Alloggi di servizio a dipendenti delle Poste: senza disdetta del rapporto si applica il canone sociale

In caso di concessione di alloggi di servizio a dipendenti delle Poste ove i rapporti non siano stati disdettati, e, quindi, in caso di rinnovazione tacita degli stessi con ciascun assegnatario, deve essere applicato il canone sociale anche oltre la scadenza dei sei anni del regime transitorio di cui al d.m. 19 luglio 1984.

La III sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20622/16 depositata il 13 ottobre, si è occupata di canone sociale nella particolare ipotesi di alloggi concessi in godimento ai dipendenti delle Poste statali. Il fatto. La vicenda vede coinvolti numerosi assegnatari di alloggi residenziali pubblici di proprietà delle Poste statali i quali domandavano l’accertamento della concessione nonché del regime applicabile di edilizia residenziale pubblica, oltre alla dichiarazione d’illegittimità della richiesta del gruppo postale di pretendere la sottoscrizione di nuovi contratti di locazione abitativa, secondo le leggi ordinarie vigenti in materia di locazione di immobili urbani. Le Poste affermavano che la trasformazione dell’ente, dapprima in soggetto pubblico economico e dopo in società per azioni, avesse comportato la fine del regime pubblicistico con conseguente applicazione della legge sull’equo canone ai rapporti di locazione. Domandava in via riconvenzionale la condanna al pagamento dei canoni maturati. La domanda attrice era accolta in primo grado, sosteneva il Tribunale che, in mancanza di disdetta formale da parte dell’ente, le concessioni si fossero automaticamente rinnovate con conseguente applicazione della disciplina in materia di edilizia residenziale pubblica. In grado di appello la decisione era confermata. Il diritto di rinnovo alle scadenze contrattuali con applicazione del canone sociale. Il giudizio di cassazione, intrapreso dalle Poste, si concludeva con il parziale accoglimento del ricorso sicché era affermato il principio in base a cui le Poste avessero il diritto di rinnovare i rapporti alle loro scadenze, una volta cessato il periodo massimo di sei anni di vigenza del regime transitorio, con applicazione del canone sociale e l’estensione della disciplina in materia di edilizia residenziale pubblica. Nel giudizio di rinvio veniva poi determinato il canone sociale da applicarsi al termine del periodo transitorio, avendo il Giudice appurato l’assenza di qualsivoglia disdetta da parte dell’ente. La prospettiva di violazione del principio di diritto secondo la ricorrente. Le Poste proponevano ricorso per cassazione denunciando la violazione del principio di diritto precedentemente affermato dalla Cassazione, sostenendo in particolare che al momento del passaggio dall’ente Poste alla società quotata non vi fosse alcuna potestà per rinnovare o prorogare la validità delle concessioni amministrative relative agli immobili, in mancanza di norma attributiva del potere in secondo luogo asseriva che il d.m. del 1984 non prevedesse alcun tacito rinnovo oltre i sei anni. Sosteneva ancora che la cessazione del rapporto amministrativo statale avesse comportato l’estinzione del sottostante rapporto contrattuale, ed infine l’inesistenza di un rapporto da prorogare. Concludendo. La Cassazione statuiva per l’infondatezza del ricorso che, facendo leva su argomenti legati all’impossibilità giuridica di rinnovo del contratto, tendeva a sollevare un riesame nel merito della questione. Gli Ermellini riconoscevano invece come il giudice del rinvio si fosse attenuto al principio di diritto affermato precedentemente dalla Cassazione, con conseguente determinazione del canone sociale alla scadenza del periodo transitorio, proprio perché l’ente non aveva esercitato alcuna tempestiva e valida disdetta.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 21 aprile – 13 ottobre 2016, n. 20622 Presidente Travaglino – Relatore Esposito Svolgimento del processo Giambattista Reali ed altri 62 concessionari di alloggi di servizio dell’Amministrazione delle Poste siti in [] convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Brescia Poste Italiane S.p.A. chiedendo l’accertamento della vigenza della concessione e del regime giuridico applicabile secondo la normativa in tema di edilizia residenziale pubblica, nonché la declaratoria di illegittimità della pretesa di Poste Italiane S.p.A. di esigere la sottoscrizione di nuovi contratti di locazione abitativa secondo le leggi vigenti in materia di locazione di immobili urbani. Costituitasi in giudizio, Poste Italiane S.p.A. deduceva che la trasformazione dell’ente pubblico in ente pubblico economico e poi in società per azioni aveva avuto l’effetto giuridico di determinare per tutte le concessioni la fine del regime pubblicistico e la soggezione al regime privatistico dell’equo canone, chiedendo in via riconvenzionale la condanna dei ricorrenti al pagamento dei relativi canoni. Il Tribunale di Brescia, con sentenza del 29.1.2003, accoglieva le domande attoree, respingendo la riconvenzionale, rilevando la vigenza dei rapporti in questione, tacitamente rinnovati in assenza di valida e tempestiva disdetta e di richiesta di rilascio, ai quali si applicava la disciplina in tema di edilizia residenziale pubblica. