Responsabilità della banca per investimenti troppo rischiosi

La gestione patrimoniale integra un contratto tipico strutturato sugli elementi del mandato, connotato dal carattere della discrezionalità. La gestione di un portafoglio di titoli su base discrezionale genera, a carico dell'intermediario, un'obbligazione di mezzi, senza impegnativa assicurazione di alcun risultato. Tali caratteristiche non escludono ma, anzi, impongono l'apposizione di vincoli di trasparenza, di corretta informazione e di congruenza, per la verifica della corretta gestione dell'intermediario. Nella gestione di portafogli, l'inosservanza di una strategia di investimento coerente con il grado di propensione al rischio e con il profilo di c.d. benchmark fissato dal cliente determina la responsabilità contrattuale dell'intermediario abilitato.

Con la sentenza n. 24/17 depositata il 3 gennaio, il S.C. conferma il consolidato orientamento della giurisprudenza, di merito e di legittimità, per il quale il mancato rispetto degli obiettivi di investimento determinati dal cliente - e desumibili dal benchmark dal medesimo indicato – costituisce inadempimento contrattuale da parte dell’intermediario con l’obbligo del conseguente risarcimento del danno cagionato all’investitore. Il caso. La vicenda decisa dal S.C. con la sentenza in esame prende avvio dall’azione risarcitoria promossa da un cliente nei confronti della propria banca per non avere rispettato le linee di investimento indicate dal medesimo, con riferimento al benchmark individuato. La tesi della banca, rigettata in primo e secondo grado, ed anche il sede di legittimità, rappresentava, per contro, il benchmark come mera indicazione di massima della linea di investimento, ma senza attribuire al medesimo valore vincolante o elemento del contratto. Il S.C. si esprime nel senso della massima, attribuendo rilevanza contrattuale e vincolante al benchmark e confermando la condanna della banca al risarcimento del danno. Il benchmark obiettivo contrattuale rilevante. Secondo quanto espresso dalla Cassazione e risultante nella massima in commento, nei contratti aventi ad oggetto la gestione di portafogli di valori mobiliari, gli obblighi di comportamento normativamente posti a carico dell'intermediario art. 36 e segg. del reg. Consob n. 11522 del 1998, all’epoca dei fatti vigente prevedono, tra l'altro - quale prescrizione vincolante e dettata al fine d'indicare le modalità di esecuzione dell'obbligo di fornire all'investitore un parametro oggettivo coerente del grado di rischio connesso alle singole gestioni - la preventiva indicazione del grado di rischio di ciascuna linea di gestione patrimoniale, sicché, il solo fatto che l'intermediario professionale abbia comunicato al cliente il parametro di riferimento Benchmark”, che non costituisce un indicatore diretto del grado di rischio, ma fornisce unicamente la possibilità di confrontare i risultati del proprio investimento rispetto all'andamento del mercato, non costituisce valido adempimento del suo obbligo informativo circa le operazioni di investimento rispetto al profilo dell'investitore ed alla sua propensione al rischio. Onere della prova a carico dell’intermediario. In virtù dell’art. 23 d.lgs. n. 58/98 TUF , qualora il cliente asserisca che la banca non gli abbia richiesto le informazioni circa la sua esperienza in materia di strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, gli obiettivi di investimento e la propensione al rischio, senza tra l'altro ricevere il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari ed adeguate informazioni sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni delle operazioni di investimento, è onere dell’intermediario dimostrare che la propria condotta, nell'ambito del rapporto negoziale intervenuto con il cliente, sia stato conforme a quanto stabilito dalla normativa dettata in siffatta materia. Ciò vale, come regola generale, anche nel caso di specie, in quanto è onere dell’intermediario – non assolto, secondo i giudici - provare che la propria condotta, nella gestione dell’investimento, è stata improntata al rispetto delle direttive e degli obiettivi fissati dall’investitore. Obiettivi di investimento e condotta dall’intermediario. La condotta dell’intermediario, in relazione agli investimenti da effettuarsi per conto del cliente nell’ambito di una gestione individuale, deve – come visto in precedenza - sempre assicurare il rispetto degli