La prova della liberazione dell’immobile spetta al sub conduttore e non al locatore

Il sub conduttore che invoca il pagamento della somma pattuita quale corrispettivo del rilascio di un immobile, è tenuto a provare se e quando l’immobile è stato rilasciato, in quanto fatto costitutivo della sua pretesa.

La terza sezione civile della Suprema Corte è stata chiamata, ancora una volta, a fare luce sui criteri di ripartizione dell’onere della prova e, con sentenza n. 24176/16 depositata in data 29 novembre, ha ribadito il costante orientamento esistente in materia, applicandolo ad una fattispecie locatizia. La vicenda. Il caso, infatti, riguardava un rapporto di locazione e, più precisamente, un contratto con il quale una società aveva acquistato un immobile condotto in sub locazione da una azienda. Le parti avevano concordato che in caso di effettiva liberazione, entro e non oltre 4 mesi dalla compravendita, la sub conduttrice avrebbe avuto diritto ad un compenso di € 150.000,00 e, nel contempo, era stata prevista una penale di € 5000,00 per ogni settimana di ritardo nel rilascio. Tuttavia la liberazione non era avvenuta nei tempi stabiliti e la proprietà non aveva potuto immettere nel possesso dell’immobile il nuovo acquirente cui l’aveva, nel frattempo, alienato in conseguenza era stato adito il tribunale di Milano, onde accertare che nulla era dovuto alla sub conduttrice inadempiente, con condanna di quest’ultima al pagamento della penale prevista nel contratto, per l’ipotesi di ritardato rilascio. Nel giudizio di primo grado, tuttavia, l’azienda convenuta aveva allegato di avere tempestivamente liberato l’immobile e, in via riconvenzionale, aveva domandato la corresponsione del compenso di € 150.000,00 sia la domanda principale che quella riconvenzionale erano state rigettate in primo grado. In sede di gravame, invece, la Corte d’appello lombarda aveva accolto la richiesta della sub conduttrice ed avverso tale sentenza la proprietà ha interposto ricorso in Cassazione. Il ricorso di legittimità è stato affidato a tre motivi 1 la violazione dell’art. 2697 c.c., con riferimento all’art. 360, n. 3, c.p.c. 2 la violazione degli artt. 1209 e 1216 c.c., sempre in riferimento all’art. 360, n. 3, c.p.c. 3 la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. Nessuna delle tre censure, tuttavia, è stata condivisa dalla Suprema Corte. Onere della prova. Nell’ordine, gli Ermellini hanno sottolineato che la Corte di merito non aveva erroneamente addossato alla locatrice l’onere di provare se e quando l’immobile era stato rilasciato dalla sub conduttrice, così come dedotto dal ricorrente, piuttosto, il Collegio aveva positivamente accertato in facto che effettivamente il bene risultava liberato alla scadenza pattuita dalle parti. Dunque, nella sentenza di appello non era stata commessa alcuna inversione dell’onere della prova. Do ut facias. Il secondo motivo, invece, è stato ritenuto tanto inammissibile, poiché involgente una questione che dalla sentenza impugnata non risultava essere mai stata affrontata in precedenza, quanto infondato. Ed infatti, a parere della Corte, il contratto in esame non era sussumibile nella fattispecie della locazione, quanto nello schema del do ut facias , in virtù del quale la proprietaria si era obbligata a pagare una somma di denaro a fronte di una attività della sub conduttrice, consistente nello sgombrare l’immobile l’obbligo contrattuale della formale riconsegna del bene gravava, dunque, sul conduttore e non sul sub conduttore. Interpretazione del contratto. Infine, sul terzo motivo la Corte ha dichiarato l’inammissibilità, in quanto avente ad oggetto l’interpretazione del contratto, ovvero, attività riservata al giudice di merito. Ciò perché l’istante non risultava aver lamentato né che il giudice del merito avesse attribuito alle parole del contratto un senso diverso da quello loro proprio, né che il giudice di merito avesse trascurato di considerare la condotta delle parti o le loro intenzioni diversamente, aveva sottoposto alla Corte una interpretazione alternativa a quella adottata dai giudici del merito. In conseguenza, il ricorso è stato rigettato, con condanna alla refusione delle spese.