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia di conferma della decisione del Tribunale proponeva ricorso per cassazione Poste Italiane S.p.A. Questa Corte, con sentenza n. 8950 del 2008, in parziale accoglimento del ricorso, statuiva che Poste Italiane S.p.A. aveva diritto a provvedere alla rinnovazione dei rapporti, alle varie date di scadenza, una volta cessato il regime transitorio della durata massima di sei anni previsto dall’art. 33 del D.M. 19 luglio 1984, sulla base della normativa vigente che prevedeva l’applicazione del canone sociale e l’estensione della disciplina in tema di edilizia residenziale pubblica. Il giudice del rinvio, con sentenza del 24 settembre 2012, previo espletamento di c.t.u., determinava il canone sociale mensile dovuto per ciascuno dei rapporti oggetto di causa al momento della cessazione del sessennio. Compensava tra le parti le spese di tutti i gradi di giudizio. Contro tale decisione Poste Italiane S.p.A. propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico articolato motivo. Resistono con controricorso gli intimati. Le parti hanno depositato memorie. Motivi della decisione 1. Con il ricorso proposto Poste Italiane S.p.A. denuncia la violazione del principio di diritto affermato nella sentenza di questa Corte n. 8950 del 2008 nella parte in cui il giudice del rinvio afferma relativamente poi a ciascuno dei diversi rapporti il sessennio del regime transitorio previsto dall’art. 33 del D.M. 19.7.1984 ha operato su rapporti in corso , nel senso della intervenuta rinnovazione tacita dei rapporti in essere con ciascuno dei singoli assegnatari-ricorrenti per l’assenza di valida e tempestiva disdetta, non avendo richiesto la proprietà il rilascio degli alloggi e non essendo altresì intervenuta alcuna modificazione consensuale del canone o alcuna modificazione legislativa della disciplina di quel rapporto . Deduce al riguardo la ricorrente che Ente Poste Italiane, ed ancor più Poste Italiane S.p.A., non avevano alcuna pubblica potestà per assentire, rinnovare o prorogare di validità le concessioni amministrative statali in essere al momento del trapasso della proprietà degli immobili, difettando la norma attributiva del relativo potere a in ogni caso, il D.M. 19.7.1984 non prevedeva la possibilità di rinnovo tacito oltre il sessennio dalla data di rilascio ministeriale b la cessazione del rapporto amministrativo di concessione statale aveva comportato ex se la coeva estinzione del sottostante rapporto contrattuale eccessivo c l’intervenuta estinzione dell’intera fattispecie provvedimento-convenzione ministeriale escludeva ex se il subingresso dell’Ente Poste, prima, e di Poste Italiane S.p.A., poi, nei pregressi rapporti patrimoniali correnti tra lo Stato e i suoi concessionari d la pacifica insussistenza di un qualsiasi in idem placitum intervenuto sul godimento degli immobili tra ex concessionari statali ed Ente Poste, prima, e Poste Italiane S.p.A., poi, escludeva ex se qualunque rinnovazione tacita ex art. 1597 c.c. per la palese mancanza di un accordo da prorogare e . 2. Il ricorso è infondato. Questa Corte, con la menzionata sentenza n. 8950 del 2008, ha enunciato il principio di diritto in base al quale Poste Italiane S.p.A. aveva diritto a provvedere alla rinnovazione dei rapporti in corso, ove non disdettati, una volta cessato il regime transitorio della durata massima di sei anni previsto dall’art. 33 del D.M. 19 luglio 1984, sulla base della normativa vigente che prevedeva l’applicazione del canone sociale e l’estensione della disciplina in tema di edilizia residenziale pubblica. In altri termini, la Corte, nel cassare per quanto di ragione la sentenza impugnata, ha affermato che ove il rapporto non fosse stato disdettato - e quindi fosse ancora in corso - avrebbe dovuto trovare applicazione il canone sociale e non - come sostenuto dalla odierna ricorrente l’equo canone ai sensi della L. n. 392/78. Il giudice del rinvio, richiamando le argomentazioni contenute nella sentenza del Tribunale di Brescia, secondo cui era intervenuta rinnovazione tacita dei rapporti con ciascuno dei singoli assegnatari per assenza di valida e tempestiva disdetta, non avendo richiesto la proprietà il rilascio degli alloggi, ha conseguentemente applicato il canone sociale con riferimento al momento della scadenza del sessennio. In tal modo, la corte di appello, una volta accertato che non era intervenuta disdetta, si è del tutto uniformata al principio di diritto affermato dalla Corte. Per contro, le questioni prospettate nel ricorso, incentrate sulla giuridica impossibilità di rinnovo del rapporto in difetto di apposita disposizione normativa e sulla caducazione del rapporto convenzionale privatistico a seguito della cessazione della concessione amministrativa cui il contratto accedeva, tendono a sollecitare un riesame dei presupposti di applicabilità del principio di diritto enunciato, in contrasto con il dictum della Corte, la quale ha subordinato l’applicazione del canone sociale alla sussistenza di rapporti in corso in quanto non disdettati, come poi accertato dal giudice del rinvio. 3. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. La complessità e peculiarità della vicenda esclude la ricorrenza dei presupposti per la condanna della ricorrente per lite temeraria. Poiché il ricorso è stato notificato anteriormente al 30.1.2013, non trova applicazione, nella specie, il disposto dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 10.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.