obiettivi dal medesimo fissati. In particolare, qualora il cliente comunichi all'intermediario l'intenzione di investire il ricavato dalla vendita di un bene di rilevante valore in strumenti finanziari che assicurino una rendita il più elevata possibile e continuata nel tempo, al fine di assicurarsi flussi di entrata costanti, l’intermediario deve assicurare al cliente un investimento di natura conservativa e non un investimento di natura speculativa e dall'esito aleatorio. La non elevata propensione al rischio di un simile cliente è, infatti, deducibile dalla volontà di assicurarsi una rendita costante nel tempo, intenzione, questa, incompatibile con il rischio di perdita del capitale e, in presenza di una tale situazione, l'intermediario ha il dovere di spiegare al cliente che l'alto rendimento dei titoli è incompatibile con l'obiettivo manifestato di conseguire una rendita certa e costante nel tempo. Quale responsabilità per l’intermediario. In materia di intermediazione finanziaria, la violazione, da parte dell'intermediario, degli obblighi di comportamento e correttezza posti a suo carico della specifica normativa in materia, può comportare una responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove avvenga nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti, ovvero una responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto, ove riguardi le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto quadro. Benchmark non vincolante? La sentenza in commento rappresenta il definitivo superamento, già peraltro avviato, della giurisprudenza minoritaria per la quale l'indice benchmark non rappresenta uno strumento per quantificare ex ante la performance dell'investimento e non può considerarsi - in mancanza di espressa previsione contrattuale - il risultato utile della gestione che l'intermediario è tenuto ad assicurare al cliente.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 7 luglio 2016 – 3 gennaio 2017, n. 24 Presidente Bernabai – Relatore Terrusi Svolgimento del processo La corte d’appello di Torino ha rigettato il gravame di Sella holding banca s.p.a. già Banca Sella s.p.a. avverso la sentenza del tribunale di Biella che ne aveva pronunciato la condanna al risarcimento dei danni subiti da B.M. ed P.E. , in conseguenza dell’inadempimento di un contratto di gestione patrimoniale di tipo C-Azionario globale , con definizione del rischio d’investimento da un parametro di riferimento nel linguaggio finanziario, benchmark per il 30 % a indice titoli di stato JP Morgan Globale in euro e per il 70 % a indice mondiale MSCI in Euro. La corte d’appello ha ritenuto integrato l’inadempimento per avere la banca attuato una gestione incoerente con i rischi contrattualmente assunti e sinteticamente rappresentati dal benchmark, con netta preferenza, almeno in certo periodo, della componente azionaria in misura percentuale ampiamente eccedente quella prevista, e con caratteristiche di volatilità riconducibili alla classe di rischio 5 di Assogestioni anziché alla congruente classe 4. Per la cassazione della sentenza la banca ha proposto ricorso affidato a due motivi, ai quali gli intimati hanno replicato con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato una memoria. Motivi della decisione I. - Col primo motivo, deducendo falsa applicazione e violazione degli artt. 1218 cod. civ., 23 del T.u.f. e 38 e 42 del regolamento Consob n. 11522-98 reg. intermediari , la ricorrente ascrive alla sentenza di avere impropriamente utilizzato come parametro di valutazione della condotta di essa banca quello stesso parametro benchmark pur giustamente definito come indicatore statico e solo approssimativo, non presupponente l’obbligo del gestore di acquistare titoli nelle proporzioni indicate. Secondo la ricorrente la corte d’appello avrebbe con ciò finito per attribuire al benchmark un valore negoziale assente, di vero e proprio impegno verso un’obbligazione di risultato, oltre che un valore di clausola gerarchicamente sovraordinata rispetto a tutte le altre indicative delle caratteristiche di gestione ai sensi dell’art. 38 del reg. intermediari. Col secondo motivo è invece dedotta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza in ordine alle modalità e ai criteri di accertamento del rischio di gestione e dei relativi parametri, non essendo state considerate le critiche svolte in appello dalla banca. II. - Il ricorso, i cui motivi possono essere unitariamente