 13 giugno 2014, aggiungendo sei mesi e quarantasei giorni, il ricorso, notificato il 28 gennaio 2015, è tempestivo. 2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1597, 2697, 1176, 1337, 1325, 1326 e 1327 cod. civ., degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché dell’art. 2 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, oltre a contraddittorietà ed inesistenza della motivazione. Osserva il ricorrente che, per costante giurisprudenza, la rinnovazione tacita del contratto di locazione non può aversi per il solo fatto che il conduttore continua a detenere l’immobile e che il locatore ne percepisce i relativi canoni, essendo invece necessaria una positiva manifestazione di volontà in tal senso. Nella specie, al contrario, la locatrice aveva, con lettera raccomandata, comunicato la propria intenzione di interrompere la locazione da tale comunicazione derivava la fine del primo contratto, tanto più che la locatrice non aveva fornito alcuna prova idonea a manifestare la sussistenza di una nuova, diversa volontà. A ciò dovrebbe aggiungersi che, a fronte del canone di locazione stabilito in Euro 516 mensili fino al giugno 2011, è pacifico in causa che a decorrere dal luglio 2011 fu corrisposto il canone di Euro 650, che non costituiva il mero adeguamento dell’originario canone alla variazione ISTAT. Dovrebbe ritenersi, pertanto, che la nascita di un nuovo contratto si dovesse desumere per facta concludentia, posto che vi era stato il mutamento di uno degli elementi essenziali del contratto. 3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1337 e 1375 cod. civ., del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, nonché del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, e del principio della c.d. mora incolpevole. Rileva la parte ricorrente che, una volta riconosciuta l’esistenza di un nuovo contratto verbale di locazione, nessun inadempimento sarebbe ravvisabile a suo carico. Il P. sostiene, infatti, di aver invano atteso ben quindici mesi che la locatrice si decidesse alfine a formalizzare per iscritto il nuovo contratto , procedendo alla relativa registrazione, e di avervi dovuto provvedere di sua iniziativa solo a causa di tale ritardo. La registrazione da parte del conduttore ha determinato l’applicazione del meccanismo punitivo di cui al d.lgs. n. 23 del 2011, con fissazione del canone d’ufficio da parte dell’Agenzia delle entrate in misura assai minore, canone che il ricorrente dichiara di avere sempre regolarmente pagato. Né potrebbe determinare alcun cambiamento la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2011, posto che gli effetti e i rapporti giuridici sorti in base a detta normativa sono stati fatti salvi dall’art. 5, comma 1-ter, del d.l. n. 47 del 2014, convertito in legge n. 80 del 2014. 4. I due motivi, sebbene differenti, vanno trattati congiuntamente perché costruiti su argomentazioni comuni, per cui sono tra loro connessi. Essi sono entrambi privi di fondamento. La Corte d’appello di Napoli, con un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, ha stabilito che la volontà solutoria manifestata dalla locatrice con la lettera di disdetta contenente intimazione per la data del 30 giugno 2011 seconda scadenza quadriennale, visto che il contratto era del 1 luglio 2003 era da considerare superata dal successivo comportamento delle parti, che si erano accordate per la prosecuzione del contratto al canone maggiorato di Euro 650 mensili. A tale conclusione la Corte di merito è giunta sulla base di una serie di argomenti che sono stati in precedenza riassunti e che non occorre ripetere. La tesi del ricorrente, al contrario, è nel senso che quella disdetta aveva comunque perfezionato i suoi effetti e che il rapporto locativo era proseguito in forza di un successivo contratto verbale, registrato soltanto il successivo 2 ottobre 2012 dietro sua iniziativa, come sarebbe confermato dall’incremento del canone mensile, passato da Euro 516 ad Euro 650. Ora la giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che la semplice modifica del canone di locazione non può implicare novazione del contratto, trattandosi di una modificazione accessoria, mentre per aversi novazione occorrono non solo il mutamento dell’oggetto o del titolo della prestazione ma anche l’animus novandi e la causa novandi, consistenti il primo nella manifestazione chiara dell’intento novativo e la seconda nell’interesse comune delle parti all’effetto novativo. L’accertamento sull’esistenza o meno della novazione è rimesso al giudice di merito e, come tale, è insindacabile in sede di legittimità così le sentenze 28 ottobre 2004, n. 20906, 4 