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 7 ottobre – 29 novembre 2016, n. 24176 Presidente Ambrosio – Relatore Rossetti Svolgimento del processo 1. L'esposizione dei fatti sarà limitata alle sole circostanze ancora rilevanti in questa sede. 2. Nel 2003 la società LaGare s.p.a. convenne dinanzi al Tribunale di Milano la società Balfour Beatty Rail s.p.a. d'ora innanzi, per brevità, la Balfour , esponendo che - aveva acquistato un immobile sito a Milano, via Costanza Arconati n. 1, che al momento dell'acquisto era condotto in sublocazione dalla Balfour - con contratto del 16.12.2002 aveva concordato con questa il pagamento di un compenso di& amp 150.000 se l'immobile fosse stato liberato entro il 30.4.2003 - il medesimo contratto prevedeva altresì l'obbligo della Balfour di pagare alla LaGare una penale di euro 5.000 per ogni settimana di ritardo nella riconsegna dell'immobile a partire dal 31.5.2003 la Balfour non aveva liberato l'immobile entro la data concordata - l'inadempimento, da parte della Balfour, dell'obbligo di rilasciare tempestivamente l'immobile aveva costretto la LaGare a non poter immettere nel possesso dell'immobile il nuovo acquirente cui l'aveva nel frattempo alienato, ed a pagare di conseguenza a quest'ultimo una penale di 250.000 euro. Chiese pertanto al Tribunale di accertare che nulla LaGare doveva alla Balfour in virtù del contratto del 16.12.2002, e di condannare quest'ultima a pagare alla LaGare la penale ivi prevista per l'ipotesi di ritardato rilascio. 3. La Balfour si costituì ed allegò di avere tempestivamente liberato l'immobile. Chiese in via riconvenzionale la condanna dell'attrice al pagamento della somma di euro 150.000, pattuita quale corrispettivo per l'anticipata liberazione dell'immobile. 4. Con sentenza 14.8.2009 n. 10599 il Tribunale di Milano rigettò sia la domanda principale, sia quella riconvenzionale. La prima fu rigettata sul presupposto che la Balfour aveva liberato l'immobile entro il 30.4.2003, e dunque nessuna penale per ritardo poteva essere pretesa dalla Balfour la seconda sul presupposto che il pagamento della somma di euro 150.000 da parte della LaGare in favore della Balfour, nel caso di tempestivo rilascio dell'immobile, era subordinato alla redazione di un verbale di consegna dell'immobile stesso, che non era mai stato redatto. 5. La sentenza venne appellata da ambo le parti. La Corte d'appello di Milano, con sentenza 2.8.2013 n. 3128, accolse solo l'appello della Balfour, e condannò la LaGare a pagarle 150.000 euro. Ritenne la Corte d'appello che, avendo la Balfour liberato l'immobile nel termine pattuito, ad essa spettava il corrispettivo promessole dalla LaGare, e che la mancata redazione del verbale di consegna fosse una mera formalità , la cui mancanza non faceva venir meno l'obbligo per LaGare di pagare l'importo pattuito per il tempestivo rilascio. 6. La sentenza d'appello è stata impugnata per cassazione dalla LaGare, con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria. Ha resistito la Balfour, con controricorso illustrato da memoria. Motivi della decisione 1. Il primo motivo di ricorso. 1.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c E' denunciata, in particolare, la violazione dell'art. 2697 c.c Deduce, al riguardo, che la Corte d'appello avrebbe erroneamente addossato alla locatrice LaGare l'onere di provare se e quando l'immobile era stato liberato dalla subconduttrice Balfour . Ma poiché era stata la Balfour a domandare il pagamento della somma pattuita quale corrispettivo dei rilascio entro il 30.4.2003, sarebbe stato onere della Balfour provare che l'immobile era stato liberato entro la data pattuita. 1.2. Il motivo è infondato, perché muove da una erronea lettura dell'effettivo contenuto della sentenza impugnata. La Corte d'appello non ha affatto invertito l'onere della prova, e sollevato la Balfour dall'onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa. La Corte d'appello ha infatti accolto la domanda della Balfour non perché fosse mancata la prova di un tardivo rilascio dell'immobile da parte della Balfour, ma per avere positivamente accertato in facto che effettivamente la Balfour liberò l'immobile entro il 30.4.2003. La Corte d'appello ha dunque addossato alla Balfour la prova della sussistenza del fatto costitutivo della sua pretesa l'ha ritenuta validamente fornita, ed ha di conseguenza accolto la domanda. Nessuna inversione dell'onere della prova è stata commessa. 2. Il secondo motivo di ricorso. 2.1. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c E' denunciata, in particolare, la violazione degli artt. 1209 e 1216 c.c Deduce, al riguardo, di essere stata condannata dalla Corte d'appello a pagare il compenso promesso per il caso di rilascio dell'immobile entro il 30.4.2003, senza che la Balfour avesse mai provveduto ad offrirne la restituzione con le modalità prescritte dagli artt. 1209 e 1216 c.c Sicché, non avendo la Balfour posto in essere l'esatto adempimento della prestazione su di essa gravante , la Corte d'appello non avrebbe potuto accogliere la relativa domanda. 