esaminati perché connessi, è infondato. La corte d’appello ha reso la decisione previo richiamo delle risultanze di una c.t.u Ha accertato che la banca aveva agito, in periodo continuativo di sei mesi circa, in difformità dal parametro indicato nel contratto di gestione, errando nella politica di investimento e di selezione dei titoli e procurando agli attori le perdite stimate. Tanto costituisce un profilo di fatto non adeguatamente censurato nel secondo motivo di ricorso, il quale, insistendo su questioni afferenti non considerati alti profili di rischio degli investitori, non evidenzia in verità alcun elemento decisivo idoneo a elidere la congruenza e la linearità della motivazione della corte distrettuale. La quale ha evidenziato che la banca aveva in ogni caso agito in contrasto col parametro indicato in contratto, e quindi col livello di rischio contrattualmente assunto dagli attori. Va del resto rammentato che nei contratti aventi a oggetto la gestione di portafogli di valori mobiliari gli obblighi comportamentali normativamente posti a carico dell’intermediario cfr. gli artt. 36 e seg. del reg. intermediari prevedono, tra l’altro, la preventiva indicazione del grado di rischio di ciascuna linea di gestione patrimoniale proprio col fine di indicare all’investitore un parametro oggettivo coerente dei rischi connessi v. di recente Sez. 1^ n. 8089-16 . III. - Non può seguirsi la tesi dalla ricorrente sostenuta nel primo motivo. Dalla sentenza si evince che tra le parti era stato stipulato un contratto di gestione patrimoniale con definizione dell’investimento e del suo rischio in base al parametro surriportato. Col contratto di gestione di un portafoglio di investimento il cliente conferisce all’intermediario l’incarico di adottare strategie di investimento entro i margini di discrezionalità fissati nel contratto stesso, giacché i relativi risultati, positivi o negativi, ricadono direttamente sul patrimonio dell’investitore. Per quanto il contenuto del contratto sia certamente caratterizzato da una certa discrezionalità dell’intermediario nella valutazione delle operazioni da compiere, vi è che tale discrezionalità va coniugata con le linee di gestione scelte e comunque indicate nel contratto. In questo senso la gestione individuale si distingue dalla gestione collettiva titolo III del T.u.f. per il carattere appunto personalizzato, che consente all’investitore di predeterminare, nel contratto, le linee di gestione e di impartire istruzioni vincolanti ai sensi dell’art. 24 del T.u.f IV. - In ordine al contratto di gestione individuale l’art. 37 del reg. intermediari testo vigente pro tempore prescrive l’obbligatoria indicazione delle caratteristiche della gestione , e tale sintetica espressione si palesa allusiva, ai sensi dei successivi artt. 38 e 39, proprio e tra l’altro delle categorie di strumenti finanziari nelle quali può essere investito il patrimonio gestito. Il regolamento prescrive poi l’obbligatoria indicazione della tipologia di operazioni suscettibili di essere effettuate art. 40 e della misura massima della leva finanziaria utilizzabile art. 41 . Ne consegue che, per delineare le caratteristiche della gestione, assume un ruolo fondamentale proprio il benchmark, definito dall’art. 42 come parametro oggettivo di riferimento coerente con i rischi a essa connessi al quale commisurare i risultati della gestione . In altre parole il benchmark rappresenta il termine di paragone per poi valutare l’operato del gestore, sicché fornisce all’investitore l’elemento essenziale per la valutazione del servizio offerto. È vano allora insistere sulla non vincolatività del parametro in sé e per sé considerata. Il benchmark, se anche non impone al gestore di acquistare titoli nelle proporzioni indicate, in ogni caso costituisce un modo per valutare la razionalità e la adeguatezza dell’attività dell’intermediario, giacché a ogni benchmark associato un rischio, misurato statisticamente dalla volatilità che caratterizza il parametro prescelto a riferimento. Non v’è quindi alcun errore, né contraddittorietà, nella decisione della corte distrettuale. La quale in definitiva ha desunto l’inadempimento del gestore dal non aver rispettato le caratteristiche delle linee di investimento per le quali era stato assunto il rischio contrattuale. Per modo che correttamente le perdite sono state imputate all’inadempimento. V. - Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.