maggio 2005, n. 9280, 21 maggio 2007, n. 11672, e 9 marzo 2010, n. 5673 . Nel caso in esame, non solo la sentenza impugnata ha negato che vi fosse la prova dell’esistenza di una trattativa tra le parti sfociata nella asserita stipulazione di un nuovo contratto verbale di locazione, ma, per quanto è dato dedurre, non risulta neppure che vi sia stata alcuna contestazione tra le parti nel periodo che va dal luglio 2011 modifica del canone fino all’inizio della causa gennaio 2013 . Ciò comporta che appare ragionevole e credibile la ricostruzione operata dalla Corte di merito nel senso di riconoscere che le parti si erano accordate nel senso di proseguire nel contratto preesistente arrotondando il canone ad Euro 650, con un accordo sulla cui legittimità non vi è stata alcuna tempestiva censura. Ne consegue che la successiva registrazione da parte del conduttore, solo nell’ottobre 2012, di un presunto contratto verbale, cui ha fatto seguito l’applicazione del canone punitivo applicato d’ufficio dall’Agenzia delle entrate, appare piuttosto come una iniziativa unilateralmente assunta dal P. così la sentenza impugnata al di fuori di qualsiasi obiettiva circostanza idonea a confermare gli assunti difensivi del ricorrente. Ed è altrettanto chiaro che il ricorrente non può escludere il proprio inadempimento ovvero invocare una presunta mora incolpevole invocando l’applicazione di un canone di locazione che non trova alcun appiglio nell’effettiva vicenda contrattuale oggetto di causa. È appena il caso di aggiungere - benché si tratti di circostanza irrilevante ai fini dell’odierno ricorso, per le ragioni appena indicate - che la normativa richiamata dal P. a sostegno dell’applicazione della riduzione d’ufficio del canone di locazione è stata oggetto per ben due volte di pronunce di illegittimità costituzionale v. le sentenze della Corte costituzionale n. 50 del 2014 e n. 169 del 2015, la seconda delle quali avente ad oggetto la sostanziale proroga di efficacia e validità dei contratti di locazione registrati sulla base delle disposizioni dichiarate illegittime dalla prima pronuncia . I primi due motivi di ricorso, pertanto, sono privi di fondamento. 5. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4 , cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 e 416 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 del codice civile. Si osserva, in proposito, che la Corte d’appello avrebbe omesso completamente di esaminare le domande riconvenzionali formulate dall’originario convenuto, oggi ricorrente. In particolare, il ricorrente lamenta che il rigetto delle stesse sarebbe fondato su ragioni giuridiche non chiare, posto che egli aveva dimostrato sia il pagamento delle due mensilità di deposito cauzionale sia il versamento delle somme necessarie per la registrazione del contratto verbale. 5.1. Il motivo è fondato nei limiti che saranno ora precisati. È innanzitutto da escludere che vi sia un’omissione di pronuncia, posto che la Corte napoletana ha risposto su entrambe le domande qui in questione. Assolutamente infondata è, per le ragioni già esposte a proposito dei due motivi precedenti, la doglianza avente ad oggetto il mancato rimborso delle spese di registrazione del presunto contratto verbale non essendo stato dimostrato che quel contratto fu realmente concluso, è evidente che il P. nulla poteva richiedere a quel titolo. Fondato è, invece, il motivo nella parte in cui lamenta il mancato accoglimento della domanda di restituzione del deposito cauzionale. La sentenza impugnata, infatti, ha confermato la risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore, disponendo il conseguente obbligo di rilascio che pare essere avvenuto , ed ha nel contempo dato per pacifico che il deposito cauzionale era stato a suo tempo versato v. sentenza a p. 8 . Ora, stando così le cose, ha errato la Corte di merito nel negare la restituzione del deposito, a meno che non vi fossero ragioni ostative che non risultano dalla motivazione della sentenza. Entro tali precisi e limitati confini il motivo di ricorso in esame è quindi da accogliere. 6. In conclusione, sono rigettati il primo ed il secondo motivo di ricorso, mentre il terzo è accolto nei limiti di cui in motivazione. La sentenza impugnata è cassata in relazione e il giudizio è rinviato alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione personale, affinché provveda alla restituzione del deposito cauzionale in favore del conduttore ovvero indichi le ragioni per le quali detta restituzione non deve avere luogo. Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione personale, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.