2.2. Il motivo è tanto inammissibile, quanto infondato. E' inammissibile perché la ricorrente, in violazione del precetto di specificità di cui all'art. 366, n. 6, c.p.c., solleva una questione che dalla sentenza impugnata non risulta essere mai stata affrontata in precedenza la ritualità dell'offerta , e non precisa in quale atto del giudizio di merito tale questione sia stata sottoposta all'esame del giudice. Il motivo è tuttavia anche infondato. La Corte d'appello, secondo l'insindacabile ricostruzione dei fatti ad essa riservata quale giudice di merito, ha ritenuto che il compenso di 150.000 euro fosse stato promesso dalla LaGare alla Balfour quale corrispettivo per la liberazione dell'immobile dalle proprie persone e cose, e non per la sua riconsegna nelle mani dei locatore. Sicché, essendo avvenuta la liberazione, tanto bastava per far sorgere in capo alla LaGare l'obbligo di pagamento del corrispettivo promesso. Non pertinente, al riguardo, è il richiamo compiuto dalla LaGare nelle note d'udienza alla sentenza di questa corte n. 1887 del 28.1.2013. Nel giudizio concluso da quella sentenza, infatti, si discuteva se il conduttore avesse o no adempiuto l'obbligo di restituire l'immobile al locatore, ovvero avesse compiuto una seria offerta in tal senso. E nel decidere su tale questione, questa Corte ha ribadito che il conduttore, per liberarsi dai propri obblighi restitutori, ha l'onere di compiere una offerta ai sensi dell'art. 1216 c.c La fattispecie che oggi ci occupa è ben diversa. Le società LaGare e Balfour non hanno mai stipulato alcun contratto di locazione. Esse hanno stipulato un ben diverso contratto, atipico, sussumibile nello schema del do ut facias, in virtù del quale la prima si obbligava a pagare una somma di denaro a fronte di una attività della seconda, consistente nello sgombrare l'immobile condotto in sublocazione. L'obbligo contrattuale della formale riconsegna dell'immobile alla LaGare gravava quindi sul conduttore, non sul subconduttore. 3. Il terzo motivo di ricorso. 3.1. Col terzo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c E' denunciata, in particolare, la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c Espone, al riguardo, che la Corte d'appello ha ritenuto che la LaGare dovesse pagare il compenso promesso alla Balfour per il solo fatto che questa avesse sgombrato la parte di immobile ad essa locata. Ma il senso del contratto - sostiene la ricorrente - non era questo il corrispettivo, infatti, sarebbe stato dovuto solo se e quando l'immobile fosse stato non già liberato, ma riconsegnato alla LaGare. Pertanto la Corte d'appello avrebbe malamente interpretato il contratto, in senso difforme dalla lettera e dalla intenzione delle parti. 3.2. Il motivo è inammissibile. Interpretare i contratti è attività riservata al giudice di merito. Essa può essere sindacata in sede di legittimità nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica ma queste regole non possono dirsi violate sol perché il giudice, dinanzi a plurime interpretazioni, ne abbia preferita una non gradita alla parte. Nel caso di specie, per contro, la LaGare col terzo motivo del proprio ricorso non lamenta né che il giudice di merito abbia attribuito alle parole del contratto un senso diverso da quello loro proprio né che il giudice di merito abbia trascurato di considerare la condotta delle parti o le loro intenzioni più semplicemente, sottopone a questa Corte una interpretazione alternativa a quella adottata dalla Corte d'appello richiesta, per quanto detto, non consentita in questa sede, a nulla rilevando che quella interpretazione potesse essere astrattamente plausibile. 4 Le spese. 4.1. Le spese dei presente grado di giudizio vanno a poste a carico della ricorrente, ai sensi dell'art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo. 4.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 nel testo introdotto dell'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228 . Per questi motivi la Corte di cassazione - rigetta il ricorso -} condanna la LaGare s.p.a. alla rifusione in favore della Balfour Beatty Rail s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di euro 8.400, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55 - dà atto che sussistono i presupposti previsti dall'art. 13, comma 1 quater, d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di LaGare s.p.a. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.